Un genio è un uomo che ha occhi per vedere la Natura.
Un genio è un uomo che ha il cuore per sentire la Natura.
Un genio è un uomo che ha il coraggio di seguire la Natura.
Se è possibile.
Frank Lloyd Wright, uno dei padri fondatori dell’architettura moderna, riassume in queste poche frasi, i concetti ispiratori della della sua “architettura organica”. Queste frasi furono pronunciate dal grande architetto, nel giugno del 1957, a conclusione di un’intervista che fece parte di un servizio giornalistico per la rivista Look affidato a John Peter e Tony Vaccaro, rispettivamente architectural editor della rivista e fotografo.
Proprio con le fotografie di questo servizio, realizzate da Tony Vaccaro, si sono aperte a Venezia due mostre consecutive. Entrambe le mostre sono state organizzate dall’Associazione “Balbino del Nunzio” di Padova, che ha l'esclusiva per l'Italia delle mostre di Vaccaro e sponsorizzate dalla Fischer Italia Srl. Curatore delle mostre e del catalogo è Andrea Morelli.
Come citato nella prefazione al catalogo di Giancarlo Carnevale, Preside della Facoltà di Architettura IUAV di Venezia, con questa sua mostra Tony Vaccaro ci offre un’occasione eccezionale per riflettere su una stagione epica dell’architettura, ancorata ad una dimensione scientifica, culturale ed artistica.
La mostra, allestita con le stampe originali effettuate personalmente da Tony Vaccaro, propone un inedito e particolare ritratto umano di Wright, più conosciuto invece per gli aspetti professionali legati all’architettura.
La parte fotografica del servizio su Wright fu quindi commissionata a Tony Vaccaro che, ancora trentacinquenne, era già un fotografo affermato. La sua professione, nata dalla drammatica esperienza di soldato-fotografo di guerra, lo aveva portato già a fotografare moltissime celebrità dell’epoca, sia in Europa che in America. Ma Wright per lui era uno dei grandi personaggi del secolo che avrebbe desiderato incontrare. Così, quando a metà giugno si recò nella tenuta di Taliesin dove il famoso architetto viveva e operava ancora con i suoi allievi, erano grandi in lui l’emozione e l’aspettativa per la realizzazione del servizio.
Qui Vaccaro, trascorse con Mr. Wright 15 giorni.
Vaccaro portò con se 2 fotocamere Leica, 2 Nikon S, una Rolleiflex, una Rectaflex e una Linhof 4x5" per interni. Ogni macchina era corredata da più obiettivi in modo da coprire tutti gli angoli di campo da cui avrebbe dovuto fotografare. In più, naturalmente, filtri, lampade, treppiedi e circa 300, tra rullini e lastre.
Wright viveva nella sua tenuta di Taliesin, a Spring Green nel Wisconsin, dove dal 1932 aveva fondato una scuola di architettura a cui ambivano partecipare borsisti provenienti da tutto il mondo. La scuola era improntata sullo spirito del “Learning by Doing” e gli allievi, per tutto il periodo dei corsi, potevano abitare con la loro famiglia a Taliesin. Qui, oltre a, fare pratica nel grande studio di progettazione, si dovevano dedicare alla cura delle abitazioni, alla cucina, alla lavanderia, al lavoro nei campi, all’allevamento del bestiame e ai lavori di manutenzione. Nel tempo libero erano previste anche attività ricreative culturali quali la pratica della musica, della pittura e scultura, del teatro e della danza. Taliesin, era meta di migliaia di visitatori all’anno che si recavano nella tenuta per visitare il museo delle opere di Wright con la speranza di incontrarlo.
Wright era un soggetto straordinariamente fotogenico e, soprattutto da vecchio, aveva acquistato una ieraticità nei gesti e negli atteggiamenti – in parte coltivata – che aveva fatto di lui una straordinaria icona dell’architettura contemporanea. Come altri grandi architetti, anche per Wright la stagione creativa sembrava protrarsi indefinitamente e, all’epoca del servizio, stava vivendo un magnifico tramonto esistenziale: al centro del proprio mondo, circondato dai propri affetti e dall’ammirazione dei suoi allievi, si muoveva nella sua Taliesin come un nume tutelare, vivendo una totale coincidenza fra vita e lavoro.
Quando Vaccaro incontra Wright, ormai novantenne, il grande architetto aveva maturato un insanabile odio per i fotografi che nelle decine e decine di occasioni precedenti lo avevano fatto posare e sudare in sedute interminabili e stancanti sotto le luci dei riflettori degli studi fotografici, immancabilmente allestiti nella sua casa studio.
Il primo approccio di Vaccaro con Wright è quindi scoraggiante. Il grande Mito rimane impenetrabile e non degna di alcuna considerazione il giovane fotografo.
Tony Vaccaro è però armato della paziente umiltà lasciatagli in eredità dalla difficile infanzia e dalla terribile esperienza della guerra. Pari è anche la determinazione a perseguire quegli ideali coltivati già nella sua adolescenza. Così aspetta il momento opportuno. Girovaga con le sue fotocamere per Taliesin e inganna l’attesa dello sperato incontro, scattando immagini della comunità e dei suoi panorami, anche loro impregnati dello spirito del Genio.
Ma l’attesa non sarà lunga e il giovane fotoreporter riesce ad attirare Wright nella “trappola” della sua umanità organizzando attraverso la moglie un ritratto di famiglia. Da quel momento, poche frasi scambiate avvicinano i due in un rapporto in cui, poi, si riveleranno reciprocamente.
Così, per 12 giorni, Wright si concede ai discreti obiettivi di Tony Vaccaro fino quasi a dimenticarsi della loro presenza e man mano rivela spontaneamente il suo lato umano. L’occhio indagatore di Vaccaro sa penetrare fino a scavare nell’intima personalità del grande personaggio mantenendosi con la sua fotocamera alla giusta distanza dall’imbarazzante soggetto.
Vaccaro evita il più possibile di far posare Wright e, nei ritratti in interno, usa prevalentemente la luce naturale che arriva delle vaste finestrature volute dal Wright nei suoi progetti. Catturando questa magica luce, Tony coglie magistralmente il volto e le espressioni di Wright e con esse i suoi pensieri e il suo intimo, disegnando nei chiaroscuri poetiche morbidezze.
I gesti di Wright, ampi ed eloquenti, si succedono negli scatti di Vaccaro quasi in un’armoniosa sequenza musicale in cui un direttore d’orchestra dirige una sinfonia.
I ritratti più familiari rilevano una insospettata tenerezza e umanità del personaggio.
Wright, nonostante i suoi 90 anni e i 70 passati a progettare edifici e case, ama ancora isolarsi nel suo tavolo da disegno e rimanere lì ore ed ore, dimenticando ogni suo stimolo fisiologico. Vaccaro rimane solo con lui, mettendosi a debita distanza montando i suoi medio-tele e lo ritrae intento al tavolo da disegno ponendo in evidenza le sue mani, l’impugnatura avvolgente della matita in legno, corta e dalla lunga punta affilata; sono immagini che hanno il sapore dell’apologo, della sintesi carica di senso, che restituiscono atmosfere e tempi di un modo di intendere il lavoro divenuto leggenda e ormai quasi inconcepibile per la sua elegante ed aristocratica artigianalità.
Gli scatti esterni, che colgono invece il “giovane novantenne” negli atteggiamenti quotidiani, in mezzo alla sua comunità, ripropongono ancora una volta quell’istintivismo di cui Vaccaro e artefice nella fotografia già dai tempi degli scatti di guerra.
Il dialogo a distanza tra il Mito e l’Uomo fotografo si conclude con la vittoria dei sentimenti.
Con i suoi magistrali tagli delle immagini, Tony Vaccaro ha avuto la capacità di rivelare lo spirito e l’umanità dell’impenetrabile Uomo-Mito Frank Lloyd Wright.
Ma, come in un’immagine riflessa, anche Vaccaro, dietro alla sua fotocamera, ha dovuto abbandonarsi alle sue emozioni più forti per dare il meglio delle sue capacità.
Quando Vaccaro, a conclusione del suo servizio fotografico, va a salutare Mr. Wright, questi gli stringe la mano trattendola a lungo con entrambe le sue. Questa per Tony è una insperata riconoscenza che lo premia più di ogni altra cosa.
“Vai, Tony, e mantieni sempre il tuo spirito giovanile”: così lo saluta Wright.
E Vaccaro uscendo, vede sulla panca appoggiati il cappello bianco e il bastone di Wright e con la sua Nikon scatta l’ultima immagine del servizio: quella che ne sarà la sintesi.
Ogni Genio lascia la sua grandezza all’umanità. A lui basteranno solo le poche semplici cose della sua vita.
Quelle di questa mostra sono immagini uniche e rare pubblicate per la prima volta in Italia e che, a distanza di più di 50 anni, richiamano il fascino dei grandi servizi fotografici che hanno raccontato la storia e i personaggi del XX secolo. E Vaccaro, ancora una volta, come in questa occasione, riconferma la sua appartenenza al ristretto novero dei grandi fotografi contemporanei.
Rino Giardiello e Andrea Morelli © 11/2008
Riproduzione Riservata
Alcune foto tratte dalla mostra (courtesy Tony Vaccaro e Andrea Morelli)
Appassionato della natura, Wright ebbe come fonte di ispirazione le regole di crescita delle piante: dalla radice allo stelo, dallo stelo al fiore e, infine al frutto. Questo senso del tutto indivisibile ed integro, venne da lui definito come “architettura organica”. Essa doveva essere appropriata al tempo, al luogo e all’uomo. Wright, in tutti i suoi progetti, sviluppò costantemente questi tre temi e nessuno di essi doveva progredire senza gli altri due. Ogni parte era legata al tutto, come il tutto è legato alle singole parti, in un’entità organica. Questi suoi interessi lo portarono a prediligere il tema delle case d'abitazione unifamiliari ("prairie houses"), che costituirono l'aspetto determinante del suo primo periodo di attività.
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