Lo scorso novembre ho messo le mani sulla Sony A7R III, appena uscita, e ho pubblicato le mie prime impressioni riservandomi di effettuare una vera e propria recensione nelle settimane a seguire.
In effetti, la prova sul campo poi c’è stata: sfruttando vari incontri, sia pubblici (workshop, eventi promozionali) che interni alla redazione di Nadir, la macchina è stata messa più volte a confronto con le dirette concorrenti (Nikon D810 e D850, Canon 5D IV, oltre che con alcune fotocamere Sigma), anche in occasione dei test delle ottiche che ci è capitato di provare negli ultimi mesi (tra cui l’evento Sigma Week&Try). Inoltre, la fotocamera mi ha accompagnato in questo tempo in numerose occasioni fotografiche personali, non ultime due viaggi (Sudamerica e Islanda) nei quali è stata messa decisamente sotto torchio anche da un punto di vista ambientale.
A lato: La Sony A7R III dopo l’ennesima, veloce sortita fotografica a pochi passi dall’auto.
Questo articolo, dunque, non vuole essere una recensione nel senso classico del termine; anche perché la macchina è stata sezionata e descritta da centinaia di riviste, siti e video-blogger vari, e non credo che riuscirei ad aggiungere nulla a quanto già detto da almeno uno di questi innumerevoli recensori.
Il mio intento è invece quello di condividere le mie impressioni d’uso dopo sei mesi di lavoro sul campo con la macchina. Dunque non proporrò foto di tetti, librerie, o dettagli al 100% degli angoli di uno scatto a ISO 6400 con un 16mm a f/2.8, per verificare se finalmente ci sia o meno quell’oncia di dettaglio in più senza la quale non ho mai vinto il World Press Photo o una copertina del National Geographic (è sicuramente questo il motivo).
Nonostante il vento ed i continui schizzi d’acqua, l’Islanda offre moltissimi spot di grande fascino ed impatto. (cliccare sulle foto per vederle di maggiori dimensioni)
Inizio con una premessa. Sony, si sa, non ha una tradizione fotografica consolidata. Tra tutti i marchi in circolazione (Canon, Fuji, Leica, Nikon, Olympus, Panasonic, Ricoh-Pentax, Sigma, Sony) è la sola, insieme a Panasonic, a non avere un passato pre-digitale, anche se è stata proprio Sony a presentare una delle primissime fotocamere digitali in commercio, la Sony Mavica, nel 1981. Come molti sapranno, Sony è entrata nel mondo delle fotocamere ad ottica intercambiabile nel 2006, in seguito all’acquisizione della divisione fotografica di Minolta. Il sistema che ha mantenuto l’innesto Minolta (detto “innesto A”, dato che le fotocamere Minolta in Giappone si chiamavano Alpha) ha visto diverse reflex prodotte fino al 2010, e poi una serie di simil-reflex (dette SLT: fotocamere con mirino elettronico e con una pellicola semitrasparente fissa al posto dello specchio) tuttora in produzione. Nel 2011 è nato il sistema mirrorless, con l’attacco E e le fotocamere NEX, poi ribattezzate A5000, A6000 e così via; ed alla fine del 2013 è stata presentata la prima mirrorless full-frame, la A7, di cui è stata da poco (marzo 2018) presentata la terza incarnazione, la A7 III.
La ormai famosa chiesa nera di Budir, in Islanda.
Questo per dire che sì, Sony non fa reflex da mezzo secolo e sì, forse è più nota per i televisori e le PlayStation, ma qualcosina di fotografia inizia a capirla sul serio. E ciò è importante perché, come già detto nell’articolo sulle prime impressioni, la tecnologia è sì essenziale - ed essere un gigante dell’elettronica come Sony aiuta - ma per costruire un valido sistema fotografico bisogna curare anche tanti altri aspetti (posizionamento dei prodotti, ergonomia, software, esperienza d’uso, supporto post-vendita, affidabilità ecc.) che, messi tutti insieme su una bilancia, possono rendere una macchina preferibile rispetto ad un’altra, anche se quest’ultima magari ha delle specifiche tecniche inferiori. Basta andare sul popolare sito di DxO, di fatto il riferimento a livello mondiale per quanto riguarda i test dei sensori, per verificare con i propri occhi come i sensori Sony siano da diversi anni ai vertici delle classifiche, siano essi dentro una Sony, o una Nikon, o una medioformato Pentax, Fuji o Phase One. Ma, appunto, il sensore è solo un pezzo della fotocamera, che è uno strumento complesso la cui efficacia va valutata sotto più punti di vista.
Fatta tale premessa, uso Sony dal 2004 e quindi sono stato spettatore diretto dei passi avanti (ed anche degli episodici passi indietro, a volte inspiegabili) che Sony ha fatto in questi quasi quindici anni. E’ grazie a questa esperienza che posso affermare non solo che la A7R III è la migliore fotocamera mai prodotta da Sony, ma anche che è una delle migliori fotocamere attualmente in circolazione. E per “una delle migliori” intendo che la metto tra le prime tre.
Ora, affermazioni così perentorie richiedono qualche precisazione; in particolare bisogna chiarire cosa intendo per “migliore”.
Eccellente la pulizia anche nella poca luce del Cimitero delle Fontanelle di Napoli a ISO 2000; rumore contenutissimo e, soprattutto, una eccellente tenuta del colore e del contrasto.
Qualità d’immagine
E’ tra le migliori perché fa le foto più belle? Indubbiamente ha una qualità d’immagine straordinaria, e per batterla bisogna affidarsi ad una Sigma (ma a 100 ISO, non di più) oppure salire di categoria ed andare sulle medio-formato - che pure agli alti ISO non brillano, senza contare l’incremento esponenziale dei costi e, in parte, degli ingombri.
La ricchezza di dettaglio di un file da 42 megapixel generato da un sensore full frame è a tratti imbarazzante: richiede mano ferma ed ottiche adeguate. I passaggi tonali sono delicatissimi e, come già osservato con la Sony A9, anche la risposta cromatica della macchina è gradevole e bilanciata; d’accordo che, specie lavorando in RAW, col digitale i colori sono manipolabili al 100%, ma partire con un file bello anziché con uno così-così è sempre meglio: fa anche risparmiare tempo in post. I passi in avanti rispetto alle generazioni precedenti sono evidenti, con una resa più calda. Per i palati più raffinati, in ogni caso, vale sempre il consiglio di creare un profilo ICC dedicato, essenziale quando ad esempio si svolgono lavori di riproduzione.
La gamma dinamica è da primato, solo la Nikon D850 se la gioca ai punti; la resa agli alti ISO è eccellente e, anche grazie ai 42 mpx, si ottengono stampe di generose dimensioni di elevata qualità. All’atto pratico il sensore ha una sensibilità di ISO 100, e ad ISO 640 scatta un secondo livello di amplificazione hardware. Quindi ci si potrebbe limitare a lavorare solo a queste due sensibilità, per poi aumentare l’esposizione in post-produzione quando necessario.
In sintesi: siamo ai vertici di quanto offra al momento il mercato.
L’ex mattatoio di Roma è sempre pieno di stimoli fotografici.
Operatività
E’ tra le migliori perché è veloce e pratica da usare? La Sony A7R III scatta a 10 fotogrammi al secondo e l’autofocus è veloce e preciso. Come fotocamera in sé è abbastanza reattiva nell’uso quotidiano – nel senso che l’accensione, l’uso dei menu, ecc. sono più che adeguati ad un uso normale. Sono ormai acqua passata le irritanti attese delle prime generazioni di mirrorless (di tutte le marche), all’epoca davvero imbarazzanti anche al confronto di una reflex di fascia media.
Detto questo, la A7R III non è un fulmine di guerra: la A9 è più rapida, così come sono più reattive le reflex di fascia alta (Canon 5D, Nikon D8x0, Pentax K1), non tanto in termini di autofocus (siamo grossomodo sugli stessi livelli) o raffica di scatto (anzi, qui solo la D850 tiene il passo, con i suoi 9 ftg/sec), quanto di generale prontezza nella risposta dei menu e dei comandi. La differenza a favore di queste reflex non è abissale, ma c’è: e quanto sia importante dipende dalle esigenze di ciascuno. In tutta onestà ritengo il problema inesistente per un non-professionista; con l’eccezione dei fotografi della categoria “dico sempre e comunque che le reflex sono migliori, per cui mi aggrappo a qualsiasi inezia” (sapeste quanti ce ne sono), reputo il discorso “rapidità” risolto in maniera soddisfacente.
Per un professionista, invece, il discorso cambia, e non devo essere io a spiegarglielo. Una frazione di reattività in più o in meno può essere irrilevante in studio, o decisiva se si sta fotografando una gara di motocross, quindi le valutazioni non possono che essere personali.
In sintesi: siamo su livelli medio-alti, ma si può ancora migliorare qualcosa. Le prestazioni sono più che adeguate ad un uso non estremo. Se mi guadagnassi da vivere fotografando il motocross o la Formula 1, punterei ad altre fotocamere (reflex di fascia alta oppure la Sony A9, un mostro di rapidità); ma personalmente ho fotografato una gara ciclistica a 10 ftg/sec con il tracking dell’autofocus agganciato su un ciclista specifico e la macchina non ha sbagliato un colpo: questo a me basta ed avanza.
Il S. Giovanni Battista di Igor Mitoraj, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, a Roma. Lo scatto al 100% ha una pulizia del dettaglio ed una ricchezza nelle sfumature del bianco incredibili.
Affidabilità
E’ tra le migliori perché è affidabile? Sì, la Sony A7R III è affidabile. Le nuove batterie durano il triplo delle precedenti, e non c’è più l’incubo di vedersi mollare all’improvviso dopo 300 scatti a metà mattinata. Ho concluso interi workshop o giornate di viaggio con una sola batteria, facendo parecchie centinaia di scatti, e se poi si scatta con l’otturatore elettronico, magari a raffica, le mille foto a batteria si fanno a occhi chiusi. Purtroppo non ho esperienza di sessioni (in studio o outdoor) con flash, per cui non posso esprimermi sull’autonomia in queste condizioni.
La macchina è affidabile anche dal punto di vista della solidità. In Islanda ed in Sud America ha preso freddo (tanto freddo, e lo dice un freddofilo), vento (tanto vento), acqua (tanta acqua), sabbia, emissioni gassose (“Vado a fotografare quel geyser da vicino, cosa volete che succeda”): mai nessun problema, né elettronico né di tenuta della batteria. In alcune situazioni mi sono arreso io, non lei. E, per la cronaca, in entrambi i viaggi ero con una persona (non la stessa) pure in possesso di una Sony A7R III: nessun problema neanche alle loro fotocamere.
Non l’ho buttata a terra (se proprio ci tenete, mandatemi la vostra A7R III ed io sarò ben lieto di testarla a dovere) né l’ho infilata sotto la neve, ma come impressione generale mi ritengo molto soddisfatto e tranquillo. Colleghi fotografi hanno lavorato a -32° ed è andato tutto bene a parte un lieve rallentamento nella risposta dell’autofocus.
Se parliamo di impermeabilizzazione, il punto debole delle A7 è il fondello: pioggia e schizzi non sono un problema, ma se c’è tanta acqua può entrare dal vano batteria. Non è un’eventualità probabile (di solito non piove dal basso), ma può capitare, magari appoggiando distrattamente la macchina su un muretto o un tavolino in una giornata di pioggia intensa. Chi, come me, tiene la macchina “nuda”, senza staffe o custodie, basta che faccia un minimo di attenzione, che mi pare comunque il minimo sindacale quando si maneggiano oggetti che costano cifre importanti.
Un ultimo accenno all’assistenza: in Italia l’assistenza Sony è molto valida, sia come tempi che come qualità. Per chi è professionista, inoltre, esiste un servizio dedicato che prevede assistenza telefonica, due pulizie del sensore l’anno, ritiro e spedizione gratuita dei prodotti da riparare, e fotocamera “muletto” per quando la propria è in riparazione. Tutti i dettagli sono sul sito Sony.
In sintesi: vale quanto detto poco sopra a proposito della rapidità d’uso: in materia di affidabilità siamo ampiamente sopra il necessario per le esigenze di un fotografo normale, dove per “normale” intendo anche il fotografare in condizioni disagevoli come quelle che ho riportato più sopra.
Chi invece le fotocamere le usa spesso in contesti estremi, sbatacchiandole di qua e di là, potrebbe aver bisogno di stare più tranquillo: non a caso sono in commercio due carri armati (Nikon D5 e Canon 1Dx) che pesano e costano il doppio, ma con i quali ci si può anche piantare i chiodi nel muro.
Uno scorcio di una strada islandese.
Il sistema
Dopo aver parlato dei tre fattori canonici con cui si valuta una fotocamera (qualità d’immagine, velocità ed operatività, affidabilità), allargo un po’ il discorso e parlo del sistema nel suo complesso. Non mi addentro nella diatriba reflex/mirrorless: ho visto persone scannarsi in difesa dell’una o dell’altra tipologia, e non è mia intenzione voler convincere nessuno. Tanto per parlare di un aspetto specifico, io non adopero più macchine col mirino ottico dal 2012, e non tornerei mai indietro (parlo delle mie fotocamere personali); per me un eccellente mirino elettronico come quello della Sony A7R III è un punto di forza, direi il principale delle mirrorless. Ma riconosco il diritto di ciascuno di lavorare come preferisce.
Dunque, dando per scontato che non si sia sdegnosi verso un sistema mirrorless, il parco obiettivi a disposizione delle Sony è, nei fatti, sterminato. Questo perché il tiraggio Sony E è cortissimo (18mm = Eighteen = E-mount) e quindi, tramite anelli adattatori, ci si può montare di tutto. Con anelli meccanici da pochi euro, facilmente reperibili su eBay o Amazon, ci si può divertire a recuperare ottiche di ogni tipo, mentre con adattatori più costosi (Sigma MC-11, Commlite…) si possono usare ottiche Canon e Nikon mantenendo AF e lettura esposimetrica. E’ una vera pacchia per chi abbia già corredi di altre marche, o per chi si diverta a collezionare ottiche d’epoca di ogni tipo.
Volendo invece rimanere nell’ambito delle ottiche native, c’è comunque ampia scelta: al momento in cui scrivo Sony ha a listino 25 obiettivi, Zeiss altri 9 (5 sono della serie Loxia, manual focus; 4 sono la serie Batis, autofocus), Sigma pure 9 (della serie Art, la più prestigiosa); Tamron ha da poco presentato un 28-75 f/2.8; e poi ci sono i Samyang/Rokinon, i bei Voigtlander di Cosina, e così via.
Ci sono ancora delle mancanze: un decentrabile, un 35 f/2 o magari f/1.8, autofocus e ideale per il reportage (il 2.8 è un po’ buio e l’1.4 è parecchio ingombrante), qualche tele dai 300mm in su (il 100-400 f/4.5-5.6 è eccellente, ma non copre le esigenze di tutti; il 400/2.8 appena annunciato è un signor obiettivo ma non sono molti ad aver bisogno di un’ottica da oltre diecimila Euro). Ma non dimentichiamo che stiamo parlando di un sistema nato meno di cinque anni fa. E’ stato già fatto tantissimo, ed è ragionevole attendersi che col tempo Sony (o magari un produttore di universali) vada a completare il parco andando a colmare queste mancanze che, proprio perché le macchine sono ormai mature e conosciute, finiscono col rallentarne l’adozione da parte di determinate fasce di utenti.
In sintesi: se proprio non potete lavorare senza un decentrabile o un 300 f/4 nativi, una Sony non fa per voi. Per tutti gli altri, c’è ampia scelta.
Aree di miglioramento
Dopo aver detto tutto quello che mi piace, dedico il resto dell’articolo agli aspetti che a mio avviso andrebbero migliorati.
Il doppio slot di memoria è stato chiaramente progettato da un simpatico buontempone, non tanto perché lo slot 1 è sotto ed il 2 sopra, ma perché le schede vanno inserite al contrario rispetto alla logica: bisogna inserirle con l’etichetta dal lato dell’ottica, anziché del fotografo. In altre parole, non si legge quale scheda si sta inserendo – dunque bisogna saperlo prima. E’ una piccola cosa, ma infastidisce.
A lato: La differenza tra un sistema normale ed uno progettato male.
I menu andrebbero riorganizzati, raggruppando il più possibile nelle stesse schermate le voci che riguardano funzioni simili (nota: questo non è un problema solo della A7R III). E’ vero che tra i tasti personalizzabili ed il My Menu (popolabile con le voci scelte dall’utente) alla fine è davvero raro il caso in cui ci si debba avventurare nel calderone del menu, ma quando capita… è meglio non avere credenti nelle vicinanze.
Inoltre, la traduzione italiana è decisamente migliorabile, anche se riconosco che avendo pochi caratteri a disposizione non è facile abbreviare diciture quali “Tempo alimentazione disattivazione automatica” o “Registrazione [delle] impostazioni [di] ripresa personalizzate”; senza contare che in media l’italiano è meno sintetico dell’inglese. Tuttavia le soluzioni esistono, visto che si tratta di puro software: il testo potrebbe scorrere, e/o si potrebbe far apparire il testo integrale (magari con una spiegazione di cosa faccia quel comando) in una finestra di pop-up richiamabile con un tasto programmabile dall’utente. Personalmente consiglio di lasciare i menu in inglese.
Il riquadro che delimita il punto di messa a fuoco è nero, e diventa verde quando la macchina focheggia; ebbene, sarebbe utile poter scegliere il colore di partenza, perché spesso il nero è poco visibile. Dopo sei mesi di lavoro con la A7R III, questa per me è la cosa più fastidiosa, e che più di ogni altra ha fatto calare il numero dei miei amici credenti.
E visto che stiamo parlando di AF, nelle Sony l’autofocus continuo viene fatto in stop-down (cioè con il diaframma effettivamente chiuso al valore impostato), quindi la focheggiatura può essere difficoltosa in poca luce: non sarebbe male se Sony mettesse mano a questo aspetto.
Un’ultima osservazione riguarda le App. Nelle prime due generazioni di fotocamere era possibile installare delle applicazioni, scaricabili dal sito PlayMemories di Sony, alcune delle quali utili (time-lapse, esposizioni multiple, ecc.). La gran parte delle app funzionava bene, ma l’intero sistema di download ed installazione era a dir poco macchinoso. Dalla A9 in poi le fotocamere non sono più compatibili con le app PlayMemories, ma Sony ancora non ha rimpiazzato quelle funzionalità, che non sono presenti né in camera né con strumenti alternativi (salvo, quando possibile, comprare accessori esterni, quali ad esempio un intervallometro). Non sarebbe male se Sony ponesse rimedio a questa mancanza – senza, beninteso, compromettere la stabilità del software né imporre all’utente macchinose procedure di installazione.
Il Salar de Uyuni è la più grande distesa salata del mondo. A fine giornata, lo scenario particolare offre l’occasione per un tramonto un po’ diverso da quelli canonici.
Conclusioni
Dopo sei mesi di utilizzo sul campo, confermo quanto scrissi nelle prime impressioni: “un plauso a Sony per aver dimostrato di aver recepito le indicazioni del mercato, lavorando sugli aspetti che andavano migliorati, anziché limitarsi a buttare fuori l’ennesima macchina superpompata per tante cose ma con carenze, a volte inspiegabili, qua e là.”
Quanto scritto finora in questo articolo spero abbia chiarito perché a mio avviso la Sony A7R III costituisce, nel complesso, una delle migliori fotocamere in circolazione: il mix di caratteristiche (prezzo, peso e dimensioni, qualità d’immagine, velocità, affidabilità) la rende a mio parere un prodotto riuscitissimo, che resta la mia prima scelta per qualunque tipo di necessità fotografica, a meno che non diventi cruciale un aspetto specifico: per dire, se serve a tutti i costi più velocità ci sono la A9 o le Nikon D5 o Canon 1Dx (con i rispettivi prezzi…); se serve garantirsi la massima affidabilità possibile punterei alle ammiraglie Canon e Nikon (o magari una Pentax K-1…); se serve a tutti i costi più qualità ci sono le medioformato (per chi se le può permettere) o le Sigma; se proprio bisogna spendere di meno c’è l’ottima A7 III (la “liscia”, per capirci).
Per tutto il resto… c’è la A7R III.
Agostino Maiello © 06/2018
Riproduzione Riservata