SPECIALE OBIETTIVI 2
Ariosità, plasticità, tridimensionalità e contributo dello sfocato
Rino Giardiello, maggio 2000

Sembra facile progettare un obiettivo, ed in effetti oggi, con un apposito software ed un computer, lo si può fare con grande facilità rispetto al passato. Come mai allora continuano ad esistere obiettivi economici ed obiettivi inavvicinabili, zoom dalle escursioni focali strepitose offerti a poche lire e zoom "risicati" dal costo di svariati milioni?

Michele Vacchiano ha già introdotto il problema delle prestazioni di un obiettivo e dei test, quindi sappiamo che non tutti gli obiettivi sono uguali e che la situazione è molto più complessa del sapere che un obiettivo ha "una risoluzione straordinaria".

In Germania già da un bel pezzo avevano capito che la definizione non è tutto, che le "doti" che rendono un'immagine bella sono ben altre e di conseguenza hanno inventato diverse metodologie di test che dovrebbero dare l'idea della qualità di un obiettivo nella vita reale.

Ho scritto "dovrebbero" perché, nonostante tutto, l'occhio umano resta l'ultimo giudice e non esistono test strumentali in grado di misurare l'ariosità, la plasticità o la resa "aggressiva" (che parolona!) di un obiettivo. Non dimentichiamo poi che non possono esistere due obiettivi in apparenza uguali che forniscano le stesse prestazioni e che il controllo dello standard qualitativo di produzione è un costo aggiuntivo non indifferente, come lo scartare tutte le lenti al di sotto di una determinata soglia.

Cercare di spiegare ad un'altra persona la resa di un obiettivo a parole senza avere delle immagini di riferimento (e non è che le fotine adatte al web aiutino poi molto) è oltremodo difficile. Non ci sono problemi nel misurarne la risolvenza, ma far capire che una immagine possa essere migliore di un'altra grazie ad altri parametri quale "il contributo dello sfocato" rasenta l'impossibile.

I progettisti tedeschi ce l'hanno messa tutta per cercare di tradurre in misure oggettive delle definizioni che sembrano (ed in buona parte sono) del tutto soggettive e di queste complicate misurazioni i test MTF non sono che una minima parte.

PLASTICITA'
Cosa sarà mai? Forse è riferita ai moderni obiettivi in plastica? Nulla di tutto questo, ma è qualcosa che va in senso opposto alla risolvenza: più risolvenza = meno plasticità, più plasticità = meno risolvenza.
La fotografia ha l'ingrato compito di dover riportare su due dimensioni dei soggetti che generalmente ne hanno tre. Fotografando una sfera questa diventerà un cerchio, ma il cervello riesce a compensare questi limiti grazie alla conoscenza dello stesso oggetto e grazie alle infinite ombre che danno l'idea della profondità (quando vediamo la foto di un pallone, noi sappiamo che è un pallone). Un po' come si fa quando si disegna: un cerchio non diventa sfera sino a quando non si aggiungono le ombre e le sfumature.

Quando facciamo un ritratto molte volte ci soffermiamo solo sull'espressione del modello, sulla nitidezza di particolari minuti quali ciglia, capelli, rughe. Se fotografiamo una colonna badiamo alle crepe nel marmo, ma non alla sensazione di profondità che l'obiettivo è riuscito a restituire, superando i limiti della carta stampata. Il senso di rotondità, se non c'è, viene aggiunto dal cervello (sappiamo che una colonna è cilindrica) e viviamo ugualmente felici. Non vivono felici, invece, tutti quelli che si accorgono del piattume di alcune foto seppur nitidissime: è come apprezzare un buon vino per il sapore ed il profumo al di là della sua gradazione alcolica. Plasticità è anche sinonimo di vasta gamma tonale, perché solo una enorme gamma di tutte le più tenui sfumature riesce a rendere al massimo l'idea del "volume" in un soggetto bidimensionale.

CONTRIBUTO DELLO SFOCATO
Se "sfocato" significa "fuori fuoco", mi dite come fa a migliorare un'immagine? Il discorso si riallaccia alla plasticità, ai passaggi graduali tra piani a fuoco e piani fuori fuoco, le parti nitide si fondono con quelle sfocate e contribuiscono alla resa globale. La parte a fuoco non sembra ritagliata con le forbici ed incollata su quella sfocata. Uno sfocato progressivo ed "a regola d'arte" contribuisce al senso di tridimensionalità e la parte del tutto sfocata arricchisce la foto (è uno sfocato ben modulato o avvolto dalla nebbia?).

TRATTAMENTO ANTIRIFLESSI
Ricordo le famose foto con il sole alle spalle, regola numero 1 dei padri che prendevano la fotocamera solo d'estate per fotografare i figli in vacanza. Ricordo le foto di me piccolo, al mare, con gli occhi sempre chiusi ed il viso contratto in una smorfia. Sarà per reazione ma, quando ho cominciato a fotografare, ho cercato di non mettere mai le persone con il sole negli occhi e col tempo questo è diventato il mio modo di fotografare qualsiasi cosa: il fotografo, per non avere il sole alle spalle, deve averlo per forza davanti o di lato e non sempre si possono cercare le zone d'ombra né sono giuste per il ricordo che si vuole portare a casa.
Un buon obiettivo deve permettere di fotografare in qualsiasi condizione, anche col sole negli occhi, mantenendo sempre integra la qualità dell'immagine, vale a dire senza velarsi, perdere saturazione cromatica o fare riflessi eccessivi. Il riflesso è una caratteristica naturale delle lenti, ma un conto è avere una immagine bluastra con zone nebbiose ed un altro è avere un bell'esagonino da qualche parte con il resto della foto integro e ben contrastato.
Non illudetevi di risolvere il problema con un paraluce: questo evita solo i raggi di luce laterali rispetto alla lente frontale, ma come il sole entra in campo non c'è paraluce che tenga (eppure conosco un sacco di gente "esperta" che continua ad usarlo con le luci frontali). Altri obiettivi, invece, si velano persino a causa di forti fonti luminose fuori campo. Questa è la grande differenza tra il portare a casa la foto voluta ed il doverci rinunciare o dover cambiare inquadratura.

SATURAZIONE CROMATICA E PRECISIONE DEL COLORE
Non c'è obiettivo al mondo che non produca immagini a colori, compresi quelli vecchissimi, quindi dov'è il problema? Il problema è che il colore non è uguale per tutti, checché se ne possa pensare. Ogni obiettivo ha una propria personalità ed i colori hanno un diverso grado di saturazione e dominante (resa calda, neutra o fredda) che i fabbricanti cercano di rendere costanti all'interno della stessa marca.
I fotografi più anziani si ricorderanno l'enorme problema di molti vecchi obiettivi Nikon che non erano costanti nella resa cromatica. Obiettivi diversi avevano colori diversi e questo era molto sgradevole nella proiezione di diapositive quando, per esempio, capitavano una dopo l'altra una foto scattata con il 28mm (colori freddi) ed una scattata con il 135mm (colori caldi).
Il colore non è uguale per tutte le lunghezze d'onda e colori diversi vanno a fuoco in punti diversi. Quindi voi mettete a fuoco con la massima cura, ma l'immagine non sarà nitida come sembra nel mirino (questo a tutta apertura ed in condizioni critiche, perché ad F/8 vanno bene quasi tutti gli obiettivi). I fabbricanti seri hanno sempre corretto almeno tre lunghezze d'onda come livello standard, riservando la famosa parolina APO, con la quale si intende che un obiettivo è apocromatico, cioè corretto per tutte le lunghezze d'onda, solo agli obiettivi professionali dal costo più elevato. Oggi però con APO spesso si marcano obiettivi universali abbastanza economici che sono corretti solo per tre lunghezze d'onda, cosa che Zeiss e Leitz hanno sempre fatto senza aggiungere alcuna sigla nel nome. Verificate i prezzi di un vero obiettivo apocromatico e capirete come la sigla APO su uno zoom economico sia solo una presa in giro.

Ancora sul colore c'è da dire riguardo la precisione dello stesso (anche se molte volte la colpa è della pellicola o del Laboratorio). Nessuno si sogna di fotografare un prato e poi di controllarne i colori sulla stampa con una mazzetta di colori Pantone, ma se lo facesse scoprirebbe delle enormi differenze e/o la scomparsa di molte sfumature. Anzi, un colore senza sfumature sembra ancora più bello e saturo, ma ha come rovescio della medaglia che i soggetti perdono plasticità. Un obiettivo buono deve saturare i colori senza modificarli e conservando le sfumature. Sembra facile ma non lo è. Basta pensare all'abitudine di molti fotografi di sottoesporre sistematicamente le dia per saturare i colori. Le immagini sono indubbiamente d'effetto e talvolta lo faccio anch'io, ma normalmente preferisco (per esempio nell'immagine di un trullo contro il cielo azzurro) che il bianco resti bianco ed il cielo sia molto saturo e di un bel blu corposo. Sottoesponendo, il cielo diventa più blu, è vero, ma il bianco del trullo diventa grigiolino.

I Giapponesi però sono furbi e, per non alzare i costi degli obiettivi, hanno inventato pellicole come la Fuji Velvia che satura tutti i colori (ma la tridimensionalità non può inventarsela). Addirittura la sensibilità della Velvia non è neanche di 50 ISO effettivi come dichiarato ma si attesta intorno ai 35-40: in tal modo, con una sottoesposizione creata "ad arte", la saturazione aumenta ancora.
Chi ha buoni obiettivi che non necessitano "trucchi", di solito preferisce le pellicole "normali" o professionali dalla resa quanto più fedele possibile.

APERTURA MASSIMA EFFETTIVA
L'apertura massima dell'obiettivo è una misura, quindi dovrebbe essere attendibile e confrontabile. Purtroppo non è così perché molte case, per fare sembrare più luminosi i propri obiettivi "arrotondano" i valori a loro favore, talvolta anche di mezzo stop. È tutto un altro effetto dire F/2,8 anziché F/3,5, no?
E la cosa non finisce qui: ammesso che la misura geometrica sia reale, rappresenta solo le dimensioni effettive del "buco" e non della luce che riesce a passare attraverso le lenti grazie alla bontà del trattamento multistrato. Morale della favola, obiettivi in apparenza di uguale luminosità possono non esserlo affatto all'atto pratico.

PRECISIONE, FORMA E NUMERO DI LAMELLE DEL DIAFRAMMA
Il diaframma contribuisce in maniera notevole alla qualità dell'immagine e non solo alla profondità di campo. Il diaframma ideale che garantisce la massima qualità dovrebbe essere un cerchio perfetto: il numero di lamelle ed il loro movimento preciso è quindi determinante. Ricordo un vecchio test in cui veniva messa a confronto la qualità di un obiettivo - sempre lo stesso - con diaframmi di forme diverse, dal cerchio ad uno con tre sole lamelle. La differenza di qualità, soprattutto nello sfocato, era visibilissima.

CONCLUDENDO
I test pubblicati sulle varie riviste (senza stare a discutere sulla esecuzione a volte approssimativa da parte di alcune), vanno presi "con le pinzette" dato che riescono a dirvi solo in minima parte della resa effettiva di un obiettivo. L'ideale sarebbe poterci fare "un giro di prova", cioè scattare delle foto anche fuori il negozio con una buona pellicola invertibile ed in diverse situazioni. Non sarà un test scientifico al 100%, ma non dimenticate che il giudice finale saranno i vostri occhi e la risolvenza strepitosa con le mire ottiche in studio con luce controllata, rimarrà nel grafico che vi aveva tanto entusiasmato.

Rino Giardiello © 05/2000
Riproduzione Riservata

Quale delle due foto è migliore?
Quella in basso (Foto Archivio Zeiss) sembra certamente migliore, eppure ha meno "informazioni" (= risolvenza) di quella in alto. L'esempio è un caso limite, nella realtà dei fatti tutti gli obiettivi si posizionano tra le due immagini.

La foto in alto è stata realizzata con un obiettivo dotato di molta risolvenza e poco contrasto, quella in basso con un obiettivo dotato di molto contrasto e poca risolvenza.

Gli ingrandimenti evidenziano la differenza: nella foto in basso mancano del tutto dei dettagli della barba, però nella globalità sembra migliore.

Gli obiettivi Zeiss, come è tradizione tedesca, si avvicinano più alla foto di esempio in basso che, ripeto, è volutamente eccessiva per rendere meglio l'idea.