Sono da sempre affascinato e studioso di storia, direi onnivoro di tutti i periodi, ma uno soprattutto mi affascina e mi intriga in modo speciale: la preistoria, cioè un mondo prima della scrittura, prima degli storici, prima della storiografia, ma non per questo privo di testimonianze tangibili.
Tra le tante esperienze in questo settore potrei citare un fantastico viaggio alla grotta di Altamira nel nord della Spagna, dove si possono ammirare i bisonti di oltre quindicimila anni fa, disegnati e dipinti sulle pareti della grotta da ignoti artisti cha hanno saputo cogliere in modo magistrale l’essenza vitale di questi mastodontici animali.
Oppure il faticoso trekking nell’altopiano del Tassili coi Tuareg in Algeria, dove nel deserto del Sahara, che appena 5-6000 anni fa era ancora una savana (evidentemente i cambiamenti climatici non li provochiamo solo noi adesso), troviamo innumerevoli pitture rupestri, con vivaci raffigurazioni di animali, mandrie, villaggi e persone che popolavano questa regione, attualmente disabitata.
Tra le tante visite ed esperienze non potevano certo mancare gli allineamenti di Carnac, in Bretagna, con i famosi menhir, resi celebri dal simpatico Obelix, l’immancabile compagno di avventure del celeberrimo Asterix.
I megaliti della Bretagna hanno da sempre affascinato gli studiosi che ancora si interrogano sul reale significato delle file di massi appuntiti disseminati nelle campagne bretoni, e che, come dimostrano le fattorie site in loco, venivano considerati nel secolo scorso come parte del paesaggio e non come reperti storici di una civiltà scomparsa o, come è stato affermato, le prime testimonianze architettoniche dell’uomo del Neolitico. In varie località limitrofe i menhir sono più di 1600, risalenti a circa seimila anni fa, e costituiscono una misteriosa testimonianza dei riti dell’uomo preistorico, sicuramente importanti considerando il lavoro e la fatica necessari al trasporto e posizionamento di queste pesanti strutture megalitiche. Probabilmente possedevano una funzione sacra e funeraria.
La Minolta CLE
Mia compagna in questa avventura bretone è un fotocamera a telemetro 35mm, la Minolta CLE, lontana cugina della Leica CL, ma in realtà completamente diversa. Il test approfondito della Minolta CLE lo trovate qui. La Minolta CLE, risalente al 1980, rappresenta degnamente il matrimonio commerciale tra Minolta e Leitz: all’interno del guscio della CL è stata inserita l’elettronica della serie XD Minolta, per realizzare la prima macchina automatica a telemetro con innesto M. La successiva Leica M automatica apparirà solo nel 2002 con la M7: possiamo quindi tranquillamente affermare che la CLE ha rappresentato un salto nel futuro delle macchine a telemetro.
Potenzialmente il pacchetto operativo della Minolta CLE è formidabile: silenziosa, con un telemetro preciso per gli obiettivi dedicati (come la CL del resto) offre in più un sistema operativo veloce e sicuro, grazie all’otturatore elettronico (a scorrimento orizzontale, mente nella CL era verticale), l’automatismo a priorità dei tempi, i LED nel mirino che indicano i tempi di esposizione (non sempre perfettamente visibili a chi, come il sottoscritto, porta gli occhiali) e le cornicette luminose che delimitano il campo inquadrato con la correzione della parallasse. Ricordiamo che le cornicette del mirino della CLE sono tre per 28, 40 e 90mm, come da ottiche a corredo, mentre nella Leica CL sono sempre tre, ma per 40, 50 e 90mm, con solo 2 ottiche offerte, mentre un 50mm rientrante è stato realizzato solo come prototipo.
Contrariamente alla Leica CL, tutta in metallo, la Minolta CLE presenta il carter superiore e il fondello in plastica ABS rivestita da un sottile strato metallico. La grossa ghiera superiore dei tempi e dell’automatismo sembra presa dalla serie Minolta XG ed è facilmente intuibile nelle sue funzioni, compresa la correzione della sotto e sovra esposizione in automatismo. La leva di carica è più agevole e dalla corsa più corta rispetto alla CL, dovendo quest’ultima caricare anche la fotocellula. Ottimo il pulsante di scatto.
L’alimentazione è data da 2 pile da 1,5V. Come nella Leitz CL la manopola di riavvolgimento pellicola si trova sul fondello. Ma la cosa veramente importante è l’aumento della base telemetrica (nella CL di soli 18mm) il che porta ad un aumento della precisione nella messa a fuoco degli obiettivi, specie col 90mm. Contrariamente alla CL che attivava l’esposimetro con lo stacco della leva di carica, nella CLE esiste nella parte frontale un pulsante di accensione generale.
L’esposimetro della Minolta CLE lavora in modo molto simile a quello della Olympus OM-2 (qui il nostro test della OM-4): la fotocellula al silicio è situata in un vano nella parte inferiore dell’apparecchio, e legge la luce riflessa dalle tendine e dalla pellicola. Pertanto, come nell’Olympus, la lettura della luce viene effettuata in tempo reale. Per quanto a conoscenza dell’Autore di queste note questo non dovrebbe meravigliare in quanto l’Olympus sfrutta un brevetto Minolta.
Fotografando soggetti fissi come i menhir la Minolta CLE cade bene in mano, abbastanza pesante da far sentire la macchina non come una compatta giocattolo, ma un apparecchio fotografico con tutti i crismi ed il peso si attesta sui 380g. Impossibile non notare la somiglianza della Minolta CLE con le attuali, piccole fotocamere digitali Sigma fp e fp L: sono piccoli corredi, a pellicola o digitali, estremamente confortevoli da portare in viaggio.
La reazione della Minolta CLE alla volontà del fotografo è immediata, come del resto ci si aspetta, anche se sia la visibilità dei led nel mirino e il telemetro, non molto luminoso, creano qualche difficoltà a chi è abituato agli standard operativi di una Leica M. L’ottica Rokkor 40/2 è molto simile al 40mm Leitz (leggermente diverso il barilotto di un paio di millimetri, ma il peso rimane sui 100g) con ottima incisione, mentre ci sembra che pecchi nel contrasto, anche se è dotato di rivestimento antiriflessi multiplo. Comunque tutte cose che si possono notare in un confronto, ma non certamente nell’uso pratico.
Infine ho trovato la focale da 40mm particolarmente riuscita per riprendere gli allineamenti dei menhir, senza troppa dispersione prospettica e senza allargare inutilmente l’angolo di campo, come avrebbe potuto accadere con focali grandangolari più estreme, annegando i soggetti in uno spazio indefinito e mortificante delle reali dimensioni.
La macchina in mio possesso, usata senza riguardi sul campo e tenuta nella tasca di un gilet, ha dato una prova positiva, con ottima maneggevolezza e senza sbagliare un’esposizione, mentre talvolta, verso sera, la messa a fuoco non è risultata facilissima. Tuttavia occorre rimarcare che questo progetto innovativo è stato inficiato nel tempo da una elettronica che ha dimostrato inaffidabilità negli anni, ed attualmente sono diverse le Minolta CLE non perfettamente funzionanti. È veramente un peccato, perché una Leica M elettronica con ottiche intercambiabili è stata il sogno segreto di molti appassionati, specie in viaggio o in montagna. Si calcola che la Minolta CLE sia stata prodotta in circa 20.000 esemplari, anche nella rara versione marcata Leitz-Minolta, contro i 65.000 pezzi della Leica CL, numeri molto elevati che contraddicono la vulgata del fallimento del progetto CL e della sua derivata CLE, macchina che, devo ammettere, mi è piaciuta molto nell’uso pratico, specialmente per la sua compattezza e rapidità operativa.
Pierpaolo Ghisetti © 01/2024
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