Ho appena finito di leggere il bel libro di Fred Richtin “Dopo la fotografia” (Einaudi, 2012). Ad un certo punto, mi sono imbattuto in alcune riflessioni, sul “diritto della fotografia dopo la fotografia”.
Per Richtin c’è un prima e un dopo, nella fotografia:
“” Il diritto d’autore è legato all’evoluzione delle tecnologie di riproduzione e trasmissione dell’informazione da un filo più stretto di quanto non avvenga in altri settori del diritto.
La digitalizzazione spezza il legame tra la dimensione immateriale e quella materiale dell’opera: se per un verso essa può essere facilmente trasferita su qualunque supporto, per altro verso non necessita più della stabile presenza di questo, potendo circolare all’interno di una rete telematica anche in sua assenza.
Il processo di digitalizzazione, riducendo tutte le opere a sequenze di 0 e 1, rende possibile le forme più evolute di multimedialità. (...). Sotto il profilo della fruizione dell’opera, la perdita di centralità del supporto costituisce un elemento essenziale del processo di transizione, ormai giunto in fase matura, dall’era della proprietà all’era dell’accesso.”” (1).
Difficile dargli torto: stiamo continuando a vivere una transizione tecnologica, degli usi ai quali prima mai avremmo pensato, abbiamo una fotografia che “partecipa” agli altri media, che vive sulle interazioni.
Ora la comunicazione sembra più importante dell’unicità fotografica.
Sostituiamo all’unico originale una continua, diffusa, incontrollata riproducibilità (sia dell’immagine che del contenuto della medesima, con un’assoluta perdita di aura). Anzi, l’unicità viene vista come un ostacolo alla conoscenza.
La tecnologia, basata su codice binario, rende la fotografia al pari dell’araba fenice, brucia e poi risorge.
Ma questa morte e risurrezione, in un mondo virtuale, si deve confrontare con un’altra dimensione, quella del diritto, che vive ancora in un altro tempo: quello del momento in cui una norma viene scritta e poi adottata.
Il diritto (la regola) lo dico subito, arriva sempre (o quasi sempre) in ritardo. Solo le piazze spingono su un nuovo diritto, in tempi più rapidi.
Rispetto alla situazione italiana, è utile un confronto tra la norma in vigore (L. 633/1941 e successive modificazioni) e la situazione attuale, facendosi sempre e solo una domanda specifica: queste norme, nate in epoca fascista (ma espressione di prospettive più generali che si basavano sulla Convenzione di Berna) che concetto esprimono ed è possibile applicarli alla variegata e sempre mutevole tecnologia fotografica digitale?
L’art.1 L. 633/1941 afferma un concetto di “opera” : idea -> espressione dell’idea (forma dell’opera) -> supporto materiale (è qualcosa di paragonabile alla trinità...).
Ma nell’elenco non c’era la fotografia, nel 1941: è stata aggiunta solo nel 1979, all’art. 2, n. 7.
Ora, facciamo una foto con lo smartphone che tutti abbiamo in tasca (o con qualunque camera digitale). Non c’è un supporto materiale, ci sono solo elettroni, qualcosa che scompare (o così sembra) quando spegniamo il telefonino o la camera: nulla ci resta, salvo poi ritrovarlo alla riaccensione. Quando “diventa” opera, completando la trinità citata?
“”L’avvento della tecnologia digitale ha introdotto una grande rivoluzione all’interno del rapporto autore-fruitore perché facilita l’accesso all’opera superando ogni controllo e ignorando i diritti dell’autore.
Fino a pochi anni fa, non era concepibile un’opera dell’ingegno (ad esempio un romanzo) scollegata dal suo supporto fisico (cioè il libro cartaceo); con l’avvento della tecnologia digitale invece l’opera tende a de-materializzarsi e ad essere totalmente indipendente dal supporto fisico. Ciò ovviamente ha sconquassato equilibri economici e giuridici che si erano stabilizzati ormai da secoli.
Le reazioni sono state diverse:
• il mondo della scienza giuridica (della sociologia e della filosofia del diritto) ha studiato con grande fascino questa rivoluzione;
• il mondo del diritto applicato (le leggi e la prassi contrattuale) ha invece cercato in tutti i modi di contrastare questa tendenza e di riaffermare con fermezza il modello tradizionale, radicato sull’inscindibilità fra opera e supporto materiale (SIAE).
Il contenuto digitale manca insomma della fissazione su supporto e non ha nemmeno una fissazione della forma desiderata dall’autore. potrebbe non avere neanche le caratteristiche di opera dell’ingegno (2).””
E’ necessario affermare (a meno di non eliminare dal nostro orizzonte gran parte della produzione artistica contemporanea) l’esistenza di opere senza supporto materiale, con buona pace dell’art. 1 L.A. e della citata “trinità”. Ed ammettere anche una tutela giuridica di queste opere: la cessione di un file [non confondendo gli elettroni organizzati in un singolo elemento - in formato .jpg o .tif o altro - sullo schermo del nostro computer con
”L’immagine digitale che è la rappresentazione numerica di una immagine bidimensionale. La rappresentazione può essere di tipo vettoriale oppure raster (altrimenti detta bitmap); nel primo caso sono descritti degli elementi primitivi, quali linee o poligoni, che vanno a comporre l'immagine; nel secondo l'immagine è composta da una matrice di punti, detti pixel, la cui colorazione è definita (codificata) tramite uno o più valori numerici (bit)." (3)
è, per elaborazione giurisprudenziale, parificata alla cessione del negativo, grazie ad una faticosa interpretazione evolutiva dell’art. 109 secondo comma L.A.
Ma qui, evidentemente, si fa riferimento ad un concetto semplificato e fisico di file, non certo all’accozzaglia disordinata di bit all’interno della memoria fisica.
Ulteriore complicazione è il concetto di “opera dell’ingegno a carattere creativo”, in quanto vi è tutela giuridica solo con tale presupposto. Come faccio a decidere se l’opera ha carattere creativo se non ho l’opera e ho difficoltà ad individuare qualcosa che posso qualificare come opera?
E’ “opera” solo perchè la vedo nello schermo? Ci sono camere digitali che non hanno lo schermo.
Se, per paradosso (ma neppure tanto) mi rubano la camera digitale con immagini non ancora scaricate e il ladro scarica e spaccia come proprie le “mie” fotografie, che faccio?
Come rivendico un diritto di proprietà sulle immagini (prima) e i miei diritti di autore (poi)? E che cosa rivendico? Qualcosa che NON era nemmeno opera in quanto erano solo elettroni sparsi in una memoria?
Sempre Richtin:
”L’estrema plasticità offerta dalla rappresentazione digitale di un’opera consente a chiunque di partecipare al processo della sua scomposizione e ricomposizione, della sua modifica e della sua rielaborazione. L’opera finisce così per perdere quel carattere di stabilità spaziale e temporale che la caratterizza nel contesto analogico per divenire instabile, fluida, transitoria.” [Fine Prima Parte. Segue]
Massimo Stefanutti © 02/2013
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Crediti
(1) Fred Richtin “Dopo la fotografia” Torino, 2012
(2) Prosperetti, ‘‘La tutela dell'opera audiovisiva digitale: criticità, giurisprudenza e possibile intervento normativo’’ (articolo reperibile sul web su www.tmtlaw.typepad.com/files/eugenio-prosperetti.pdf).
(3) così in Wikipedia, voce file.