La gamma tonale è la caratteristica delle pellicole sulla quale i fotografi si esprimono con maggiore entusiasmo. Ho già avuto occasione di esprimere su queste pagine il mio scetticismo su quelle che per me sono osservazioni puntuali, che poco o nulla dicono su quello che ci si può aspettare da una pellicola. Torno sull'argomento esaminando un po' più a fondo il comportamento delle pellicole sotto questo aspetto che sembra riscuotere tanto interesse.
Di solito si definisce "gamma tonale estesa" una particolarmente gradevole e non meglio definita combinazione di grigi compresi tra il bianco della carta non esposta ed il massimo nero. È evidente che questa è una definizione altamente soggettiva; se invece chiamiamo gamma tonale l'estensione della scala di grigi, la definizione diventa oggettiva e misurabile, e, come immediata conseguenza, foto stampate sulla stessa carta e che contengano il massimo bianco ed il massimo nero avranno tutte la stessa identica gamma tonale (Fig. 1 e 2).
Fig. 1
Fig. 2
La differenza tra il primo ed il secondo esempio è il numero dei grigi presenti: due in Fig. 1 ed un numero teoricamente infinito in Fig. 2. La carta è capace di rendere tutti i grigi compresi tra i due estremi, quindi dobbiamo guardare da qualche altra parte se vogliamo capire cosa influenzerà cosa nella ricerca della stampa che ci soddisfi dal punto di vista tonale. I problemi cominciano quando si insiste nel fissare il rapporto di causa ed effetto tra la pellicola ed una certa combinazione di grigi, ignorando gli altri fattori che intervengono nel tradurre l'insieme di luminosità del soggetto nell'insieme dei grigi della stampa, e soprattutto senza rendersi conto del peso relativo di tali fattori nel determinare il risultato finale.
Lasciamo da parte il controllo della densità del negativo mediante sotto- o sovrasviluppo o i trucchi impiegati in CO per modificare a volontà i rapporti tonali della stampa, per concentrarci sulla carta, e più precisamente sul suo comportamento all'esposizione, che, al di là dalle pur importanti differenze tra le diverse marche e tipi, presenta caratteristiche comuni a tutte le carte fotografiche. Nel passaggio dalla gamma di luminosità del soggetto alla gamma tonale della carta attraverso la gamma di densità del negativo, è la carta che rappresenta l'elemento più critico. Questo può sembrare assurdo perché contrario all'esperienza comune secondo la quale, se in CO le cose non vanno, basta cambiare gradazione di carta e tutto torna a posto. Ma esaminiamo per un momento le curve caratteristiche di una carta e di un negativo, e più specificamente della Agfa Multicontrast MCC 1/111 N°2 e della Ilford HP5+ (Figg. 3 & 4).
Fig. 3
L'esposizione minima per impressionare questa carta corrisponde al valore di 0.25 sulla scala orizzontale, mentre è necessaria un'esposizione corrispondente a 1.5 per ottenere il massimo nero possibile. L'intervallo di esposizione utile è dunque di 1.25, e per ottenere questi valori estremi il negativo teorico dovrà avere una differenza di 1.25 tra la sua densità massima e quella minima.
Guardiamo ora la curva caratteristica della HP5+ (Fig. 4). In prima analisi osserviamo che la densità minima è stata collocata a 0.2 al di sopra della densità di base più velo e non al valore abituale di 0.1. Si tratta di un artificio del tutto legittimo che simula una sovraesposizione di uno stop, e che consente di operare sulla parte rettilinea della curva caratteristica. Questo fa sì che che a differenze uguali di luminosità del soggetto corrispondano differenze uguali di densità del negativo.
Fig. 4
In secondo luogo osserviamo che gli estremi di luminosità del soggetto, che, attraverso la differenza di densità di 1.25 sul negativo, corrispondono alle due tonalità estreme della carta, stanno tra loro in un rapporto di 1:80, mentre il negativo può tranquillamente registrare un soggetto con un rapporto di luminosità di 1:512, cioè di 6.4 volte superiore, e questo senza contare la parte bassa della curva che non abbiamo utilizzato. In altre parole, il fattore che limita l'estensione della gamma dei grigi di una stampa non è il negativo, ma la carta; e questo è vero per qualunque altra pellicola.
Se poi misuriamo come la carta traduce uguali differenze di densità del negativo ci aspetta un'altra sorpresa. Dividiamo infatti la gamma di densità del negativo in cinque sezioni uguali, che, grazie alla linearità della curva caratteristica della HP5+, corrispondono a cinque uguali differenze di luminosità del soggetto; ed esaminiamo come la carta reagisce nelle due sezioni estreme e quella centrale (Fig. 5).
E c'è di più. Mentre la sezione dei toni intermedi era al centro della scala delle luminosità del soggetto e della scala delle densità del negativo, essa è spostata verso il basso, cioè verso la zona delle luci della stampa. Salta dunque all'occhio che la carta altera in maniera fondamentale i rapporti di densità del negativo e di conseguenza quelli del soggetto.
Vediamo ora cosa succede con la Fuji Neopan 400 e l'Agfa APX100, scelte per le curve caratteristiche che si distinguono nettamente da quella dalla HP5+, avendo rispettivamente una convessità ed una concavità verso l'alto.
La tabella in Fig. 6 riassume i dati estratti dalle curve caratteristiche della Neopan 400 e della APX 100, e li confronta con queli della HP5+ (Fig. 3).
Differenze di luminosità/densità |
ombre | mezzi toni | luci | . |
SOGGETTO | 0.39 | 0.39 | 0.39 | . |
HP5 | 0.25 | 0.25 | O.25 | mezzi toni equidistanti da luci e ombre |
NEOPAN 400 | 0.23 | 0.27 | 0.22 | mezzi toni spostati verso l'alto |
APX 100 | 0.13 | 0.27 | 0.28 | mezzi toni spostati verso il basso |
Ad intervalli di luminosità del soggetto uguali (0.39) ed equidistanti tra loro corrispondono sul negativo HP5+ intervalli di densità uguali (0,25) e sempre equidistanti tra loro. La Neopan 400 e la APX 100, oltre a modificare già da sole i rapporti di luminosità del soggetto, spostano i valori dei mezzi toni rispettivamente verso l'alto (i mezzi toni appariranno più chiari) e verso il basso (i mezzi toni appariranno più scuri). Ma piuttosto che speculare sui dati relativi ai negativi, vediamo come questi vengono tradotti in densità della carta, che in fondo è quello che ci interessa (Fig. 7).
Fig. 7
Se sull'asse orizzontale della curva caratteristica della carta riportiamo gli intervalli di densità dei negativi come da tabella in Fig. 6, facendo attenzione ad invertirne l'ordine in modo da mettere ombre con ombre e luci con luci, otteniamo sulla scala verticale le densità con cui vengono rappresentate nella stampa le luminosità del soggetto.
Dai diagrammi possiamo desumere con sufficiente sicurezza che:
Cercando di capire come partendo da una pellicola si arrivi a certi risultati mi auguro di aver fornito a chi è interessato ad andare a fondo nelle cose qualche elemento utile per estrarre il massimo dal suo prodotto preferito, e per fondare su termini concreti i motivi della sua predilezione.
Romano Sansone © 01/2005
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Fig. 8
Fig. 9