Già nel primo autunno, sulle nostre montagne, è possibile imbattersi nel "vero" gelo: intorno ai meno 10° anche il flusso dell'acqua di un torrente comincia a ghiacciare, disegnando complesse trame sulla superficie dell'acqua.
La foresta di betulle nella caratteristica luce del "giorno" oltre il Circolo Polare.
Il dog-sledge, la slitta trainata dai cani, non è solo un mezzo di locomozione affascinante ed ecologico, ma è anche l'unico possibile in alcune delle aree protette della Lapponia, dove non è consentito l'accesso alle motoslitte.
Le tracce dell'involo di una pernice bianca fotografate a meno 40 gradi. La pernice bianca ha sviluppato specifici adattamenti alle bassissime temperature. Altrettanto non può dirsi dell'animale fotografo, che necessita di un adeguato abbigliamento.
La Cincia siberiana è uno dei pochi animali in grado di superare gli inverni artici, cosa sorprendente se si pensa che deve mantenere una temperatura interna di 41 gradi in un corpicino di una decina di grammi.
Ogni anno in questa stagione appaiono puntuali, sulle riviste del settore, articoli su "Come fotografare in inverno o sulla neve: consigli sull'esposizione e idee per gli scatti". Ma dal punto di vista pratico, cosa significa fotografare quando fa davvero freddo, quando le temperature scendono abbondantemente sotto lo zero e arrivano a mettere in difficoltà il fotografo, oltre che l'attrezzatura?
Lo spunto è nato dall'esperienza personale durante un viaggio invernale in Lapponia, dal quale ho tratto una serie di indicazioni pratiche, utili anche in altre situazioni. Non è infatti necessario addentrarsi in sperdute lande circumpolari (anche se di certo aiuta ) per trovare temperature estremamente rigide; sulle nostrane piste da sci o sugli altopiani in quota (Livigno, tanto per citarne uno), è possibile provare il brivido, termine quanto mai azzeccato, dei meno 20° e oltre anche alle nostre latitudini. In questo periodo di estremizzazione dei fenomeni climatici, è poi possibile incorrere in temperature di meno 15/20° persino in pianura, come si è visto anche di recente.Le batterie
Purtroppo le nostre fotocamere sono esigenti, e non si accontentano di una barretta di cioccolato. Come è facile intuire i problemi principali legati all'attrezzatura riguardano proprio l'alimentazione. Le batterie, anche quelle al litio che pure mostrano una maggior efficienza e durata con freddo intenso, tendono a perdere la carica dopo un tempo che varia a seconda della temperatura raggiunta. Per dare un'indicazione di massima, la mia F100 dotata di MB15 con 6 pile alcaline nuove ha funzionato per una trentina di minuti prima di cedere, nonostante avessi l'accortezza di estrarla solo per lo scatto; la temperatura era di meno 41 gradi, obiettivamente difficile da incontrare, ma il dato non varia grandemente anche a meno 20/25 gradi, un freddo che nelle nostre montagne non è infrequente.
La prima raccomandazione, la più scontata, è di uscire ogni volta con pile fresche nei corpi macchina, e di portarsi dietro un ricambio, meglio se già alloggiato negli appositi portabatterie (acquistabili come ricambio) laddove la fotocamera li preveda. Le pile di ricambio vanno tenute possibilmente nelle tasche interne, a contatto col calore corporeo; questo è adeguato per temperature fino ai meno 15/20°, mentre può rivelarsi insufficiente con temperature inferiori. In questo caso è opportuno dotarsi di elementi riscaldanti da conservare nelle stesse tasche alle batterie di ricambio.
Una soluzione pratica, realizzabile con un minimo di manualità, si ottiene modificando un portabatterie di ricambio della reflex, in modo da farne uscire un cavo di un paio di metri di lunghezza che andrà collegato ad un pack portapile standard (si trova facilmente in un negozio di forniture elettriche) che terremo in tasca o ancor meglio nello zaino con gli elementi riscaldanti; il tutto con una spesa di pochi Euro e senza eccessivo intralcio nell'utilizzo sul campo.
Il treppiede
Veniamo al treppiede, croce e delizia di ogni fotografo che si rispetti, elemento fondamentale del nostro corredo sul quale vale quindi la pena di dilungarsi. Essendo l'oggetto del nostro odio/amore generalmente in metallo, la prima raccomandazione è di non impugnarlo mai a mani nude, pena l'immediata ustione da freddo delle dita, vi assicuro assai dolorosa. Esistono in commercio protezioni imbottite per le gambe, surrogabili con più economici manicotti in materiale isolante per tubi idraulici, disponibili in vari diametri. Resta il problema delle sezioni non protette, quelle estraibili, per le quali occorre prestare attenzione, soprattutto perché il momento della ripresa, e quindi del loro posizionamento, è quello in cui più facilmente liberiamo le mani dai guanti.
Per quanto riguarda le caratteristiche del treppiede, per una volta le teste a sfera (di cui sono un sostenitore) non si rivelano la scelta migliore: le temperature limitano la fluidità delle teste stesse e l'efficienza dei lubrificanti; i comandi, di solito a rotella o manopola, possono risultare sottodimensionati nell'utilizzo con i guanti, e il sistema di serraggio a vite tende a bloccarsi per il freddo. In questo caso tornano attuali le tradizionali teste a tre movimenti, dotate in genere di leve e pomoli generosamente dimensionati.
Anche per il blocco delle sezioni delle gambe preferisco in genere il sistema a ghiera filettata, perché non occorre applicare una forza laterale per lo sblocco, bensì coassiale; in tal modo non si modifica l'assetto dell'insieme e non si rischia di comprometterne l'equilibrio. Per le medesime ragioni citate per le teste, però, nel caso specifico di grande freddo sono forse più pratiche le chiusure con morsetto di bloccaggio a scatto.
Va detto che in presenza di neve il treppiede sprofonda inevitabilmente nello spessore del manto nevoso. Come fare per risolvere il problema? Niente di diverso dallo stratagemma a cui si ricorre anche per camminare: esistono dei dischi in materiale plastico da agganciare all'estremità delle gambe, sorta di vere e proprie racchette da neve da cavalletto che si rivelano indispensabili, soprattutto in presenza di neve soffice (tipica degli inverni scandinavi). Gitzo ha a catalogo un modello adattabile ad ogni modello di treppiede.
In azione
Prima di uscire è opportuno inserire sempre batterie fresche e rullini nuovi, non solo per ovvie ragioni di autonomia, ma anche per minimizzare la necessità di operare con i corpi macchina all'aperto. Inoltre, è meglio avere le ottiche già montate sui corpi. Sistemiamo nello zaino solo lo stretto necessario, ricoprendolo con strati di pile o lana che permettono di mantenere a lungo una temperatura relativamente alta. Usciamo col treppiede già esteso all'altezza di lavoro, e cerchiamo di lasciarlo sempre ad un'estensione media, per minimizzare gli interventi sugli sblocchi.
Una volta all'esterno, teniamo presente che la differenza di temperatura fa sentire il suo effetto anche all'aperto. Il tappo copriobiettivo, al momento dello scatto, non va riposto in tasca; qui infatti il calore corporeo lo scalderebbe al punto che una volta rimesso sull'ottica la velerebbe istantaneamente di condensa. Lo zaino va aperto il meno possibile: per quanto possa sembrare scomodo, il consiglio è di estrarre le fotocamere solo quando si è deciso di scattare, riponendole poi non appena effettuata la ripresa. Questo prolungherà sensibilmente la durata delle batterie e diminuirà l'impatto del gelo sui corpi, anche grazie al microclima che viene mantenuto nello zaino.
Per previsualizzare un'inquadratura senza guardare attraverso il mirino utilizzo il semplice accorgimento di traguardare la scena attraverso un telaietto da diapositiva che porto sempre con me. È un'abitudine che ho assimilato usando il banco ottico e che si rivela utile in qualsiasi circostanza, oltre ad essere praticamente a costo zero. Con un minimo di pratica diventa intuitivo associare ad una certa distanza occhi-cornice la lunghezza focale corrispondente, e in questo modo si può montare direttamente l'ottica giusta per l'immagine che si ha in mente.
Per aumentare l'autonomia di lavoro delle batterie disinseriamo l'autofocus (laddove non sia strettamente necessario alla ripresa) e accendiamo l'esposimetro solo al momento dello scatto.
Molta cura va riposta nell'evitare il contatto col corpo macchina: anche se l'immagine può suscitare ilarità, vi assicuro che non è per nulla piacevole rimanere incollati al corpo metallico di una reflex con baffi e barba (per non parlare delle labbra), rischiando di trascinarsi addosso fotocamera e treppiede!
In particolare consiglio di detergersi sempre fronte e occhi prima di avvicinare lo sguardo al mirino (utili i mirini tipo "High Eye Point") per evitare di lasciare sul campo qualche sopracciglio; esperienza questa, vi posso assicurare, alquanto dolorosa oltre che imbarazzante. Il calore della pelle e l'umidità del respiro sono sufficienti per creare un velo di brina sulle ciglia o intorno alla bocca, brina pronta a sciogliersi per riformarsi al contatto col metallo freddo, con le conseguenze citate. L'uso di una conchiglia in gomma, o di un mirino angolare, mi avrebbe evitato questo inconveniente.
Si può pensare anche di arrivare a dotare la fotocamera di una copertura in tessuto, una specie di cappottino (simile ai "blimp" insonorizzanti) per utilizzarla senza inconvenienti e mantenerla più calda quando la si estrae dallo zaino.
Meno 20, meno 30
sembra la discesa di un apneista, e in realtà a tali temperature occorre davvero ricorrere ad un po' di apnea. Il respiro si condensa in un attimo e vela inesorabilmente il mirino; attendere che si spanni lentamente non è esattamente confortevole, con un tale freddo. Meglio allora trattenere il fiato e in ogni caso dirigere la nostra espirazione lontano dal corpo macchina o da qualsiasi altro pezzo del nostro corredo.
Sotto i meno 20/25 gradi può non bastare nemmeno quello, a volte. Ho trovato alcuni scatti inspiegabilmente flou, pur avendo la certezza di non aver scattato con le lenti appannate, e usando la fotocamera su treppiede, con pellicole e ottiche irreprensibili per nitidezza. Il calore della guancia, durante il lungo lavoro di inquadratura e messa a fuoco, era evidentemente riuscito a velare direttamente la pellicola attraverso il dorso della fotocamera. Anche in questo caso un mirino angolare sarebbe stato utile per "mantenere le distanze".
Un minimo di attenzione, soprattutto in presenza di nevicate, aiuta a preservare l'attrezzatura: quando cambiamo gli obiettivi, ad esempio, manipoliamoli tenendo sempre l'innesto verso il basso, in modo che la neve non cada sulla lente posteriore; attenzione anche alla neve depositatasi sui guanti: pulirli sempre prima di mettere mano all'attrezzatura.
Un piccolo appunto per i fotografi naturalisti: dimenticatevi le foto alla fauna da appostamento, a meno che non vogliate diventare velocemente parte definitiva del paesaggio naturale, o che siate attrezzati come una spedizione antartica. È semplicemente impossibile resistere fermi in un capanno a temperature così basse.
I disagi non finiscono col rientro alla "base". Stando all'aria aperta, la temperatura all'interno dello zaino si è lentamente allineata a quella esterna, e ce la "portiamo" dietro entrando in un ambiente caldo. L'apertura repentina della borsa produrrà allora un'improvvisa gelata "fuori stagione" su tutto il corredo, che andrà dalla semplice velatura alla vera e propria brinata con tanto di cristalli di ghiaccio, a seconda della portata dell'escursione termica tra esterno e interno. Inutile dire che il ghiaccio, una volta scioltosi, bagnerà il corredo e la borsa stessa con conseguenze poco simpatiche. L'unica soluzione è lasciare tutti contenitori chiusi per un'ora o due, in modo che il riequilibrio termico avvenga in modo graduale. Per fortuna nel caso contrario, uscendo al freddo da un ambiente caldo, problemi di questo tipo non sussistono.
Viene quindi il momento del meritato riposo, ma, se questi accorgimenti possono dare l'idea che sia necessario un arduo sforzo per fotografare all'aperto, qualsiasi fatica sarà premiata dalle atmosfere, dalle luci e dalle situazioni che si possono trovare in questa stagione, al punto che una volta tornati al caldo si ripresenta immediatamente la voglia di uscire di nuovo per godere dello spettacolo di una natura al massimo grado della sua suggestione.
Vitantonio Dell'Orto © 02/2004
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