LA FOTO DI VIAGGIO
Romano Sansone, settembre 2003

Tornato da un viaggio ho trovato di aver scattato un numero abbastanza soddisfacente di buone foto, ma poche atte a raccontare i luoghi visitati. A seguito di questo inconveniente ho fatto alcune riflessioni sull'essenza della cosiddetta fotografia di viaggio. Ritenendole un utile punto di partenza per quanti sono confrontati con analoghi risultati le ho sintetizzate in questo articolo.

Senza far torto a nessuno credo che il mio curriculum di viaggiatore sia di tutto rispetto. Non è altrettanto facile assegnare una valutazione qualitativa alla mia fotografia di viaggio che è passata attraverso alti e bassi in funzione delle località visitate, della complessità delle realtà incontrate, della libertà e del tempo a disposizione per fotografare, e, non ultima, della scelta dell'attrezzatura.
Di conseguenza chi si aspettasse di trovare in queste note il decalogo per migliorare la propria fotografia di viaggio rimarrebbe deluso: tutto quello che posso fare è condividere le mie esperienze nella relativa sicurezza che, tra le masse di viaggiatori con una macchina fotografica al collo, ci deve essere qualcuno che possa trarne un insegnamento o una conferma delle proprie esperienze, o - più semplicemente - una magra consolazione per le sue delusioni. Il massimo della soddisfazione sarebbe se questa somma di esperienze mettesse in moto dei processi mentali autonomi, che permettessero a chiunque senta il bisogno di migliorare le proprie prestazioni di proseguire per la propria strada.

Per cominciare, che cos'è la fotografia di viaggio? L'affermazione generica che è quella che si pratica quando si è fuori dal proprio ambiente dovrebbe coprire in po' tutto, ma è proprio così?
Guardiamo la Fig.1


Fig. 1

Si tratta di una strada di una cittadina svizzera sotto la pioggia, durante il periodo natalizio. L'orologio, ben leggibile nella dia originale, ci dice che durante un giorno lavorativo questo non sarebbe orario di chiusura, e la luce naturale insieme al periodo dell'anno rivelato dalle decorazioni ce lo conferma. L'aspetto più notevole della foto è la quasi totale assenza di persone, tipica di questi luoghi durante i pomeriggi domenicali o comunque di festa. Foto di viaggio? Se l'aveste fatta voi sì, ma io abito in Svizzera da 30 anni, e quella strada è a due passi da casa, quindi c'è qualcosa che non va nella definizione. E neanche la Fig. 2 ci aiuta, dato che la foto, che tra gli amici ha riscosso non pochi consensi, è stata sì scattata a Malta, ma non ci dice proprio nulla a proposito di quest'isola.


Fig. 2

Il fatto che sia stata scattata mentre ero in viaggio non ne fa una foto di viaggio perché non descrive neanche un aspetto dei luoghi visitati. E allora come la mettiamo? Buttando alle ortiche la qualifica "di viaggio", che non dice un bel niente, e concentrandoci sul rapporto immagine-luogo, sia questo dietro l'angolo di casa o agli antipodi.

Non è che parlare di rapporto immagine-luogo sia più facile se con questo si pretende di assegnare dei criteri secondo i quali il rapporto c'è o non c'è. Che i tavolini della Fig. 2 non abbiano alcun rapporto con Malta e che la Torre Eiffel abbia un rapporto con Parigi è evidente, ma è il passaggio da un estremo all'altro che sfugge all'analisi, per cui dovremo aiutarci ancora con degli esempi e delle opinioni che, per essere soggettive, non possono essere conclusive, ma piuttosto costituire l'inizio di un discorso che il lettore potrà proseguire con se stesso.
Rimaniamo a Malta ed osserviamo la Fig. 3.


Fig. 3

Chi non ci è mai stato dovrà accettare quello che dice il fotografo, con la certezza che nell'immagine ci sia un riscontro verificabile ed unico per quella particolare località. La questione che può essere sollevata è se la scena sia "tipica" di Malta. Ovviamente non lo è, di anziani signori che leggono il giornale sul lungomare della loro città ce ne sono dappertutto, qui la località fornisce solo lo scenario, ma la questione del "tipico" merita una risposta più articolata. Se è vero che il tipico può costituire il soggetto di una buona foto, è altrettanto vero che il tipico per il gusto del tipico conduce troppo spesso a foto assolutamente banali. Un fotografo che non troverebbe interessante un impiegato della Banca d'Italia vestito nel suo costume tradizionale consistente di giacca e cravatta si squaglia di fronte alla stessa scena se l'impiegato lavora presso la Bank of India e porta il turbante tradizionale dei Sihk. Ecco quindi un caso dove il rapporto immagine-luogo esiste, ma funziona in senso negativo, e se ne farebbe tanto volentieri a meno quando non si riesce a rifiutare un invito ad un dia-show.

Ma proseguiamo la nostra escursione per Malta, e soffermiamoci sulla Fig. 4


Fig. 4

Qui bisogna essere dei veri conoscitori dei luoghi per dire dove ci troviamo, la foto, se vale qualcosa, la vale per sé, nel senso che dovrebbe far toccare con mano l'atmosfera sonnacchiosa di un villaggio durante le ore pomeridiane, con le due piccole figure al centro che accentuano il senso di solitudine. Esiste un rapporto con il luogo, visto che nel migliore dei casi si riesce solo a collocare la scena nell'area mediterranea? Secondo me sì, nel senso che una volta dichiarato che questo è un aspetto dell'isola di Malta, esso è coerente ed informativo di una realtà locale.

A volte è molto facile stabilire il rapporto immagine-luogo, se per esempio le realtà da rappresentare sono molto semplici. È questo il caso di una particolare visione della Groenlandia. Non che in questa regione manchino riferimenti storici, etnici o culturali, ma in questo caso si trattava di percorrere con il kayak un fiordo di 200 km ad un'ora di aereo dalla più vicina località abitata, e nel quale, secondo l'addetto al traffico del piccolo aeroporto da cui siamo partiti, c'eravamo solo noi cinque. Nella Fig. 5 il rapporto immagine-luogo esiste: è vero che di iceberg ce ne sono anche altrove, ma non c'è nessuna ragione per negare l'affermazione che questa sia effettivamente la Groenlandia.

Le cose cominciano a diventare più complicate quando la foto, oltre a contenere indicazioni esplicite o come minimo coerenti con il nome dichiarato della località, deve anche, nelle intenzioni dell'autore, riflettere aspetti culturali del luogo, dove "culturali" è inteso nel senso più lato della parola.


Fig. 5

Qui testo ed immagine devono andare mano nella mano, perché l'immagine può "parlare da sola" solo fino ad un certo punto. Confrontiamo infatti le Figg. 6 e 7


Fig. 6

Nella Fig. 6 il turbante dice Tuareg e Tuareg dice Sahara, che il luogo preciso sia l'oasi di Bilma nel Niger è del tutto irrilevante. Il giovane cammelliere (che sia un cammelliere ve lo dico io) è intento a farsi una corda intrecciando foglie di palma. Nella Fig. 8 il luogo è meno evidente, nella nostra mente l'immagine dei Tuareg è associata al modo di vestire degli uomini, ma quello delle donne è altrettanto caratteristico, e siamo ancora nel Niger, nelle vicinanze di Agadez. Anche la donna sta intrecciando foglie di palma, per fare, almeno in apparenza, un nastro. Da quel nastro nascerà una stuoia, e da più stuoie una tenda, la casa che la madre darà in dote alla figlia. Lo sposo entra nella casa della moglie e nel suo clan. Questo la foto, per chiara che possa essere la sua collocazione geografica, non lo può dire.


Fig. 7

Che c'entra questo con il nostro discorso? C'entra, perché bisogna essere coscienti del fatto che quando si parte per raccontare un luogo la fotocamera può non essere sufficiente, e che altro è il rapporto immagine-luogo se non il racconto, un racconto, al limite un piccolo racconto del luogo?

E con questo dovrebbe essercene abbastanza per suscitare dubbi, domande e critiche, senonché non voglio privarvi di un'ultima provocazione.


Fig. 8

La Fig. 8 l'ho intitolata "Un fiore nel gulag". Che si tratti di un gulag, del gulag di Atlassovo in Kamchatka, ve lo dico io, ma vi assicuro che se non me l'avessero detto non me ne sarei accorto. Chiuso alla caduta dell'Unione Sovietica, è un mucchio di baracche in rovina che ha poco dell'idea che ci facciamo del campo di concentramento: niente resti di filo spinato, una misera garitta sopraelevata in luogo delle torri con mitragliatrici e riflettori, dei recinti che avrebbero potuto essere facilmente scavalcati da chiunque avesse avuto la bizzarra idea di andare a morire fuori piuttosto che dentro. Se mi avessero detto che era un cantiere in disuso ci avrei creduto. Ma mi hanno detto cos'era stato, e che per rendere la cosa più macabra gli avevano dato il nome di Vladimir Atlassov, il crudele capo dei Cosacchi che prese controllo della penisola alla fine del 1600. Il tutto emanava una tale aria di tristezza che non ho potuto fare a meno di notare quella solitaria pianticella di fiori selvatici, che ho voluto fotografare contro uno sfondo volutamente scuro e sfocato, contro il luogo anonimo, simbolo di qualcosa che esiste solo nella mia fantasia. C'entra questo con tutto il discorso di prima? Secondo me sì, ma non sono sicuro che la mia foto ed i miei pensieri riescano a comunicarlo. Fate voi.
Comunque non è a caso che ho tenuto questa foto per ultima. Se essa si inserisce, come credo, al punto giusto nella progressione che ho tentato di costruire, presa nel contesto della regione nella quale è stata scattata è una delle pochissime che raccontino qualcosa. La realtà della Kamchatka si può dividere in due grandi filoni: quello della natura, largamente incontaminata, e quello della situazione socioeconomica di una regione abbandonata dal Governo centrale che non la considera più l'estremo baluardo contro il nemico Americano. L'atmosfera generale, pur con lodevoli eccezioni, non è di dignitosa povertà ma di rassegnazione e di degrado. Lo sapevo prima di partire, c'ero già stato di passaggio, e mi ero fatto il lavaggio cerebrale di non approfittare della cattiva sorte degli altri per il gusto di mettere a segno delle foto da far vedere agli amici. Ho tenuto fede ai miei propositi e mi è costato una paurosa scarsezza di foto presentabili. Per consolarci andiamo a prendere un tè (Fig. 9), che il samovar ed il bosco di betulle siano russi lo vedete anche da voi.


Fig. 9

Romano Sansone © 09/2003
Riproduzione Riservata

P.S. Non prendetemi troppo alla lettera, se in Papua-Nuova Guinea trovate dei tavolini metallici risplendenti al sole fotografateli pure. Solo non dite poi che sono "foto di viaggio".