LA CAMERA OSCURA PER CHI INIZIA
Breve corso di stampa bianconero

Marco Alici, luglio 2000

PERCHÉ STAMPARE DA SÉ IL BIANCONERO

Il fascino del bianconero, oltre alla bellezza intrinseca delle immagini che fornisce, risiede nel fatto che il processo può essere realizzato interamente in proprio, dallo scatto alla stampa finale, senza grosse difficoltà ed a costi tutto sommato contenuti. Lo stesso non può dirsi della stampa a colori, che richiede un controllo fine delle variabili (temperature dei bagni chimici, calibratura cromatica della luce...) anche solo per ottenere risultati appena mediocri, ed una spesa superiore al costo del trattamento eseguito dal laboratorio.

SVILUPPARE IL NEGATIVO. COSA SERVE?
Partiamo dal presupposto che chi decide di stampare da sé il bianconero voglia anche sviluppare da sé la pellicola. Naturalmente non è obbligatorio, ma dato che sviluppare una pellicola B/N è semplice ed economico, e non richiede attrezzature particolarmente costose né l'occupazione di un luogo (richiesta invece, come vedremo, dalla fase di stampa), non c'è motivo per non farlo. Anzi, è più logico iniziare a sviluppare da sé e farsi stampare da altri (se ci accorgiamo che non fa per noi, non dovremo rammaricarci di aver speso un patrimonio in attrezzature), per poi iniziare anche a stampare.

Per lo sviluppo della pellicola serve: 

Utili ma non indispensabili:

SVILUPPIAMO IL NEGATIVO
Abbiamo comprato tutto l'occorrente. Abbiamo anche (naturalmente) un rullino bianconero (qualunque marca e sensibilità fra 100 e 400 ASA) da sviluppare. Ora, con mano tremante, ci accingiamo all'operazione.

PREPARAZIONE DEI BAGNI
Per prima cosa, prepariamo i bagni. Utilizzando i misurini, prepariamo sia lo sviluppo che il fissaggio alla diluizione prevista sulle rispettive istruzioni accluse. Di solito i rivelatori in polvere vanno preparati ottenendo un litro di soluzione, mentre i liquidi concentrati possono essere preparati nella quantità che ci serve. Personalmente preparo _ litro per volta di rivelatore Kodak T-Max e 1/2 litro di fissaggio Ilford Hypam, entrambi nella diluizione 1+4; la quantità di liquido che ci occorre dipende dalla capacità della nostra tank, dato riportato di solito sulle istruzioni della tank stessa o direttamente sul fondo.

Una volta preparati, bisogna portarli alla temperatura di lavoro, solitamente di 20 °C (e qui ci serve il termometro che abbiamo comprato). Se sono più freddi, riscaldiamoli mettendoli in un recipiente con acqua calda; se più caldi, mettiamoli per qualche minuto in frigo o in surgelatore. È importante che almeno lo sviluppo sia a 20 °C, e il fissaggio non sia troppo lontano dai 20 °C.

CARICAMENTO
Preparati i bagni nella quantità che ci serve e messi ciascuno nella sua bottiglia (una bella etichetta è raccomandabile), ci si prepara a caricare la pellicola sulla spirale. Questa operazione è solitamente spiegata in maniera esauriente sulle istruzioni d'uso delle tank. Va comunque ricordato che:

Tagliamo la coda della pellicola e arrotondiamone i bordi affinché non si inceppi nella spirale, facciamo 100% buio e carichiamo la pellicola sulla spirale. Tagliamo via il caricatore, mettiamo la spirale nella tank, chiudiamo ben bene con il coperchio. A questo punto possiamo accendere la luce, dato che la tank è a tenuta di luce anche aprendo il tappo che serve per caricare i liquidi.

SVILUPPO
A questo punto immettiamo il rivelatore, chiudiamo tutto, sbattiamo con decisione un paio di volte la tank sul tavolo (operazione detta "dislodging" che serve per eliminare eventuali bolle d'aria rimaste attaccate alla pellicola), e facciamo partire il cronometro.

La prima volta ci atterremo al tempo di sviluppo e alla modalità di agitazione riportate sulla confezione di pellicola. Agitiamo quindi, rovesciando la tank, all'inizio (di solito per 30 secondi), e poi secondo le modalità previste (di solito 10 secondi ogni minuto, o 5 secondi ogni 30 secondi): non importa come (almeno all'inizio), ma ciò che importa è abituarsi ad usare lo stesso tipo di agitazione per tutta la durata dello sviluppo.

ARRESTO
Una quindicina di secondi prima dello scadere del tempo di sviluppo, svuotiamo la tank. Personalmente uso svuotarla direttamente nella bottiglia dello sviluppo servendomi di un imbuto. Quindi immettiamo la stessa quantità d'acqua (o di arresto), agitiamo per una ventina di secondi e svuotiamo di nuovo.

FISSAGGIO
Immettiamo il fissaggio e agitiamo come fatto per lo sviluppo. Per il fissaggio il controllo dell'agitazione non è strettamente necessario, ma abituarsi a standardizzare la procedura è forse la prima regola da seguire nel trattamento del bianconero. Fissiamo per il tempo consigliato sulla confezione della pellicola o del fissaggio stesso. È sempre meglio "abbondare" nella durata del fissaggio, piuttosto che "scarseggiare". Come già detto all'inizio, il fissaggio scioglie via la parte di emulsione non sviluppata e rende "trasparente" la pellicola: un cattivo fissaggio causa un deterioramento molto precoce dell'immagine nel tempo.

LAVAGGIO
Serve per eliminare ogni traccia di fissaggio dalla pellicola. Infatti anche il fissaggio, se resta a contatto con l'emulsione, provoca un deterioramento dell'immagine con formazione di macchie indelebili. Quindi va effettuato lasciando la tank aperta sotto l'acqua corrente per un congruo tempo. Quanto? Ogni pubblicazione che ho letto forniva un valore diverso, comunque direi che un quarto d'ora è un tempo sufficiente, mezz'ora è "meglio".

Esiste anche una procedura indicata negli opuscoli delle pellicole ILFORD, garantita per una conservazione "da archivio", che consente un gran risparmio di acqua e di tempo. La riassumo:

ASCIUGATURA
Terminata la fase di lavaggio, se si lasciasse asciugare il negativo così ottenuto si formerebbero macchie di calcare lasciate dalle gocce d'acqua che evaporano. Per evitare questo esistono molte e controverse tecniche. L'ortodossia del bianconero consiglia di operare un ultimo bagno in acqua addizionata da un apposito prodotto chiamato "imbibente" (le maggiori marche di prodotti per il bianconero ce l'hanno in listino), che non è altro che un tensioattivo; si può quindi sostituire con una goccia di sapone neutro o di shampoo. Altri usano una miscela di acqua + alcool (che tra l'altro rende più veloce l'asciugatura). Io ho provato anche con il detersivo per i piatti e il brillantante per lavastoviglie, ma non sono stato soddisfatto.

Attualmente uso praticare - con successo - un ultimo bagno in acqua demineralizzata: in questo modo l'acqua che resta sul negativo è priva di sali minerali per cui, evaporando durante l'asciugatura, non lascia traccia. Pare, però, che l'acqua demineralizzata indebolisca l'emulsione rendendola delicatissima, per cui se volete usare questa tecnica maneggiate il negativo con la massima delicatezza.

Fatto questo, nel modo che preferite (per cominciare in economia si può usare il sapone neutro o lo shampoo), si può aprire la spirale per liberare la pellicola prendendola per i bordi o per la coda iniziale; questa va posta ad asciugare in una zona il più possibile priva di polvere, in quanto ogni granellino che si attaccherà all'emulsione resterà attaccato a perenne memoria, producendo sulle stampe dei puntini bianchi. Il mio luogo ideale è il bagno, dove si può adattare un appendi-panni in modo da poterci appendere la pinza. Se non si mette un peso (l'apposita pinza piombata o un paio di pinze da bucato o qualunque cosa pesante vi viene in mente) dall'altra parte, asciugandosi la pellicola tenderà ad arrotolarsi, facendovi poi disperare ogni volta che la maneggerete.

Quando la pellicola è completamente e perfettamente asciutta (non prima, dato che l'emulsione bagnata è delicatissima), si può tagliare con le forbici in spezzoni da 6 fotogrammi per essere riposta negli appositi raccoglitori. Esistono i "classici" fogli di pergamino, molto economici e adatti alla conservazione ma scomodi per la visione dei fotogrammi data la loro imperfetta trasparenza, e i "moderni" fogli di materiale plastico (attenzione, evitare il PVC, dannoso per la conservazione), perfettamente trasparenti ma un po' più costosi.

Terminato lo sviluppo (facile, no?), non ci resta che ammirare in trasparenza il risultato dei nostri sforzi in attesa di fare...I PROVINI A CONTATTO.

I PROVINI A CONTATTO
Cosa sono? Sono la stampa a grandezza naturale (24x36mm nel caso del piccolo formato) degli spezzoni di negativo su un unico foglio di carta. Sono molto utili per avere un'idea del risultato finale di una eventuale stampa, molto difficile da valutare direttamente sul negativo.

Si ottengono disponendo le strisce di pellicola su un foglio di carta bianconero (a stretto contatto emulsione contro emulsione) ed esponendo il tutto alla luce per un certo tempo. A rigore, quindi, l'ingranditore non serve, ma supporremo di averlo per usarlo come fonte di luce.

COSA SERVE
Esistono gli appositi "torchietti", ma sono troppo costosi per chi inizia. Quindi, come al solito, ci "arrangeremo". Gran parte del materiale occorrente servirà anche per la stampa delle nostre foto, quindi quanto segue è l'ultima "lista della spesa", eccezion fatta per l'ingranditore, di cui parleremo a parte. 

PREPARAZIONE DEI BAGNI
Si preparano esattamente come quelli per il trattamento della pellicola, alle diluizioni previste sulle rispettive confezioni.
A rigore la temperatura ottimale dei bagni sarebbe di 20 °C, ma per lo sviluppo della carta non è necessaria una grossa precisione. Diciamo che uno scostamento di 3-4 °C non influisce sui risultati in maniera apprezzabile.
Poniamo il rivelatore in una bacinella (e sempre in quella: io uso la bianca) e il fissaggio in un'altra (e sempre in quella: io uso la verde). Nel mezzo poniamo un'altra bacinella (io uso la rossa) per il bagno d'arresto, acqua o arresto vero e proprio che sia.
È bene che la disposizione sia nell'ordine: rivelatore, arresto, fissaggio, in modo da non confonderci, dato che alla luce di sicurezza la visibilità non è ottimale (ad esempio, alla luce rossa la bacinella bianca e quella rossa sono praticamente indistinguibili).

STIMA DEL TEMPO DI ESPOSIZIONE
Mentre per esporre correttamente la pellicola ci affidiamo agli esposimetri, per esporre la carta bisogna determinare il tempo di esposizione procedendo per tentativi.
Facciamo buio e accendiamo la luce di sicurezza. Apriamo il pacco di carta e da un foglio tagliamo una striscia larga pressapoco come la pellicola e di lunghezza tale da "coprire" almeno un paio di fotogrammi, diciamo una decina di cm.
Usando carta a contrasto variabile, usiamo un filtro equivalente a una gradazione morbida (minore o uguale a 2), stesso discorso per carta a contrasto fisso: anche se il provino non presenterà neri profondi, conterrà comunque il maggior numero possibile di informazioni. Con un po' d'esperienza riusciremo a trovare rapidamente da soli la giusta gradazione.
Poniamola sul piano dell'ingranditore con l'emulsione verso l'alto, appoggiamoci sopra una striscia di negativi (meglio se contiene fotogrammi correttamente esposti e sviluppati, cioè né troppo densi, né troppo deboli) emulsione su emulsione. Appoggiamoci sopra il vetro in modo che il "panino" sia ben pressato, e copriamo con il cartoncino.
Si regoli la testa dell'ingranditore in modo che l'area illuminata copra ampiamente il formato 24x30 (io la pongo sempre su un ingrandimento di 11x), si metta a fuoco in modo che i bordi siano netti (la messa a fuoco garantisce l'uniformità dell'illuminazione) e si chiuda il diaframma dell'obiettivo di un paio di stop.
A questo punto, muovendo rapidamente il cartoncino, scopriremo una piccola porzione di carta e la esporremo per un certo tempo (es. 5 secondi), trascorso il quale sposteremo ancora il cartoncino per esporre una ulteriore porzione (circa uguale alla prima) per lo stesso tempo (es. altri cinque secondi) e così via, finché non avremo esposto l'ultima porzione per i nostri 5 secondi, trascorsi i quali spegneremo la luce dell'ingranditore.
Bene, abbiamo realizzato il cosiddetto "provino scalare": ogni porzione di carta è stata esposta per 5-10-15-20... secondi (il limite superiore dipende dal numero di porzioni che abbiamo esposto: ad esempio se sono 5, avremo la sequenza 5-10-15-20-25 secondi).
Poniamo il pezzo di carta (attenzione a maneggiare i negativi con cura, è facile rigarli sfregandoli con la lastra di vetro!) nel rivelatore e agitiamo un poco affinché l'emulsione sia rapidamente bagnata, e facciamo partire il cronometro. L'immagine comincia a formarsi quasi subito: vi assicuro che la mia emozione nel vedere la prima volta formarsi l'immagine è stata forte. Trascorso il tempo necessario (è scritto sulla confezione di rivelatore e sul foglietto accluso alla carta), si sgocciola il provino prendendolo con le pinze (quelle adibite solo al rivelatore!) e si lascia cadere dolcemente nell'arresto, agitando per una decina di secondi in modo da togliere quanto più rivelatore possibile. Quindi, con le pinze adibite al fissaggio, si sgocciola e si passa nel fissaggio, agitando per qualche secondo (7-8), dopo di che si può finalmente accendere la luce.
Trascorso il tempo necessario per completare il fissaggio (vedi confezione), si lava rapidamente in acqua e si passa ad analizzare il provino. Se uno dei settori presenta l'immagine correttamente esposta, quello sarà il tempo che dovremo usare per esporre l'intero foglio di carta. Se tutti i settori sono troppo chiari o troppo scuri, bisogna ripetere la procedura descritta su un nuovo pezzo di carta, usando una sequenza di tempi più lunghi (es. 25-30-35...) o più brevi (es. 2-4-6-8...) oppure la stessa ma variando il diaframma dell'obiettivo.
Trovato il giusto tempo, ripeteremo la procedura ponendo su un intero foglio di carta tutti gli spezzoni di negativo ben allineati (un rullo da 36 pose in spezzoni da 6 fotogrammi entra preciso in un foglio 24x30 cm) e pressati dal vetro.
Chi usa raccoglitori in plastica trasparente può effettuare il provino senza estrarre gli spezzoni, cosa molto più agevole soprattutto se i negativi tendono ad arricciarsi; in più, alcuni tipi di raccoglitori impressionano una mascherina in cui è possibile scrivere i dati per una più facile archiviazione.
La stampa finale, sviluppata e fissata, va lavata in acqua corrente per il tempo necessario ad eliminare i residui di prodotti chimici. Il tempo ottimale è riportato nei foglietti allegati al pacco di carta. Per le carte "politenate" (o "RC", cioè "Resin Coated"), il cui supporto non assorbe i liquidi proprio grazie alla plastificazione, il tempo di lavaggio è molto breve (dell'ordine di qualche minuto) rispetto alle carte "baritate" (o "FB", cioè "Fiber Based"), che invece vanno lavate a fondo perché sono molto assorbenti. Le prime volte è meglio usare carte politenate, molto più "tolleranti" ai maltrattamenti.

La stampa lavata e sgocciolata va posta ad asciugare a faccia in su sopra un foglio di giornale o appesa per un angolo a un filo con delle pinze da bucato.

VERSO LA PRIMA STAMPA
Abbiamo i negativi e abbiamo i provini a contatto, su cui abbiamo scelto un fotogramma da stampare. Che fare?

Stampare il bianconero è semplice e abbastanza economico (fin qui la spesa è stata tutto sommato abbastanza esigua e le difficoltà non sono state insormontabili) tranne per lo strumento più importante di cui abbiamo bisogno: l'ingranditore.

L'INGRANDITORE
In linea di principio è un oggetto abbastanza semplice: non è altro che una specie di proiettore che serve a proiettare il negativo sul piano di stampa; oppure, se vogliamo, è una specie di macchina fotografica che serve a fotografare il nostro negativo su un foglio di carta sensibile. Una rapida occhiata ai pochi elementi che lo compongono ci permetteranno di familiarizzare con questo strumento ed eventualmente di essere in grado di scegliere quello che fa per noi.

LA TESTA
È la parte principale (e costruttivamente più complessa) dell'ingranditore. Nella testa si trovano la lampada e i vari dispositivi che permettono di creare un fascio luminoso il più possibile uniforme. A seconda del tipo di illuminazione usata, esistono ingranditori a "luce diffusa" (la luce che investe il negativo passa prima attraverso un vetro diffusore che la rende morbida e uniforme) e a "luce condensata" (la luce che investe il negativo passa prima attraverso un gruppo ottico che la rende fortemente direzionale e a raggi paralleli). Le differenze sono abbastanza intuitive per chi ha familiarità con la fotografia: la luce diffusa è morbida, riduce il contrasto e minimizza i difetti del negativo (= eventuali graffi, polvere e pelucchi, ma anche la grana); la luce condensata è dura, esalta i contrasti e la nitidezza ed evidenzia la grana (ma anche i graffi!). Eventualmente la luce condensata può anche essere resa "diffusa" ponendo un diffusore sotto al gruppo ottico condensatore (es. un vetro opalino di opportune dimensioni).

Per chi inizia non credo che la differenza sia importante: ci basti per ora sapere che ci sono due modi diversi di illuminare il negativo da stampare, ed entrambi forniscono buoni risultati.

Solitamente la testa è provvista di un cassettino che può ospitare appositi filtri atti a modificare il colore della luce dell'ingranditore. Storicamente nasce per consentire la stampa a colori e/o delle diapositive, ma è tornato di grande utilità per la stampa con carte a contrasto variabile: infatti il contrasto può essere variato attraverso l'uso di appositi filtri (si trovano in commercio di diverse marche) da porre nel cassettino. Altre teste hanno invece la possibilità di modificare il colore agendo su appositi filtri incorporati nel sistema di illuminazione stesso.

La testa ospita anche il porta-negativi (che alloggia il negativo da stampare, tenendolo piano e parallelo al piano di stampa), che può essere delle fogge più diverse, con o senza vetrini, esclusivamente per il formato 24x36mm o adattabile a diversi formati, ecc.
Sotto troviamo l'obiettivo, solitamente avvitato su una piastra intercambiabile fissata su un soffietto che serve per la messa a fuoco; infatti l'obiettivo non ha ghiera di messa a fuoco, ma solo quella dei diaframmi. Anche per gli obiettivi si può scegliere tra varie marche (l'attacco a vite 39x1 è uno standard quasi per tutti) e tra vari livelli di prezzo. Ovviamente la qualità varia in proporzione al prezzo, ma per ingrandimenti non spinti (diciamo fino al 24x30) la differenza non è abissale, soprattutto se usati ai diaframmi intermedi. In altre parole, se non possiamo permetterci un obiettivo da 600.000 lire non ci è comunque preclusa la possibilità di fare stampe più che buone.
Per il formato 24x36mm si usano di norma obiettivi di 50mm di focale, per il 6x6 quelli da 75-80mm, ecc.

LA COLONNA
Dovendo sostenere la testa (spesso abbastanza pesante), è bene che la colonna sia sufficientemente robusta e rigida e di sezione sufficientemente grande. In alcuni modelli essa e dotata di cremagliera dentata su cui ingrana la testa per poter essere sollevata e abbassata facilmente agendo su una manovella; altre volte questo movimento è ottenuto con un meccanismo a frizione. Negli ingranditori usati questo movimento va sempre controllato attentamente, perché è forse l'elemento più soggetto ad usura.

A volte sulla colonna è presente una scala metrica che indica l'altezza della testa sul piano di stampa (in cm, in pollici e spesso anche in fattore di ingrandimento). Avremo modo di apprezzare in seguito l'utilità di questo riferimento.

IL PIANO DI STAMPA
Di solito in legno, sostiene l'insieme testa-colonna. Deve essere sufficientemente pesante (il peso favorisce la stabilità del tutto) e ampio. Qualora non lo fosse, si può sempre sovrapporre un piano aggiuntivo di legno laccato bianco, o al limite anche sostituirlo.

Esistono ingranditori di marche diverse e di prezzi diversi: possiamo avere un ingranditore (usato) spendendo 100.000 lire come 5 milioni, per cui è possibile trovare quello che fa al caso nostro (e delle nostre tasche!).

ACCESSORI
Come sempre, non sono indispensabili, ma aiutano e facilitano durante la fase di stampa.

LA PRIMA STAMPA
Abbiamo tutto l'occorrente, ci siamo trovati un posticino tranquillo in casa (spesso è il bagno, a volte uno sgabuzzino o la cantina), dove è possibile avere il buio totale: possiamo iniziare!

Dato che abbiamo già stampato i provini a contatto, supponiamo di avere i bagni (sviluppo, eventuale arresto, fissaggio) già pronti nella quantità necessaria (1-2 litri a seconda della grandezza delle nostre bacinelle) e nella diluizione prescritta sulle relative etichette, posti nelle relative bacinelle nel solito ordine. Facciamo il buio, accendiamo la luce di sicurezza.

POSIZIONAMENTO DEL NEGATIVO
Poniamo il nostro primo fotogramma nel porta-negativi facendo in modo che l'uno e l'altro siano il più possibile privi di polvere e pelucchi. Come? L'ideale sarebbe avere l'apposito panno antistatico, in alternativa possiamo spolverare con un pennellino morbido (niente male quelli da trucco); altra alternativa sono le spazzoline antistatiche che si usano (usavano?) per spolverare i dischi in vinile.

Accendiamo l'ingranditore, posizioniamo la testa in modo da avere l'ingrandimento desiderato, valutandolo sul marginatore o, in sua assenza, su un foglio di carta su cui possiamo disegnare rettangoli dei formati di carta che usiamo più spesso. Mettiamo a fuoco con l'obiettivo a tutta apertura (servendoci del focometro, se l'abbiamo). I sacri testi di C.O. consigliano di mettere a fuoco non sul piano dell'ingranditore, bensì su un foglio di carta dello stesso spessore della carta da stampa (ad es. sul retro di una stampa di "scarto"). A mio avviso la differenza di distanza di messa a fuoco è talmente esigua che anche stampando con l'obiettivo a tutta apertura (la chiusura del diaframma aumenta la profondità di campo anche in fase di stampa!) non si avranno differenze visibili. D'altronde, facendo quattro conti, se la nostra testa fosse a 40 cm (400 mm) dal piano dell'ingranditore e la carta fosse spessa 1 mm (esageriamo!), la distanza corretta sarebbe di 399 mm, e commetteremmo un errore di circa lo 0.25%, del tutto trascurabile ai fini pratici (tanto più se la carta, come in realtà accade, ha spessore minore di 1 mm).

TEMPO DI ESPOSIZIONE E CONTRASTO
Come già detto, la stampa è l'operazione con cui si "fotografa" il negativo su un altro negativo (la carta da stampa). Come ogni altra fotografia, dovremo quindi determinare (esattamente come per il provino a contatto) la corretta esposizione.

In più stavolta abbiamo anche l'onere di determinare la giusta gradazione di contrasto della carta. Infatti, mentre nella stampa dei provini ci "accontentiamo" di non avere neri e bianchi puri, a vantaggio della registrazione del maggior numero di dettagli possibile (e anche per riuscire a visionare anche fotogrammi eventualmente sovra-sottoesposti in maniera marcata), nella stampa finale si deve di solito avere tutta la scala tonale, dal massimo bianco al massimo nero.

Ci sono ovviamente le solite eccezioni, ma anche in questo caso confermano la regola.

Quindi, in linea generale, un negativo poco contrastato avrà una scala di toni molto "corta" (la differenza di densità fra la minima e la massima è poca), e quindi c'è bisogno di una carta a contrasto elevato, che "amplifichi" la scala tonale del negativo. Viceversa, un negativo molto contrastato avrà una scala di toni molto "estesa" (la differenza fra la minima e la massima densità è elevata), per cui c'è bisogno di una carta a basso contrasto, capace di "contenere" tutte le densità del negativo.
Sembrerebbe a prima vista impossibile determinare correttamente il giusto tempo di esposizione e il giusto grado di contrasto della carta: infatti ad una stessa esposizione corrispondono diversi toni di grigio al variare del contrasto e, parallelamente, per un dato grado di contrasto della carta l'annerimento varia col tempo di esposizione.
La tecnica qui esposta, messa a punto da A. Adams, consente di scindere i due problemi. Essa nasce da una constatazione: l'esposizione delle alte luci con dettaglio (zone più dense del negativo), non varia al variare della gradazione di contrasto. In soldoni, se per una data gradazione di carta (es. la 2) troviamo che le alte luci con dettaglio sono ben riprodotte con un'esposizione di 10 secondi, una carta di diversa gradazione (es. la 3, purché della stessa marca e tipo!) esposta per gli stessi 10 secondi fornirà alteluci con dettaglio analogamente ben riprodotte.

LA GIUSTA ESPOSIZIONE
Come prima cosa si determina quindi la corretta esposizione. In genere si opera "a priorità di diaframma": si chiude il diaframma di un paio di valori (diciamo attorno a f/8), in modo da operare alla miglior resa dell'obiettivo, e si deve quindi determinare il giusto tempo di esposizione.
La tecnica è sostanzialmente quella descritta nella stampa dei provini a contatto (cfr. Cap.3): dobbiamo fare un "provino scalare" e utilizzeremo inizialmente una striscia di carta di medio contrasto (es. la 2). Si sceglie una zona del fotogramma che contenga alte luci (e possibilmente anche ombre) con dettaglio; si pone il filtro rosso dell'ingranditore sotto l'obiettivo e si pone una striscia di carta di dimensioni opportune sul piano di stampa, in corrispondenza della zona scelta. Si spegne l'ingranditore, si toglie il filtro rosso, si copre la striscia di carta con il solito cartoncino nero, si avvia il nostro conta-secondi, si accende l'ingranditore e si scopre una porzione di striscia ogni "tot" secondi (esempio: 5-10-15-20-25-30 secondi). Quindi si sviluppa-arresta-fissa-lava come per i provini a contatto.

Osserviamo il provino: se siamo stati fortunati, ci sarà un settore che reputiamo correttamente esposto, vale a dire un settore dove troviamo alte luci bianche con dettagli appena percettibili. In caso contrario dovremo ripetere la procedura con tempi maggiori o minori nel modo che ormai sappiamo. Supponiamo che il settore "buono" sia quello con esposizione di 20 secondi. Considereremo questo come tempo base, ed esporremo un intero foglio di carta di quel contrasto con quel tempo di esposizione, e lo svilupperemo come al solito.

IL GIUSTO CONTRASTO
Osserviamo ora la stampa (detta anche "stampa di lavoro"). Possono aversi 3 casi: 

Naturalmente potremo anche risparmiare un po' di carta utilizzando come "stampa di lavoro" un mezzo foglio di carta che contenga comunque elementi significativi dell'immagine; stabiliti i giusti parametri, li useremo per ottenere la stampa "buona". Le prime volte, però, è forse il caso di "sprecare" un po' di carta in più per familiarizzare con il suo comportamento al variare del tempo di esposizione e del contrasto.
Con questa procedura dovremmo arrivare finalmente a determinare il giusto tempo di esposizione (è possibile che l'analisi del contrasto consigli dei piccoli ritocchi anche sul tempo di esposizione) e il giusto grado di contrasto, in modo da arrivare ad un risultato che il nostro occhio giudicherà soddisfacente. L'uso di carte a contrasto variabile consente un controllo molto fine sul contrasto sia con i filtri in gelatina (esistenti con passi di 1/2 grado da 00 a 5) sia soprattutto con le teste a colori, che consentono variazioni di contrasto anche minime agendo sui filtri incorporati.

Una volta ottenuta la stampa che ci piace, questa va ben fissata e lavata in acqua corrente per il tempo indicato nel foglietto accluso al pacco di carta e posta ad asciugare, come già detto per il provino a contatto.

MASCHERATURA E BRUCIATURA
Abbiamo ottenuto la nostra prima stampa, l'abbiamo lavata e asciugata e la stiamo ammirando felici del nostro lavoro. A volte, però, e soprattutto con il tempo e l'esperienza, inizieremo ad accorgerci che la nostra stampa sarebbe migliore se questo pezzo di cielo qui fosse un po' più scuro da far risaltare meglio le nubi, o se quel dettaglio in ombra lì fosse un po' più chiaro da non "chiudersi" troppo, eccetera, ma senza voler cambiare l'esposizione generale né il contrasto della carta, che abbiamo determinato con grande "fatica".
Nella stampa manuale del B/N è possibile soddisfare queste esigenze. Anzi, forse la "forza" del B/N fatto in casa sta proprio nella possibilità di controllare in maniera molto raffinata il processo di stampa. Infatti durante il tempo di esposizione è possibile "eclissare" temporaneamente una porzione della stampa interponendo fra obiettivo e piano di stampa qualunque cosa (la "maschera") produca un'ombra della forma e delle dimensioni volute. Questa procedura è detta MASCHERATURA. In questo modo la porzione "eclissata" riceverà meno luce e risulterà più chiara di quanto non sarebbe in una stampa "normale".
Viceversa, trascorso il tempo di esposizione che abbiamo determinato, è possibile prolungarlo e proiettare sulla carta un'ombra che lasci scoperta solo la porzione di immagine di cui vogliamo prolungare l'esposizione. Questa procedura si chiama BRUCIATURA e produrrà uno scurimento della zona che ha ricevuto maggior luce.

A mio avviso la distinzione tra bruciatura e mascheratura è puramente "accademica" (tanto che spesso si parla semplicemente di "mascheratura"): la zona che viene coperta risulta "mascherata" rispetto a quella che viene lasciata scoperta, che viene quindi "bruciata". Mascheratura e bruciatura sono quindi concetti relativi, ma la loro distinzione è molto pratica perché identificano una variazione (in meno o in più) di esposizione RISPETTO all'esposizione determinata come "ottimale".

È importante che la maschera sia tenuta sempre in movimento lento e costante, in modo da evitare che l'ombra proiettata sia netta e quindi visibile; inoltre, allontanandola dal piano di stampa aumentano la dimensione dell'area coperta e il grado di sfumatura dei bordi. In questo campo l'esperienza è ciò che distingue una buona da una cattiva mascheratura. I tempi ottimali di mascheratura e bruciatura vanno anch'essi determinati per tentativi, provando su stampe intere o su porzioni di carta da stampa. La cosa importante è che l'operazione risulti "invisibile", nel senso che non devono notarsi innaturali o eccessive modificazioni dei toni della stampa. In questo caso è sempre consigliabile evitare gli eccessi. Se alcuni dettagli dell'immagine risultano troppo chiari o troppo scuri, è difficile riuscire a riprodurli correttamente e in forma gradevole.

La tecnica vista consiste sostanzialmente nel proiettare "zone d'ombra" sul piano di stampa. Allo scopo possiamo usare dei pezzi di cartoncino pesante opportunamente sagomato. È bene costruirsi una serie di "maschere" di varia forma (tonde, ovali, triangolari) e di varie dimensioni (piccole/medie/grandi) da tenere sempre a portata di mano. Queste possono essere tenute con un pezzo di filo di ferro (sufficientemente sottile da non proiettare un'ombra visibile) avvolto all'estremità in modo da formare un paio di piccole spire; fra queste spire possono essere incastrate le varie mascherine in maniera intercambiabile.

Per la bruciatura di piccole zone possiamo invece prendere un cartoncino di dimensioni generose e praticarvi un foro della forma desiderata.

In alternativa, e per mascherare zone non centrali della stampa, possono essere usate le mani a mo' di ombre cinesi. Confesso, però, di aver trovato sempre molta difficoltà a creare ombre della forma voluta in breve tempo.

Una tecnica suggerita da vari manuali (e anche da A. Adams) per aumentare l'impatto visivo delle immagini è la cosiddetta "bruciatura dei bordi", che consiste appunto nel fornire una piccola esposizione supplementare (+ 5-10%) ai quattro bordi estremi della stampa. Tale tecnica produce una sorta di leggera vignettatura artificiosa che permette di concentrare maggiormente l'attenzione dell'osservatore all'interno dell'immagine.

Come detto, man mano che aumenta l'esperienza, aumenterà anche la precisione delle nostre mascherature, che diventeranno via via meno visibili e più precise.

STAMPARE 30X40 IN POCO SPAZIO
I primi tempi che si traffica in C.O. lavorare con carta di formato 24x30 cm è la massima aspirazione. Prima o poi, però, nasce il desiderio di provare l'ebbrezza della stampa in un formato maggiore, di solito il 30x40 cm.
Il primo problema da affrontare è l'acquisto di bacinelle di formato adatto; il secondo nasce dall'osservazione che 3 bacinelle per il 30x40 cm occupano un sacco di spazio.

LA SOLUZIONE ORTODOSSA
Una soluzione razionale e "ortodossa" consiste nell'acquistare, invece delle bacinelle, uno strumento chiamato "sviluppatrice a tamburo" (per gli anglomani "drum"), che consiste in un recipiente cilindrico ad asse orizzontale in cui va posta, leggermente arrotolata, la stampa da sviluppare; un sistema di introduzione dei bagni e di rotazione del tamburo permette di sviluppare facilmente, in poco spazio e con poco liquido una stampa 30x40. In più il tamburo, essendo a tenuta di luce (filosoficamente assomiglia alla tank in cui sviluppiamo i negativi), permette di operare alla luce ed è anche adatto al trattamento delle carte a colori nonché delle "cibachrome" per la stampa delle diapositive.

LA SOLUZIONE "FAI DA TE"
Essendo la mia camera oscura orribilmente piccola (non c'entrano le "bagnarole" per il 30x40) e non volendo spendere i soldi (non pochissimi) che ci vogliono per comprare un tamburo, come al solito mi sono arrangiato con un sistema che mi permette di sviluppare le stampe come se usassi un tamburo, ma usando le mie usuali bacinelle per il 24x30. Occorre solamente munirsi di un tubo in PVC (quelli con cui si fanno le fognature, per intenderci...) della lunghezza di 30 cm e tale che la circonferenza sia maggiore di 40 cm. Quindi dovrà avere un diametro D maggiore di 40/3.14 = 13 cm circa, in modo da poter ospitare all'interno il foglio 30x40cm arrotolato nel senso della lunghezza senza che ci siano sovrapposizioni dei bordi.

Una volta esposta la carta, la si pone all'interno del tubo ben asciutto con l'emulsione verso l'asse del cilindro, e si adagia il tubo nella bacinella dello sviluppo nel senso della lunghezza (cioè nell'unico senso in cui un tubo di 30 cm entra in una bacinella 24x30!) e si comincia a farlo girare attorno al proprio asse spingendolo delicatamente con le dita. In questo modo tutta l'emulsione risulta bagnata dal rivelatore in modo uniforme e omogeneo proprio come avverrebbe nel "drum". Trascorso il tempo di sviluppo, si fa sgocciolare per bene il tubo e si ripete lo stesso trattamento nella bacinella dell'arresto e in quella del fissaggio.

La stampa fissata può essere estratta con delicatezza dall'interno del tubo e posta nella vasca di lavaggio.

Costo: praticamente zero, in quanto un pezzo di tubo di diametro 15cm e lunghezza 30 (ma funziona anche più corto) di solito lo si può trovare in qualche cantiere come pezzo di scarto. Comunque, anche a comprarlo, costerà più o meno come un caffè.

Marco Alici © 07/2000
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