Dopo il passaggio nel vetro, la luce bianca viene scomposta nelle onde
che la costituiscono ed i vari colori vanno a fuoco in punti diversi
All'atto pratico, tutto ciò significa che le radiazioni con lunghezza d'onda maggiore vanno a finire più lontano di quelle con lunghezza minore: i colori vengono in sostanza messi a fuoco su piani diversi, e quando questo accade si può notare che nell'immagine alcuni elementi risultano circondati da bande colorate. Questa è la cosidetta "aberrazione cromatica", e per contrastarla si è soliti utilizzare, nell'obiettivo, lenti che generano aberrazioni cromatiche di intensità equivalenti ma di segno opposto, così che l'una compensi l'altra. Quando, grazie a questo accorgimento, si fa in modo che il rosso ed il blu finiscano a fuoco sullo stesso punto, siamo in presenza di un obiettivo "acromatico".
La quasi totalità delle ottiche in circolazione si può definire "acromatica", ma esiste sempre una strada migliore, ed è quella degli obiettivi "apocromatici": sono quelli in cui la correzione dell'aberrazione cromatica è effettuata su tutti e tre i colori primari (rosso, blu e verde) anziché solo sui due estremi (rosso e blu; il verde ha una lunghezza d'onda intermedia tra questi due).
Correggendo il rosso ed il blu, infatti, non si garantisce che anche tutti i colori intermedi siano perfettamente a fuoco; rimane un margine residuo che viene definito "spettro secondario", e che è una percentuale della focale. Se ad esempio lo spostamento dei punti di un colore intermedio (quale il verde, il terzo colore primario) è dello 0,7%, abbiamo, su un 50mm, che il verde è messo a fuoco 0,35mm più avanti rispetto alla coppia rosso/blu (lo 0,7% di 50 è per l'appunto 0,35). Ci si accorge subito che se la focale aumenta questi 0,35mm diventano molti di più (lo 0,7% di 300 è infatti 2,1mm), il che può pregiudicare la qualità dell'immagine perché, banalmente, inizia a vedersi.
Ecco perché l'aberrazione cromatica è un difetto che colpisce prevalentemente gli obiettivi di lunga focale.
Abbiamo detto che l'obiettivo apocromatico mette a fuoco i tre colori primari sullo stesso piano: all'atto pratico ciò si traduce in una migliore nitidezza generale dell'immagine. Ciò rende le ottiche apocromatiche particolarmente utili in applicazioni in cui sia richiesta la massima nitidezza e fedeltà dell'immagine, come ad esempio la fotografia in grande formato, o nel campo della microscopia o in alcuni settori della fotografia scientifica.
Produrre un obiettivo apocromatico era fino a diversi anni fa uno sforzo enorme, perché ci si scontrava con la necessità di adoperare lenti particolari e di dover svolgere un elevato numero di calcoli per progettare il sistema ottico. Ma l'avvento del computer da un lato, ed i progressi della tecnologia ottica dall'altro, hanno reso la realizzazione di ottiche apocromatiche meno complessa, tanto che si è giunti ad un livello ancora superiore, quello delle ottiche superacromatiche, nelle quali la correzione avviene per quattro colori anziché tre: ci sono un paio di teleobiettivi Zeiss nel corredo Hasselblad che si fregiano di questa lussuosa definizione. In questi obiettivi la correzione riguarda le lunghezze d'onda dai 400nm (ai confini con l'ultravioletto!) ai 1000nm (e qui stiamo in pieno infrarosso).
Abbiamo dunque definito cosa sono le ottiche acromatiche, apocromatiche e superacromatiche. Resta da parlare degli obiettivi che si fregiano, tra le altre, della sigla LD (o ED): si tratta di ottiche che hanno al loro interno almeno una lente a bassa dispersione (LD sta infatti per Low Dispersion, mentre ED sta per Extra-Low Dispersion: si tratta di vetri alla fluorite, solo da pochi anni economicamente utilizzabili in processi industriali come quelli di cui stiamo parlando), e che quindi, pur non essendo apocromatiche (bensì acromatiche), garantiscono in ogni caso una buona correzione del fuoco, limitando, diciamo così, i danni dello spettro secondario. In pratica riescono a ridurre l'entità dello spostamento (la percentuale della focale che abbiamo menzionato più sopra) del fuoco dei colori intermedi a valori abbastanza bassi da non pregiudicare la qualità finale dell'immagine. Poiché, peraltro, la costruzione di ottiche apocromatiche a focale variabile (insomma, gli zoom) è particolarmente complessa, le lenti LD o ED risultano ideali per correggere, a costi accettabili, l'aberrazione cromatica negli zoom.
Tutto questo vuol dire che le ottiche con la sigla APO presenti nei negozi sono migliori di tutte quelle non-APO? No, perché la teoria è una cosa, il processo industriale un'altra, ed il marketing un'altra ancora. Mettere a fuoco esattamente sullo stesso piano i tre colori è in pratica impossibile, per cui c'è sempre una certa approssimazione. L'ammontare di quest'ultima è lasciato alla serietà del produttore. Tanto per non fare nomi, tradizionalmente Leica e Zeiss sono il riferimento in quest'ambito, per cui si può star certi che le loro ottiche Apo siano veramente apocromatiche (ed i loro prezzi sono lì per dissipare eventuali dubbi). Altri costruttori possono accettare tolleranze maggiori, ed anche grazie al maggior numero di pezzi prodotti finiscono con l'offrire ottiche APO o presunte tali a prezzi non molto più alti di quelle non-APO. D'altra parte non esiste una legge che stabilisca quanto debba essere corretta la messa a fuoco sui tre colori primari perché effettivamente un'ottica si possa definire APO. Inoltre, si sa che le sigle fanno presa su determinate fasce di acquirenti, ed ecco che talvolta si finisce con l'usare la dicitura APO con, diciamo così, una certa disinvoltura, magari su un obiettivo che non è APO, ma solo LD (o ED).
Acronimi a parte, per comprare bene vale sempre la vecchia regola: dare il giusto peso alle affermazioni degli uffici marketing (che fanno il loro mestiere, per carità), chiarire prima di tutto con se stessi di cosa si necessita realmente, ed informarsi compiutamente su ciò che si vorrebbe acquistare.
Agostino Maiello © 01/2007
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