"Terra da vino. Si chiama Piemonte" era uno slogan che compariva su manifesti e pieghevoli promozionali curati dal servizio turistico della Regione, una trentina di anni fa.
In realtà il Piemonte è molto di più. Se si eccettua il mare, da cui lo separano le Alpi Liguri e l'Appennino, quasi tutti gli ambienti vi sono rappresentati: dai ghiacciai alpini alle sponde "mediterranee" del Lago Maggiore; da vette che sfiorano (e superano) i quattromila metri alle pianure allagate dove si coltiva il riso; dai deserti d'alta quota alle dolci colline vinicole del Monferrato e delle Langhe. La varietà coinvolge non soltanto il paesaggio, ma anche le genti e le civiltà. E le lingue, che da sempre sono veicolo ed espressione della cultura materiale. A parte il Piemontese, suddiviso in vari dialetti locali (e censito dall'Unesco tra le lingue minoritarie meritevoli di tutela), nelle valli del nordovest si parla il Francoprovenzale, all'ombra del Monte Rosa è viva e vitale la lingua Walser (un dialetto alemanno risalente all'alto medioevo), mentre fra le montagne cuneesi ancora risuona l'Occitano (o Provenzale), la dolce parlata dei troubadours quasi scomparsa nel sud della Francia ma gelosamente custodita dall'isolamento delle vallate alpine. Non a caso abbiamo parlato di genti e culture. Qui l'interazione tra l'uomo e il suo ambiente è costantemente e tangibilmente sperimentabile.
Vigneti tra Monforte e Barolo.
Un ambiente spesso ostile (come possono esserlo i lunghi inverni nei villaggi d'alta quota), che tuttavia non viene combattuto, bensì assecondato, ascoltato, capito e alla fine dolcemente addomesticato, in un dialogo faticoso e inesausto, mai violento ma sempre rispettoso, sommesso e discreto.
Nelle Langhe, cultura è anche sinonimo di cucina e vini: è un territorio che prima di essere fotografato deve essere vissuto, annusato, assaggiato. Il tenue profumo del mosto che aleggia nell'aria in autunno, il sentore sottile della neve che ricopre d'inverno le vigne addormentate, i sapori veraci di una cucina nobile e semplice al tempo stesso, fatta di raffinatezze da corte sabauda incapaci tuttavia di dissimulare le proprie radici popolari e contadine.
Vigneti innevati in inverno a Farigliano. Sullo sfondo le Alpi Marittime.
Annusare, assaggiare. In ben poche regioni questi due verbi si caricano di significato come nelle Langhe. Una terra collinosa, argillosa, ineguale, che a uno sguardo superficiale può apparire dolcemente ondulata ma in realtà faticosa, erta ed aspra per chi ci lavora ogni giorno, caricandosi a spalle le gerle dell'uva perché oltre una certa pendenza il trattore mica ce la può fare.
Terra arata tra Novello e Barolo.
Una terra di storia e castelli, di nobili famiglie e servi della gleba, dove oggi le ville dei grandi produttori si affiancano, appena al di là della strada, alle cascine rimaste come un tempo, abitate da gente che fatica, perché da quella parte della strada, che fa da confine, quello stesso vitigno non può più chiamarsi Barolo, ma soltanto Nebbiolo, nobilissimo, per carità, ma ovviamente meno remunerativo. Il lavoro duro, l'incertezza del domani, le scarse tutele da parte delle istituzioni hanno spinto molti ad abbandonare la terra per trasferirsi in città, alla ricerca di una vita più sicura, anche se non necessariamente più agiata. Percorrendo le strade di langa (minuscolo quando indica semplicemente la collina) è facile imbattersi in cascine abbandonate, talvolta diroccate, in vecchi forni da pane, in attrezzi agricoli lasciati arrugginire al sole.
Queste colline ondulate emersero da un mare caldo e tropicale nell'era Terziaria, circa settanta milioni di anni fa. La marna tufacea bianca che le compone è scavata dal Tanaro, che scorre pigro e sinuoso tra calanchi argillosi erodendo i fianchi delle alture.
Mentre l'Alta Langa è caratterizzata da boschi di castagni e noccioli (da qui provengono le pregiate nocciole Piemonte) e da una natura più selvaggia, il paesaggio della Bassa Langa è dominato dai filari delle viti, dai villaggi e dai castelli arroccati sul colmo delle alture, dalle bianche strade che percorrono i crinali e dai boschi dove si nasconde uno dei tesori di questa terra: il tartufo bianco di Alba.
Il tartufo è un fungo ipogeo che si sviluppa spontaneamente tra le radici di alberi e arbusti,
specialmente querce e lecci. Il tartufo bianco di Alba (Tuber magnatum) è particolarmente pregiato,
mentre il tartufo nero piemontese, meno profumato, è considerato di rango inferiore, contrariamente
a quanto avviene per il tartufo nero di Norcia (Tuber melanosporum), molto apprezzato.
In ottobre nella città di Alba si celebra la fiera internazionale dedicata al prezioso tubero: un evento che richiama visitatori da tutto il mondo e che fa da cornice a manifestazioni di vario tipo, tra le quali il celebre Palio degli asini, oltre a mercati dove è possibile gustare i prodotti del territorio.
La Fiera internazionale del tartufo bianco di Alba si svolge ogni anno tra ottobre e novembre:
cinque settimane di eventi culturali e gastronomici, rievocazioni storiche, gare sportive, mostre e mercati
(tra cui, appunto, quello del tartufo, che attira visitatori e celebrità da tutto il mondo).
Il mercato del sabato costituisce una pittoresca e ricca occasione fotografica per gli appassionati.
Intanto i vigneti iniziano a tingersi di rosso e di oro e allora le colline risplendono, mentre il cielo si fa più saturo e il vento che scende dalle Alpi porta i primi sentori dell'inverno imminente.
Se Alba è la capitale fisica delle Langhe, Barolo ne è la capitale morale. Il suo castello, risalente al X secolo, appartenne alla famiglia Falletti e a quella Juliette Colbert (ultima marchesa di Barolo) che accolse e ospitò in qualità di bibliotecario privato il patriota e scrittore Silvio Pellico, di ritorno dalla prigionia allo Spielberg. Oggi le sue cantine, pregevolmente restaurate, ospitano l'Enoteca Regionale del Barolo, mentre il secondo piano è dedicato al Museo Etnografico-Enologico e a mostre d'arte e di fotografia.
Barolo ospita ovviamente numerose enoteche, dove è possibile gustare i prodotti del territorio (non solo vino), oltre al curioso Museo del cavatappi. Dalla spianata del castello, lo sguardo si perde tutt'intorno tra colline e vigneti, fino alle lontane Alpi. Qui la natura è plasmata... no, accarezzata dall'uomo, che da secoli la nutre e la rispetta. Un rispetto istintivo, non deviato né frainteso da fondamentalismi ambientalistici di matrice ideologica piuttosto che scientifica. Qui i cacciatori ci sono, e sono tanti, ma ti parlano delle lepri e dei cinghiali con un rispetto e una competenza difficili da riscontrare negli animalisti di città, quelli che contestano le pellicce indossando giacche a vento imbottite di piumino d'oca.
Mi piace fotografare le Langhe senza fretta, percorrendo a piedi le bianche strade che percorrono il filo di cresta ("andar per langa" è l'espressione che denota questo modo di spostarsi, l'unico possibile prima che il progresso tracciasse i rettilinei asfaltati di fondovalle), entrando in comunicazione (vorrei dire "comunione") con il loro genius loci, parlando con la gente...
Ma soprattutto trascorrendo le giornate con quelli che vendemmiano, che trasportano l'uva in cascina, che riversano le ceste nella pigiadiraspatrice, per ore ed ore, nel rumore assordante della tramoggia e della pompa che aspira i preziosi acini e li spedisce al torchio meccanico per la spremitura. Per poi vedere come quelle stesse persone, pur se stremate da ore di lavoro dall'alba a sera tarda, siano disposte ad accogliere il visitatore, a mostrargli con orgoglio la propria cantina, a fargli vedere e gustare i frutti del proprio lavoro.
Nella stanza sotterranea più nascosta e segreta, direttamente scavata nel terreno tufaceo, riposano le bottiglie più pregiate e i barrique destinati alla maturazione dei vini più nobili.
La moda del vino "barricato" (cioè maturato nelle piccole botti chiamate - appunto - barrique)
si è diffusa piuttosto di recente e risponde alle richieste di chi apprezza vini dall'aroma intenso e
dal gusto morbido ed equilibrato, caratteristiche dovute ai tannini e ad altre sostanze che il legno
della botte (solitamente di rovere, ma anche di robinia o ciliegio) cede al vino. La lunga maturazione,
unita alla necessità di rinnovare ogni anno le botti (che possono essere usate una sola volta)
giustifica il maggiore costo di questi vini.
Le cantine. Alcune modeste, ingombre di oggetti in un apparente caotico disordine; altre lussuose, direttamente scavate nel terreno tufaceo o elegantemente ristrutturate a beneficio dei clienti, risplendenti di botti nuove simmetricamente ordinate e collezioni di vecchie bottiglie che ammoniscono il visitatore sull'antichità (e quindi sull'esperienza) della casa produttrice.
Negli anziani è ancora vivo il ricordo dei giorni della Resistenza, della lotta partigiana, dei lutti e delle perdite che hanno portato alla Liberazione. In questi luoghi l'orgoglio di essere piemontesi, come si è potuto verificare nel 2011, nell'ambito delle celebrazioni per il 150° dell'Unità d'Italia, particolarmente sentito e partecipato in tutta la regione, non è mai disgiunto dall'orgoglio di essere italiani e di avere contribuito - anche con il proprio sangue - alla creazione della Repubblica democratica.
Tutto questo sono le Langhe, la terra di Pavese e Fenoglio, di castelli e sbandieratori, ma anche e soprattutto di lotte partigiane. "Lassù, sulle colline del Piemonte" è il titolo e l'inizio di un noto canto della Resistenza. Qui la Liberazione ha preteso un pesante tributo di sangue. Chi vuole fotografare questi luoghi col cervello e col cuore, oltre che con il dito indice, non può ignorare le storie che i vecchi partigiani - i pochi ancora in vita - raccontano col fervore e la passione di chi ci ha creduto fino a morirne. Ma senza trionfalismi o vanterie: con modestia, con discrezione, com'è uso da queste parti.
Michele Vacchiano © 12/2013
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Questo servizio è stato premiato nell'ambito del Premio Nazionale "Green Ribbon 2013" come miglior servizio fotografico e giornalistico tra quelli partecipanti.