LA PENISOLA DI VARANGER
Lapponia: l'immersione totale in una dimensione naturale ormai perduta

La parola "Lapponia" evoca di norma immagini legate al freddo polare, al folclore di slitte e di renne, ad improbabili case di Babbo Natale di cui ogni nazione scandinava ha un esemplare. Per il fotografo naturalista significa invece la possibilità di un'immersione totale in una dimensione naturale ormai perduta ed irrecuperabile alle nostre latitudini.

Riflessi nel lago Gednjejavvre

Pulcinella di mare frulla le ali

Cristalli di ghiaccio sul lago

Beccaccia di mare

Per la scarsa densità abitativa e per l'asprezza del clima, l'estremo nord d'Europa offre gli ambienti più selvaggi ed alcuni fra gli scenari paesaggistici più eclatanti del continente. È difficile per chi prediliga i grandi spazi incontaminati, per chi voglia vivere un'esperienza interiore, prima ancora che fotografica, resistere al richiamo di questa terra. Viene quindi anche per noi il momento di partire, e se Lapponia deve essere, ci diciamo, che sia al suo estremo, là dove oltre non si può andare.

La penisola di Varanger, questa è la meta del nostro viaggio, rappresenta infatti l'ultimo lembo di territorio norvegese che si protende verso nord-est nel Mar Glaciale Artico. Fa parte amministrativamente della vasta contea del Finmark, integralmente all'interno della terra dei Sami, quella che noi conosciamo appunto come Lapponia.

Buona parte della penisola, col suo corollario di riserve naturali già costituite, è stata recentemente proposta come parco nazionale. Gli insediamenti umani sono scarsi, alcuni stagionali, e concentrati sulla costa. L'interno è il regno della tundra artica, un immenso altopiano disabitato che si stende per centinaia di chilometri quadrati, segnato da larghe vallate e da innumerevoli laghi.

La nostra visita inizia verso la metà di giugno dalla località di Tana Bru, posizionata strategicamente alla base di quel grande trapezio che è la penisola. Qui ci si può riposare dopo l'estenuante viaggio in automobile (campeggi ed alberghi); da qui si dipartono le due direttrici stradali che permettono la visita del Varanger. La 890 porta a Nord verso gli altipiani interni e l'aspra e affascinante costa, dove assumerà il nome di Ishavsveien, la "strada dell'Oceano Glaciale Artico". Verso Est, e verso il noto Varangerfjord, si dirige la E75. L'inizio del fiordo dista solo una dozzina di chilometri da Tana. La nostra scelta è di esplorare in primo luogo la costa settentrionale; nel percorso attraverseremo la parte interna, di cui si hanno notizie quasi nulle, ma che un esame della cartografia ci ha rivelato come molto promettente per la presenza di un vasto altopiano ricco di specchi d'acqua di varie dimensioni. In realtà la parola "esplorare" si rivela sproporzionata; la ricchezza faunistica farà sì che non avremo mai bisogno di allontanarci dalla strada e dalla vettura.

La strada 890 punta direttamente a nord, seguendo fedelmente lo sviluppo estuariale del Tana, al fondo del quale, dopo una trentina di chilometri, arriviamo ad una delle aree protette della zona: la riserva di Tanamunningen. È una oasi di recente costituzione, formata da un'estesa area intertidale con banchi sabbiosi e praterie umide. È un'area di muta estremamente importante per lo smergo maggiore, con 30.000 maschi nella tarda estate. I visitatori estivi includono l'aquila di mare ed il girfalco. Qui svernano centinaia di re degli edredoni e migliaia di morette codone. La zona è anche un santuario di protezione delle foche. Circa quattro chilometri dopo l'abitato di Birkestrand (dove c'è un bel punto di vista sull'estuario del Tana) una stradella si diparte verso sinistra. Ci si lascia alle spalle un bosco rado di betulle e salici nani (tordo sassello, pettazzurro). Il sole ha una luce dura e tagliente che accende di un verde brillante le migliaia di foglie ancora allo stadio di germogli. Ci inoltriamo per circa tre chilometri, direttamente verso il centro del fiordo, su un terreno sabbioso interessato dal flusso delle maree. Dune e vasti tratti allagati costituiscono un ambiente ideale per la nidificazione e la sosta di centinaia di uccelli. La strada ci permette di penetrare profondamente l'ambiente della riserva. È liberamente percorribile (all'estremità opposta si trova un piccolo molo), ma sui due lati riporta le tabellature dell'oasi, che noi rispettiamo. Non occorre, infatti, spingersi oltre: la beccaccia di mare cova confidente sui bordi della strada, restando imperturbabile anche al passaggio dell'auto, così come il gambecchio ed il voltapietre. Le sterne artiche perfezionano il corteggiamento con l'offerta del pesce direttamente sull'asfalto. Assistiamo comodamente seduti in auto all'accoppiamento della beccaccia di mare e del corriere grosso. Il verso stridulo del gambecchio nano, così simile ad un prolungato tintinnio, risuona in continuazione: siamo in periodo di display territoriale.

Un esemplare cala direttamente su di noi e resta sospeso in "spirito santo" ad un metro sulle nostre teste, come a verificare la presenza di un potenziale rivale. Qui bastano un 300 millimetri ed il proverbiale sacchetto di fagioli poggiato alla portiera per scattare una serie di buone immagini. La strada è battuta costantemente dalle sterne artiche in volo, e saltuariamente da corvo imperiale, gavina e labbo, cosa che offre buone opportunità per alcuni scatti dinamici. Il cielo è terso e la luminosità abbondante: si lavora tranquillamente con pellicole da 50 ISO ad 1/500 con diaframma 8.

Una colonia di topini si è stabilita lungo le dune a poca distanza dalla strada; i chiari d'acqua lasciati dalla marea sono popolati da una pletora di limicoli: osserviamo pantane, chiurli maggiori, combattenti, pettegole, pittime reali. Per questi occorre un'ottica più potente. È il nostro primo contatto con la vita animale e si rivela decisamente gratificante: torniamo sul sito in un altro paio di occasioni, pernottando a Tana Bru.

Seguendo ancora la 890 ci trasferiamo poi verso la costa settentrionale. Il percorso lascia la costa e si dirige verso l'interno, seguendo prima il corso del torrente Julelva e poi inerpicandosi con ampie curve verso i contrafforti montuosi. A mano a mano che la strada sale assistiamo ad un veloce avvicendamento di fasce vegetazionali, una situazione tipica della Norvegia, dove la grande latitudine comprime i piani climatici. La foresta mista e aperta cambia rapidamente in una verdissima distesa pura di betulle, sempre più basse e rade; siamo ora al limite della vegetazione, intravediamo la prima neve. Un ultimo tornante schiude davanti ai nostri occhi una visione inaspettata ed immensa.

Siamo proiettati di colpo nell'altopiano interno della penisola, un succedersi infinito di tonde colline innevate e tratti di roccia a punteggiare il bianco accecante, e, sullo sfondo, la superficie regolare dei laghi ghiacciati. Solo nei tratti meno elevati, dove scorrono i ruscelli che nascono dai nevai in fusione, crescono bassi gruppi di arbusti come pennellate in un quadro che altrimenti sarebbe privo di vegetazione arborea. E siamo solo a 300 metri di altitudine! Ci fermiamo abbagliati. Una prima "sbinocolata" ci rivela una coppia di labbi codalunga che stanno nidificando a 30 metri dalla strada. Siamo rapiti dalla luce, dall'enormità dello spazio e delle prospettive. Con un'occhiata d'intesa decidiamo all'istante che quello è il posto dove vogliamo fermarci, ed i nostri propositi di visita al Varangerfjord, la decantata costa orientale, passano istantaneamente in secondo piano.

Il sole di mezzanotte
Il sole anche di notte, si potrebbe ben dire parafrasando il titolo di un film degli anni '70, è senz'altro il fenomeno che più colpisce il visitatore. La luce è perenne, onnipresente, l'irradiamento favorito anche dall'ambiente aperto; la luminosità è intensa. Il sole tocca il suo punto più basso verso la mezzanotte, ma rimane ad ogni modo ben visibile diversi gradi sopra l'orizzonte; è l'unica ora della giornata in cui non si riesce a scattare in sicurezza, anche perché la radiazione solare risulta eccessivamente carica di toni caldi. È il momento in cui tutto si acquieta, svaniscono i richiami degli uccelli ed anche il vento sembra rallentare il suo moto perpetuo. Il tutto però non dura più di una mezz'ora. Già verso l'una si avverte un netto cambiamento nella luce; l'incremento è repentino e corrisponde ad almeno un paio di EV. È l'orario migliore per fotografare, la luce è intensa ma laterale, con un tono caldo ma non esasperato. Già verso le 3 o le 4 del mattino risulta più dura e fredda. Destiniamo le ore centrali della giornata alla perlustrazione e alla preparazione dell'attrezzatura, oltre che a rifocillarci e riposarci. Infatti, la combinazione tra la ricchezza dell'ambiente e la disponibilità continua di luce produce un ovvio sconvolgimento dei normali ritmi quotidiani; si fotografa in continuazione, di notte più che di giorno, ed in genere si mangia e si dorme solo quando non se ne può fare a meno, seguendo gli stimoli contingenti che provengono dal nostro fisico. Per non perdere tempo ed occasioni fotografiche scegliamo di stazionare in permanenza nella tundra interna, dormendo in macchina, preparando dei pasti caldi sul fornelletto a gas, riparandoci dal vento dietro qualche baita di legno che giace semisommersa dalla neve, in attesa dei visitatori estivi. In altre occasioni ci limitiamo a sbocconcellare qualcosa al volo, tra una sequenza di scatti e l'altra. L'escursione termica e la continua esposizione al sole ed al vento bruciano in breve la pelle del viso. Questi apparenti disagi ci permettono di sfruttare al massimo il breve periodo di tempo a nostra disposizione, e le migliori situazioni di luce. Rimarremo sull'altopiano per una settimana, osservando una settantina di specie di uccelli e fotografandone una trentina. Il consiglio, nel caso qualcuno volesse visitare la zona, è di fare del campeggio libero. Esiste, ad ogni modo, la possibilità di pernottare in campeggio o in albergo. Per fare ciò occorre arrivare sulla costa nord, nei paesi di Berlevåg o Båtsfjord; si è obbligati a spostarsi quotidianamente dalla costa all'interno per una cinquantina di chilometri. Ogni due giorni, comunque, anche noi scendiamo verso il mare, per ripristinare le scorte alimentari, telefonare a casa e, non da ultimo, fare una doccia in un bagno pubblico.

Il paesaggio
Gli elementi che compongono la scena sono pochi, a paragone di altri ambienti: la neve, il cielo, le pietre ed i licheni, l'acqua in forma liquida o ghiacciata, come lago o ruscello. Che differenza con la taiga di conifere, solo qualche centinaio di chilometri a sud! Laggiù è un tripudio di forme, colori e dettagli, una sovrapposizione di piani prospettici e di livelli di lettura, anche dal punto di vista ecologico: occorre del tempo per riuscire ad orientarsi nella ridondanza di stimoli visivi e "sentire" un'inquadratura. Qui accade il contrario: pochi elementi visivi distribuiti ovunque, cosa che, se da un lato ci facilita nel dare un ordine alla composizione, dall'altro rende più arduo comporre delle immagini ricche di profondità e non scontate. La sequenza delle basse ondulazioni che fuggono all'orizzonte, la perdita di punti di riferimenti prospettici, ben lungi dallo smorzare il senso dello spazio, esaltano la sensazione di spaesamento e l'effetto "dune del deserto"; il tutto moltiplicato per la dimensione dei rilievi e l'ampiezza del campo visuale abbracciato.
Un buon medio tele, come un 180 millimetri, è lo strumento ideale per questo tipo di paesaggio; permette di selezionare l'inquadratura, privilegiando alcune aree a scapito di altre, comprimendo i piani prospettici in modo da restituire la sensazione di distanza. Un'ottica macro per i dettagli, come le delicate trame dei licheni o i fiori che cominciano a fare capolino nei tratti di terreno libero, ed un grandangolo spinto completano un corredo adeguato all'esplorazione fotografica dell'ambiente.

I Fjellet
Le zone più elevate ("fjellet" cioè "alture" nella scarna toponomastica norvegese) ci attirano immediatamente. Qui la neve è ovunque, le cime rotondeggianti si stagliano direttamente contro il cielo, lo sguardo corre per decine di chilometri. Ci muoviamo in auto, poiché in realtà non occorre penetrare nel territorio circostante più di qualche decina di metri: ciò che cerchiamo è sempre a portata di mano. Inoltre il vento gelido e continuo non invoglia a stare allo scoperto; la copertura nevosa rende difficile camminare fuori dalla sede stradale. Questo non sarà sempre vero, durante la nostra permanenza: il sole che splenderà per giorni in breve tempo assottiglierà il manto nevoso fino a farlo sparire del tutto in gran parte del territorio, letteralmente a vista d'occhio.

Oltre il bivio di Gednje in direzione di Båtsfjord (strada n.891) si incontra la zona elevata più interessante dal punto di vista paesaggistico, il Båtsfjordfjellet (l'intero comprensorio è citato come Ordofjell su qualche pubblicazione). La strada corre intorno ai 350 metri di altitudine per circa 15 chilometri prima di scendere decisamente al mare. Incontriamo qui le prime pernici bianche, che diventeranno una presenza costante nelle nostre ricognizioni in questo ambiente; con un minimo di attenzione non è difficile scorgerle a qualche decina di metri di distanza, il maschio di sentinella. Siamo quasi nel periodo della deposizione e sono molto diffidenti (soprattutto al paragone degli altri uccelli presenti); in campo aperto riusciamo ad avvicinarci solo ad una trentina di metri: l'uso di un 500 millimetri accoppiato ad un moltiplicatore 1,4 si rivela indispensabile per ottenere qualche immagine accettabile.

Alcune strisce di terreno sono sgombre dalla neve. Qui sembra più facile intercettare gli uccelli che pasturano a terra, come i limicoli. Ne scegliamo una in particolare in uno dei tratti più elevati; poche decine di metri di cammino in cinquanta centimetri di neve solida (di notte la temperatura scende sotto lo zero e il manto nevoso si rassoda) ci portano sul posto. Improvvisamente si invola a pochi metri una coppia di pernici bianche nordiche. Ne vedremo diverse altre nei giorni successivi, sempre estremamente diffidenti, legate ad ambienti più acquitrinosi rispetto alla cugina "alpina", che invece presidia i pendii più esposti. Un piviere dorato pigola a poca distanza: troveremo per caso le sue uova deposte in una piccola depressione del terreno, perfettamente mimetiche. Una coppia di labbo codalunga sta covando sulla radura. Un tele da 300 millimetri è più che sufficiente per fotografare questo uccello che si lascia avvicinare fino ad una decina di metri. Alziamo per un attimo gli occhi al cielo e vediamo sfrecciare un lampo candido: un girfalco in volo, una sagoma sfuggente che purtroppo non avremo più modo di rivedere in seguito. Un altro abitante delle sommità collinari, specie se ricche di pietre e licheni, è il piviere tortolino. Riusciamo ad individuarne due coppie in giorni diversi. Come quasi tutti gli animali, è più facile incontrarlo sulle zone di terreno sgombro. Non è ancora tempo di cova per questo splendido piviere, e si vede: i tortolini, abitualmente confidenti sul nido o in presenza della prole, in questo momento non si lasciano avvicinare in campo aperto. Anche lo zigolo delle nevi è presente, ma non comune; è relativamente confidente ma per fotografarlo dobbiamo aspettare di averne individuato un nido, tra le fenditure della roccia.

Tra i mammiferi, la volpe rossa è presente nell'area, e la osserviamo in diverse occasioni. Uno di questi incontri ci regala un momento di grande fascino: la avvistiamo che caracolla in lontananza, lungo un crinale innevato dietro il quale occhieggia uno spicchio di sole, la sagoma snella disegnata da un orlo di luce dorata. Ad un tratto si arresta e si acquatta, poi con un balzo piomba su una preda a noi invisibile, probabilmente un'arvicola, e la divora sul posto. In un altro caso troviamo una tana occupata a due metri dalla sede stradale, e passiamo un buon quarto d'ora ad osservare un cucciolo che gioca spensierato, incurante della nostra presenza; la madre si aggira nei pressi, e non sembra per niente condividere la tranquillità del piccolo. Per tutto il nostro soggiorno questi ed altri esseri saranno le sole presenze che animeranno l'ambiente intorno a noi, se si esclude qualche rarissimo birdwatcher che ci chiede lumi sul percorso con l'aria di chi si è smarrito.

Non ricorriamo alla foto da capanno, se non in casi estremi. Ad esempio lo zigolo di Lapponia, ancorché onnipresente, si rivela inavvicinabile per lo scatto in campo aperto. Per fotografare lo splendido maschio accettiamo di spendere qualche ora in un capanno montato dinanzi ai cespugli di salice dove abitualmente si posa per sorvegliare il terreno. Utilizziamo più frequentemente la rete mimetica, semplicemente drappeggiandocela addosso; si farà apprezzare nelle foto dell'organetto artico al nido, per esempio, il cui maschio con un continuo andirivieni alimenta la femmina in cova. Quasi tutte le altre specie non nidificanti si lasciano avvicinare a sufficienza, con un minimo di attenzione e cautela, lasciandoci in un primo momento stupefatti; sapevamo che all'estremo nord la fauna è confidente, ma non ci aspettavamo a tal punto. Che differenza con la "nostra" avifauna!

Uno strumento utile è il comando a distanza, a infrarossi o a onde radio, meglio se con una portata di almeno una cinquantina di metri; qui l'utilizzo è facilitato dagli spazi aperti, ed è addirittura indispensabile se si pensa di scattare al nido col minimo disturbo. Lo collaudiamo con il labbo codalunga individuato al nostro arrivo; il codalunga, come peraltro il suo cugino labbo, difende strenuamente il nido contro ogni predatore, uomo compreso. I suoi attacchi sono violenti ma non arrivano al punto di colpire realmente (diversamente ad esempio dalla sterna artica); nei brevi istanti in cui armeggiamo con l'attrezzatura, resta posato ad una decina di metri di distanza. In questo modo il nido non rimane mai sguarnito, cosa che ci fa lavorare con tranquillità d'animo. Il tempo occorrente è comunque minimo: posare il treppiede con la fotocamera (caricata con un rullino nuovo), usando un tele medio per non andare troppo "sotto" e non frenare l'immediato ritorno dell'animale al nido (per le dimensioni del labbo il 180 è perfetto); focheggiare traguardando su un rametto posato sulla linea della messa a fuoco ipotetica; impostare i dati di esposizione ed attivare il ricevitore. Ci si allontana in fretta, non prima di aver tolto il rametto usato per la messa a fuoco! Una volta eseguita una serie di scatti si torna a togliere l'attrezzatura, ed in questo caso il tempo è ancora inferiore: si allunga una mano e si corre via. Il labbo codalunga vive una vita da rapace, cacciando piccoli roditori della tundra come lemming ed arvicole; come altri predatori di queste terre estreme, rinuncia a nidificare negli anni di penuria delle sue prede elettive. Questo individuo ha deposto un uovo, cosa che ci fa sperare in una buona stagione. In effetti saranno una decina le coppie di codalunga che troveremo sull'altopiano intente a nidificare.

Useremo la stessa tecnica per fotografare il labbo in fase scura, nonché i due zigoli, di Lapponia e delle nevi, e la strolaga minore in cova.

Una cosa che colpisce è che la catena alimentare qui è completa, diversamente da ciò che accade in buona parte degli ambienti di casa nostra; per ogni situazione di potenziale predazione esiste un predatore pronto ad approfittarne. I labbi codalunga, le poiane calzate, i corvi imperiali sono diffusi; osserviamo anche un aquila di mare volteggiare sull'altopiano: siamo ad una decina di chilometri in linea d'aria dalla costa più vicina, un'inezia per le capacità di questo grande veleggiatore. Questo scenario deve far riflettere sulle possibili forme di disturbo dovute alla presenza umana, soprattutto nella stagione della nidificazione. Il semplice fatto di camminare nella tundra è di per sé ineludibile per chi voglia entrarne in contatto, ma rappresenta anch'esso, in qualche misura, una forma di disturbo. È pur vero che un'attività di questo tipo può essere considerata come parte dell'insieme naturale dei fattori di rischio, ma una cosa è l'interpretazione teorica (per quanto corretta); ben altro è trovarsi concretamente sul posto ed essere testimoni delle conseguenze del nostro eventuale disturbo, per quanto relativo. E se ciò è valido anche solo per il muoversi, tanto più incalzante diventa il discorso se parliamo di fotografare.

Ci rendiamo pienamente conto di ciò il giorno in cui stiamo osservando a distanza la cova di una gavina, l'uovo deposto sul vertice di un monticello coperto di muschio, in un incavo che lo fa somigliare ad un piccolo vulcano, la testa e la coda dell'uccello a sporgere dalla sagoma conica. Mentre ci scambiamo pareri sulla fotogenia della situazione e sulle modalità per riprenderla, la gavina si alza in volo, forse distratta dal passaggio di un predatore o per chissà cos'altro. Un corvo imperiale appare dal nulla, cala improvvisamente sul nido, raccoglie l'uovo nel grande becco e scompare. Tutto avviene nel totale silenzio, in una frazione di secondo; non appena realizziamo quanto è accaduto ci rendiamo conto con un brivido di raccapriccio che avremmo potuto essere noi all'origine del fatto. Così non è stato, e ci sentiamo sollevati per questo; decidiamo di riflettere a fondo sulle possibili conseguenze di ogni iniziativa futura.

Dalla neve, l'acqua
Scendendo leggermente in altitudine e man mano che i giorni passano ed il calore solare compie la sua opera, i nevai si interrompono e si aprono in ruscelli; questi creano a loro volta piccole zone umide laddove l'acqua si spaglia sul terreno. È un ambiente dominato dagli arbusti bassi, prevalentemente a salice, che crescono ai bordi dei corsi d'acqua e delle pozze. Ospitano una ricca schiera di passeriformi. Lo zigolo di Lapponia è ubiquitario. Il suo caratteristico richiamo costituito da tre note languide che scendono di tono sarà la colonna sonora del nostro soggiorno. Il suo nido è una piccola cavità ricavata nei bassi cocuzzoli ricoperti di muschio, il cui accesso è coperto dalla vegetazione: assolutamente invisibile dall'esterno, ci occorre più di un'ora per individuarne uno, seguendo una femmina con l'imbeccata. L'organetto e l'organetto artico sono anch'essi comuni e con poco sforzo se ne trovano i nidi alla biforcazione dei rami bassi. Per restare tra i passeriformi, la pispola golarossa è diffusa, così come il culbianco, la cesena ed il tordo sassello. Vediamo anche una coppia di allodole golagialla, una specialità degli ambienti pietrosi ed aridi, che si mostra molto interessata ad una bassa scarpata rocciosa, dove probabilmente deporrà.

I limicoli sono visibili ovunque. Alcuni indaffarati nella nidificazione, come il piviere dorato che già sta covando, o il beccaccino, il cui vibrare delle caudali nelle picchiate territoriali risuona per ore sulle nostre teste. Anche il gambecchio nano, davvero comune e confidente, ed il corriere grosso sono in epoca riproduttiva. Per altri la stagione degli amori deve ancora arrivare, pur intravvedendosene le avvisaglie. I combattenti, ad esempio: ne troviamo a decine, i maschi già in abito nuziale. Alcuni branchetti sono così confidenti che abbiamo problemi di messa a fuoco minima, e ricordo che ci muoviamo allo scoperto!. L'aggressività è alta, ed i maschi difficilmente tollerano la vicinanza di potenziali rivali, affrontandoli con posture di sfida. In un altro caso individuiamo una radura lungo l'ansa di un torrente, chiusa su tutti i lati da fitti cespugli; 50 combattenti maschi si fermano qui a riposare, tutti in pieno abito. Uno spettacolo splendido, ma purtroppo destinato a rimanere impresso solo nella nostra memoria, e non sulla pellicola. Tentiamo infatti ripetutamente di realizzare qualche ripresa, ma inutilmente: anche il capanno meglio mimetizzato sembra troppo per questo plotone di individui particolarmente diffidenti e dobbiamo rinunciare dopo una giornata di vana attesa.

I laghiGli innumerevoli corsi d'acqua, alcuni di discrete dimensioni, vanno ad alimentare una moltitudine di stagni e laghi. Al centro dell'altopiano, nell'area denominata Kongsfjordfjellet, si trova il lago Gednjejavvre, il più grande tra quelli costeggiati dalla strada. Qui addirittura la sede stradale è ricavata per un breve tratto su una prismata che taglia in due il lago. Un bacino ancora più ampio è il Dagvejavvre, situato a poche centinaia di metri a ovest, ma completamente invisibile dal primo. Il lago è il regno della strolaga mezzana, qui presente con una coppia; è un animale difficile da fotografare anche in funzione della sua predilezione per gli specchi d'acqua di grandi dimensioni. Ogni grande lago della zona ha la sua coppia, ma non riusciremo mai ad avvicinarci a sufficienza. Molti uccelli acquatici sono presenti sui laghi in questa stagione. Il più diffuso è sicuramente lo smergo maggiore, ma vediamo anche lo smergo minore, il codone, ed una coppia di fischioni, lungo le rive ricche di arbusti. La moretta codona è diffusa, ma la sua presenza diminuirà con lo sciogliersi del ghiaccio, fino a sparire del tutto.

Il lago Gednjejavvre si rivelerà in particolare uno dei siti più suggestivi. Il ghiaccio, che lo ricopre quasi interamente in grandi banchi compatti, si scioglie durante il giorno, ma tende a riformarsi quando il sole cala ed il vento gelido porta la temperatura sotto lo zero. Questo meccanismo fa sì che non si sciolga semplicemente, ma si separi in centinaia di migliaia di stiletti di purissimo ghiaccio trasparente, lunghi una ventina di centimetri, che galleggiano affiancati ma separati l'uno dall'altro, mantenuti in verticale dalla reciproca pressione. Sui bordi di quelli che erano i lastroni iniziali, nei punti dove il vento li spinge l'un contro l'altro, i cristalli si innalzano sulla superficie, creando un reticolo di merletti di grande eleganza. Un tintinnio argentino ci dice che il materiale è in continuo movimento. Il fenomeno durerà solo pochi giorni, poi il ghiaccio residuo scivolerà lungo i torrenti emissari per perdersi verso il mare.

Qui trascorriamo spesso le ore dopo la mezzanotte. Nella notte artica le voci degli animali si acquietano; per una breve ora l'unico rumore che rompe l'ovattato silenzio dell'altopiano è il soffio del vento. Talvolta un mormorio sommesso nasce a chilometri di distanza e cresce man mano fino a diventare un rombo, che si concretizza nella sagoma di un TIR lanciato verso i porti del nord; come un essere alieno e dotato di volontà propria, un predatore con l'unico istinto di divorare asfalto, ci oltrepassa senza degnarci di attenzione. Scomparendo all'orizzonte ci lascia con la consapevolezza che sono ben pochi i luoghi dove l'uomo non è arrivato, col suo carico di contraddizioni. Ascoltiamo con gratitudine il silenzio che torna a calare intorno a noi. Siamo in piedi su un istmo di terra che divide due laghi in cui il cielo si riflette a specchio, il ghiaccio a risuonare al vento, il sole che splende alle due di notte ed avvolge tutto in una luce irreale, il silenzio rotto solo dal verso lamentoso della strolaga mezzana: sono sensazioni che non si dimenticano facilmente e da custodire gelosamente nella memoria, poiché non è possibile fermarle nelle immagini.

La strolaga minore
I laghi di dimensioni minori, come se ne trovano presso il bivio tra la 890 e la 891, in località Gednje, o sette chilometri più avanti in direzione Berlevåg, a Buetjern, offrono altri tipi di incontri. Sono per la maggior parte poco più di stagni, con un accenno di vegetazione sulle rive e sgombri di neve. Le sterne artiche covano presso le sponde e coppie di morette grigie rompono con le loro scie la piatta regolarità dell'acqua. Con stupefacente puntualità rileviamo la presenza di un maschio di moretta codona in ognuno degli specchi d'acqua; il falaropo beccosottile è una presenza diffusa e confidente, ma difficile da fermare sul fotogramma a causa del suo dinamismo esasperato: nuota e galleggia con abilità insospettata in una costante caccia alle zanzare e altri piccoli insetti.

L'incontro che più ci eccita è però quello con la strolaga minore. L'aspetto stilizzato, le fini barrature del piumaggio, l'eleganza del portamento in acqua e, per finire, il richiamo, simile ad un gemito umano ed inquietante, fanno di questo uccello uno degli esponenti più affascinanti dell'avifauna nordica. Ne incontriamo diverse coppie, tutte intente alla nidificazione: la adottiamo subito come animale simbolo del nostro viaggio. La strolaga minore colonizza i piccoli laghi, poco più di grandi stagni, sulle cui rive costruisce una piattaforma di vegetazione nella quale depone e cova. Mentre un individuo cova, con maggiore assiduità mano a mano che i giorni passano, l'altro si sposta in pastura in aree più vaste. A terra si muove in maniera goffa e sgraziata, come tutti gli uccelli strutturati per l'immersione. Si rivela abbastanza diffidente (cosa comprensibile visto il momento delicato), anche se troviamo una coppia che sta deponendo direttamente davanti ad un paio di baite. Per riprendere il nido piazziamo ad una decina di metri lungo la riva un 300 millimetri su treppiede, posizionato tra la vegetazione e ricoperto da una rete mimetica. Lo scatto è assicurato dal solito telecomando ad infrarossi, muniti del quale ci acquattiamo sotto un capanno. In questo caso, come in tutti gli altri casi di scatto a distanza, adottiamo questa tecnica: una volta determinata quella che riteniamo la corretta esposizione per il soggetto, impostiamo la fotocamera in automatismo, e compensiamo col correttore fino ad arrivare ai valori di tempo e diaframma stabiliti in precedenza. Questo tipo di regolazione ci garantisce un adeguamento automatico dell'esposizione nel caso in cui le condizioni di luce mutino (nuvole in movimento, il sole che cala ecc.), cosa fondamentale laddove non sia possibile muoversi per cambiare i valori impostati. L'automatismo della fotocamera compensa solo la differenza tra la nostra stima iniziale e la situazione successiva.

Tornando alla strolaga, un ulteriore appostamento col capanno ci consentirà qualche buona immagine in acqua, ma stavolta avremo bisogno di un 500 millimetri.

Una buona dose di fortuna ed un po' di tenacia ci soccorrono nel caso di un'altra coppia, poco distante dalla prima. Non hanno ancora deposto, ma li vediamo interessati ad uno specifico tratto della riva, non distante dalla strada; in quel punto si intuisce un progetto di piattaforma. La frequenza dei richiami e le movenze dei due soggetti ci dicono che potrebbe essere il periodo giusto per l'accoppiamento: decidiamo di tentare. Alle tre di notte, dopo due ore di attesa sotto una rete mimetica, il maschio sale sulla femmina e si offre al nostro teleobiettivo indiscreto regalandoci (e regalandosi, ci piace pensare) il momento magico che tanto aspettavamo.

La costa
Proseguendo lungo la 890 oltre Buetjern, il percorso scende velocemente verso il mare, in un rude paesaggio roccioso punteggiato di stagni. Si accede alla costa nord della Varangerhalvøya presso il borgo di Kongsøy, superato il quale si arriva a Vejnes, un agglomerato di casette colorate dall'aspetto deserto. Il paese è adagiato alla base dell'alta penisola omonima; uno sterrato conduce in mezz'ora di cammino alla sommità della penisola, da cui lo sguardo può spaziare per chilometri lungo la costa. Qui si trovano anche delle fortificazioni tedesche risalenti al secondo conflitto mondiale. A poca distanza dalla penisola si trova l'isola di Kongsøy, con una colonia di uccelli marini, tra cui pulcinella di mare e urie; probabilmente nel borgo qualcuno potrà darvi indicazioni sulla traversata in barca, sempre che riusciate ad incontrare un abitante. A noi non è riuscito.

Da qui la strada segue decisamente il litorale fino a Berlevåg; sono trenta chilometri denominati Ishavsveien, la "strada dell'Oceano Glaciale Artico". Il nome suona un po' altisonante, ma in verità il percorso è davvero splendido, maestoso nelle formazioni rocciose, primordiale e selvaggio nell'alternarsi di falesie grigie e vallette fluviali che terminano in spettacolari sistemi dunali. La poiana calzata è comune, smerghi ed edredoni punteggiano tutta la costa, l'aquila di mare frequenta la zona; le renne pascolano fin sul mare. Berlevåg è un grazioso centro con un museo portuale ed campeggio nelle vicinanze. Da qui ulteriori 20 chilometri di strada in terra battuta conducono a Store Molvik, sulla costa del Tanafjorden, un villaggio di pescatori abbandonato in una bella posizione naturale.

Varangerfjord
Esaurito il tempo a nostra disposizione per la visita dell'interno e della costa nord, ci accingiamo, per la verità malvolentieri, a proseguire per la costa orientale; per fare ciò occorre tornare sui propri passi riscendendo a Tana Bru e da qui seguendo la E75 verso ovest per una dozzina di chilometri prima di affacciarsi sul Varangerfjord. La visita al fiordo ci porta via tre giorni; il tempo è freddo (4 gradi durante la giornata), tira un vento umido e teso sotto un cielo perennemente coperto. Una pioggia fine ed intermittente rende difficile l'attività fotografica. Visitiamo frettolosamente i luoghi canonici del Fjord: Nesseby con la sua graziosa chiesa lignea ma soprattutto lo stagno con alcuni falaropi beccosottile e pittima minore, nidificazioni di beccaccia di mare e corriere grosso. Qui osserviamo anche un cuculo, non così comune qui come da noi. Nesseby è uno dei siti privilegiati per l'osservazione degli edredoni artici, ed infatti un branchetto di edredoni di Steller sta alimentandosi a qualche decina di metri dalla riva.

A Vadsø (cittadina per la verità insignificante se non squallida) troviamo circa 200 falaropi beccosottile nella pozza sull'isolotto di Vadsøya antistante alla città; diventeranno 560 simultaneamente solo una settimana dopo, come apprenderemo da un sito Internet una volta a casa. Le sterne artiche rendono difficile muoversi intorno allo stagno con i loro ripetuti attacchi: nidificano pochi metri a lato del sentiero, insieme a gavine, voltapietre, piovanelli pancianera. Le lepri variabili si rincorrono nei prati circostanti.

La strada da Vardø a Hamningberg vale la fama che l'accompagna: paesaggio artico, la neve fin sul mare, scenari lunari di grigia pietra in mille fogge diverse, splendide spiagge. Alcune specie accidentali o rare sono visibili solo in questo tratto. Osserviamo una strolaga maggiore, ad esempio, oltre a due esemplari di gabbiano glauco. Una coppia di gufo delle nevi è stata segnalata in zona solo due settimane prima, ma purtroppo non si palesa. Allo stesso modo "buchiamo" con enorme disappunto un branco di beluga sottocosta visto da alcuni naturalisti tedeschi solo un quarto d'ora prima. Ci restano comunque gli innumerevoli edredoni, smerghi maggiori, pivieri dorati ed i meno diffusi stercorari maggiori e falaropi beccosottile. La lepre variabile è visibile ovunque lungo la strada, la poiana calzata si rivela più comune qui sul litorale che nell'interno. Il borgo al termine del tragitto sembra veramente un avamposto della civiltà; poche vecchie case, alcune con secoli di vita protette come museo all'aperto, in un sito di grande suggestione dove nessuno vive nella stagione invernale. Da marzo ad ottobre alcune dimore sono a disposizione dei turisti. Qui in pratica finisce l'Europa occidentale, e sul posto c'è chi è pronto a certificarlo con un bollo apposito. La volpe artica frequenta i dintorni, ed è possibile avvistare le sule provenienti dalla vicina colonia di Syltefjordstauran. Tirando le somme un itinerario assolutamente imperdibile.

Conclusione
Arrivati al punto in cui non si può più procedere, ci rassegnamo al fatto che è il momento di tornare indietro. Voltiamo il muso dell'autovettura verso sud e verso casa con grande rimpianto, ma appagati. Le aspettative della vigilia non sono state disattese; ora sappiamo che ambienti con queste caratteristiche e con questa vastità sopravvivono nel nostro continente, e questa consapevolezza ci conforta. Nelle migliaia di chilometri del viaggio di ritorno ci sarà spazio per i commenti, le riflessioni, e per la piacevole sensazione che si prova quando, salutando una persona cara, nel momento stesso in cui si parte, si sta già pensando a tornare.

Informazioni utili

Periodo di visita
Le immagini dell'articolo si riferiscono ad un periodo che va dall'ultima decade di giugno alla prima di luglio. Sono questi i mesi più adatti per osservare lo svolgersi della vita nella tundra; durante l'inverno le condizioni di vita sono proibitive anche per l'uomo, le comunicazioni sono difficili (alcuni paesi vengono temporaneamente abbandonati). In agosto invece si possono trovare tempo splendido e nessuna traccia di neve, ma scarsa o nulla presenza di fauna: la stragrande maggioranza dei migratori estivi ha già cominciato il rientro al sud o si accinge a farlo. Nel dettaglio: sarà giugno il mese indicato per i corteggiamenti e le prime cove, luglio per l'allevamento e lo sviluppo dei pulli, con le dovute differenze tra le specie e la variabilità dovuta all'andamento climatico della stagione. Occorre tenere presente che a metà giugno si rischia di trovare ancora una grande quantità di neve, cosa che può rendere complicato muoversi (anche se aggiunge fascino al paesaggio). L'autunno, che qui arriva presto ed è molto breve (tre o quattro settimane in settembre), regala degli splendidi colori caldi, dovuti alla fitta copertura di cespugli ed arbusti le cui foglie virano repentinamente verso una gamma di rossi intensi. Il fenomeno è di grande fascino, al punto che in Finlandia hanno coniato un suggestivo termine per definirlo: la "ruska".

Accesso ai siti
L'accesso è libero ovunque, a maggior ragione nella tundra interna; limitazioni locali esistono laddove le riserve naturali prevedano forme di protezione integrale, soprattutto all'epoca delle nidificazioni. A questo proposito occorre prestare molta attenzione alla segnaletica, spesso non così evidente (ed in ogni caso difficile da interpretare: è scritta solo in norvegese); generalmente si tratta di bassi paletti con un piccolo cartello recante il simbolo delle riserve statali norvegesi. Di una cosa si può star certi: anche se sembra non esserci anima viva all'orizzonte, si riesce senz'altro a farsi "beccare" da un poliziotto nel momento stesso in cui posa un piede oltre il limite consentito. La protezione della natura in Scandinavia è (giustamente) vissuta come una faccenda estremamente seria, e le guardie locali sono zelanti e poco inclini a soprassedere.

Clima
Anche in estate le temperature possono essere rigide. Nel periodo della nostra visita non si sono superati gli 8 gradi centigradi diurni, mentre di notte il termometro scendeva a meno 2°. Più avanti nella stagione (agosto) le temperature sono decisamente più miti. L'interno non è una zona particolarmente piovosa, diversamente dalla costa e del Varangerfjord in particolare, dove, a fronte di temperature più elevate, può essere presente una costante copertura di nuvole basse e umide provenienti dal mare aperto. Il vento è una costante, e tende ad essere teso ed intenso sugli altopiani interni.

Cosa portare
L'attrezzatura fotografica è quella classica per questo tipo di spedizioni. Un tele da 300 millimetri, caratterizzato possibilmente da una ridotta distanza minima di messa a fuoco, è lo strumento principale, affiancato da un tele da 500 o 600. Un moltiplicatore 1,4x è raccomandato, ma non indispensabile, soprattutto se si hanno il tempo e la possibilità di lavorare molto con appostamenti. Il 300 è ugualmente valido per il paesaggio, così come un tele medio, utile anche per gli animali più confidenti. Un grandangolo spinto per i totali e per ambientare qualche particolare in primo piano, ed un obiettivo macro completano un parco ottiche adeguato. Indispensabile è un telecomando, per le ragioni già accennate. È fondamentale prevedere un'adeguata scorta di pellicole, viste le occasioni che si presentano e la disponibilità di 24 ore di luce solare; se il cielo vi assiste (meteorologicamente parlando, ma non solo...) si possono scattare 5 o 6 rullini al giorno.

Una rete mimetica sarà sufficiente nella maggior parte dei casi in cui è richiesto un appostamento, ma potendo, portatevi anche un capanno. Gli stivali sono un accessorio fondamentale. La tundra è un luogo umido per definizione, ricca com'è di paludi e corsi d'acqua. Gli unici tratti di terreno davvero asciutto sono le rocce. Gli stivali, adeguatamente coibentati, saranno utili anche per camminare nella neve alta; consiglio quelli alti alla coscia, che permettono di inginocchiarsi sul terreno mantenendo asciutta la gamba, e che possono comunque essere ripiegati quando si tratta di camminare.

Una completa attrezzatura da campeggio è obbligatoria nel caso vogliate pernottare nella tundra; in ogni caso tenete presente che l'auto può essere sempre a portata di mano, nel caso non vogliate fare un vero e proprio trekking. Tutti i centri abitati sono ampiamente forniti di negozi con l'occorrente per la vita all'aria aperta.

Se il viaggio viene effettuato intorno a metà giugno, una volta tanto sarà possibile scordarsi a casa il repellente antizanzare; ma attenzione, solo qualche settimana più tardi la situazione cambia radicalmente, soprattutto alle basse altitudini. Se poi si ha intenzione di visitare la taiga svedese durante il trasferimento, occorre procurarsi qualcosa di più efficace dei repellenti nostrani; i negozi locali vendono micidiali intrugli che sembrano poter scacciare qualsiasi cosa nel raggio di alcuni metri, insetto o uomo che sia. Ma alla prova dei fatti da metà giugno a fine agosto muoversi nella foresta tra nugoli di insetti famelici può rivelarsi comunque un'impresa ingrata.

Documenti
Sono sufficienti la carta d'identità e la patente italiana, oltre alla classica carta verde. È consigliabile richiedere e compilare il modulo E111 per l'estensione della copertura sanitaria nei paesi CEE, rivolgendosi alla A.S.L. di competenza.

Valuta
Per noi la corona norvegese costa 20-30 lire di più di quella corona svedese (stiamo parlando di cifre intorno alle 240-250 lire), ma la valuta norvegese può essere utilizzata in alcuni esercizi commerciali svedesi (mi è capitato ad esempio nei distributori) senza alcuna formalità, con un cambio alla pari (1 corona norvegese = 1 corona svedese).

Lingua
Ovviamente il norvegese; l'inglese è parlato correntemente dalla quasi totalità della popolazione, ad esclusione forse dei soggetti più anziani.

In auto
Il tragitto per arrivare alla penisola di Varanger ricalca in gran parte quello del classico viaggio a Capo Nord, distaccandosene solo nell'ultimo tratto. La via più breve, anche se non necessariamente la più interessante, rimane la strada costiera svedese, denominata E4, che da Stoccolma risale via Sundsvall, Umeå e Luleå, passando poi in territorio finlandese a Tornio e salendo a Nord via Rovaniemi e Ivalo sul lago Inari. Nel complesso si tratta di una cavalcata di 3.700 chilometri, partendo da Milano.

Un'alternativa intrigante è rappresentata dalla strada interna svedese, la 45. Arrivati in Svezia, si segua la direzione Jönköping — Skövde — Kristineham e direttamente a nord verso Mora, Ostersund e Arvidsjaur. Si prosegua per Jokkmokk oltrepassando il circolo polare artico e prendendo per Karesuando, Kautokeino e Karasjok, nel pieno della terra lappone. Si approda a Tana Bru percorrendo un paio di centinaia di chilometri in più rispetto all'itinerario precedente, ma ne vale sicuramente la pena. Il percorso corre interamente in mezzo alle foreste svedesi, con suggestivi scorci sui laghi e notevoli possibilità di avvistamenti faunistici (volpi, galli cedroni e forcelli, alci, lepri variabili, gru e cigni selvatici); inoltre il traffico è pressoché inesistente, diversamente da quanto accade sulla strada costiera, normalmente frequentata dagli autotrasportatori.

Nel caso scegliate questo percorso, consiglio una sosta a Porjus, 40 chilometri oltre Jokkmokk, e ad una giornata di guida dalla penisola di Varanger. Qui una visita alla Galleri 47 permetterà di incontrare una fotonaturalista inglese che espone splendide immagini di taiga e di aurore boreali, e di coniugare un'interessante conversazione ad una tazza di buon tè caldo (citando i nostri nomi riceverete un'accoglienza anche migliore). Per chi volesse pernottare, il piccolo centro dispone di un campeggio e di un albergo.

Una volta nella Varangerhalvøya le distanze sono relativamente brevi. Tana Bru può essere considerata la base di partenza per la visita completa della penisola, essendo pressoché equidistante sia da Vardø all'estremità est del Varangerfjord, sia da Berlevåg a nord; in questa località termina la strada lungo la costa settentrionale, la Ishavsveien; in entrambi i casi si tratta di circa 140 chilometri. L'altopiano interno, lungo la strada 890 per Båtsfjord e Berlevåg, si raggiunge dopo 75 chilometri da Tana, costeggiando l'estuario del fiume e passando per la riserva naturale di Tanamunningen.

La benzina in Scandinavia si paga a caro prezzo: in Norvegia la verde è offerta in due "gradazioni" (95 o 98 ottani) sempre intorno alle 2.700/2.800 lire al litro, con variazioni da zona a zona. In proporzione gli altri carburanti. In compenso i distributori sono presenti in maniera capillare ed è difficile guidare per più di 40 o 50 chilometri senza incontrarne uno, anche nelle plaghe più desolate. Tutti sono dotati di minimarket (butik) ben forniti.

Vitantonio Dell'Orto © 9/2000
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