BAC HA: LA BOLGIA
Nel grande mercato in Vietnam con la Leica M7
Pierpaolo Ghisetti, dicembre 2014

Nelle mie avventure di viaggio, di mercati ne ho visti tanti: quelli fantasiosamente colorati in stile Missoni in Perù, quelli polverosi sotto un sole ardente in Africa, le ordinatissime bancarelle degli Amish in Pennsylvania, quelli vivacissimi e ricchi di spezie di ogni tipo in India. Si trattava sempre di mercati più o meno locali, dove tuttavia i turisti erano i benvenuti e i venditori si erano ormai abituati col tempo alla loro presenza sia fisica che ‘fotografica’. Ma lassù, nel nord del Vietnam, al confine con la Cina, al mercato di Bac Ha, l’esperienza era completamente diversa.

Davanti a me si estendeva uno spazio enorme, diviso per tipologie merceologiche, percorso da una folla immensa, formicolante, che contrattava, spingeva, mangiava, trasportava bambini e cose, in mezzo a maiali, polli, cavalli, uccelli, in un tutto inestricabile, con individui assolutamente incuranti del prossimo, impegnati a farsi largo e trattare con abilità e durezza i propri affari, magari imprecando e lanciandoti ogni tanto sguardi misti di diffidenza e curiosità.

Visto dall’alto il mercato di Bac Ha non sembra un luogo fisico ma un immaginario fantastico, un gigantesco formicaio umano e non: volatili che starnazzano nelle gabbie, vecchiette inviperite che sbraitano contro chiunque, maialini disperati e urlanti inseguiti dal macellaio, gente che mangia serafica la sua zuppa bollente seduta al banco circondata dalla solita moltitudine in vorticoso movimento, venditori che contrattano con uno o più clienti e ogni tanto addentano una coscia di pollo. Essere individuati come turisti non è in apparenza un vantaggio, perché tutti ti trattano con malcelata sopportazione, forse anche insofferenza. Quando provi a fotografare nessuno mostra un particolare interesse: tutti seguitano indaffarati a occuparsi dei propri commerci, continuando a muovendosi incessantemente in ogni direzione, senza una logica che non sia la vitale frenesia primitiva che li rende nello stesso tempo attori e spettatori.

Inutile dire che fotografare in questa bolgia dantesca, che fa rimpiangere come posti ordinati anche i tumultuosi mercati africani del Mali o del Senegal, non è impresa da poco e richiede innanzitutto la comprensione della regola principale del gioco: ovvero prenderle e darle in egual misura senza risparmio per nessuno! Per questa giornata campale ho scelto una attrezzatura collaudata e semplice: Leica M7 e winder per velocizzare l’azione, un Summilux 50/1,4 per le foto sotto i tendoni del mercato ed utilizzato praticamente sempre a TA, e un Tele Elmarit 90/2,8 (nero) per la sua compattezza, completo del fondamentale paraluce. Ho alternato pellicole in B/N ed a colori, quest’ultime soprattutto per riprendere i bellissimi colori dei vestiti tradizionali della popolazione Hmong, una delle principali etnia di questa zona vietnamita.

Perché non un grandangolo? Perché la distanza di ripresa era sempre intorno al metro, massimo un metro e mezzo e inevitabilmente avrei finito per inquadrare una miriade di soggetti, visto che si viveva perennemente ‘incollati’ gli uni agli altri. Sicuramente mi sarei avvantaggiato di una maggiore profondità di campo e una più immediata messa a fuoco ma a scapito di una confusione generale e nella perdita del soggetto principale, oltre che una innaturale deformazione prospettica dei volti inquadrati. Una delle tecniche utilizzate è stata la seguente: sedersi (ripetutamente) ad un banchetto alimentare ed ordinare una delle tante zuppe disponibili: in questo modo si riusciva a godere di un punto di vista privilegiato, anche se per pochi minuti, e soprattutto stabile. Non si evitavano di certo urti e scossoni, spesso provocati da ceste, gerle e materiale vario, tra cui anche bambini sulle spalle materne (mi sono anche arrivate addosso piume di gallina vive trasportate dentro un sacco) ma, aiutato soprattutto dal winder, riuscivo a concentrarmi sul soggetto quei pochi secondi bastevoli prima che questo scomparisse inghiottito dalla marea umana.

In posti così occorre non fare tanto i puristi fotografici o gli schizzinosi, ma immergersi completamente nell’ambiente e godersi l’esperienza, anche se dopo un paio d’ore ti assale un senso di soffocamento e si ha bisogno di una boccata d’ossigeno. Leggermente meglio è andata nel pomeriggio, quando la gente ha iniziato ad uscire e a sciamare verso i villaggi vicini: i gruppi familiari, pieni di sacchi e pacchi, in attesa degli autobus, erano soggetti troppo invitanti e tutto sommati facili, dato che rimanevano quasi immobili nell’attesa dei mezzi e per di più con molta luce disponibile, il che mi ha permesso di colpo di migliorare sia i tempi di posa che il valore di diaframma. In fondo a Bac Ha, che rimane uno dei mercati più affascinanti e ‘veri’ da me visitati, ho utilizzato tutte le astuzie apprese in decenni di fotografie nei mercati sparsi sul globo: attrezzatura collaudata, ottiche luminose se serve, selezione dei soggetti effettuata nell’arco di un paio di secondi, scatti veloci senza indecisioni. In una parola: velocità d’azione. E tante occasioni di vita (e fotografiche) viste e purtroppo perse.

Pierpaolo Ghisetti © 12/2014
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