E'
storia nota quella secondo cui Ansel Adams fu, a partire dagli anni
Trenta, l'illuminato teorico della pre-visualizzazione:
un particolare approccio basato sulla pre-visione
mentale dell'immagine, così da averla virtualmente già
compiuta nel pensiero ancor prima di premere il pulsante
di scatto. Un procedimento che mirava ad avere un
controllo dell'immagine tale da guidare il fotografo in
fase di ripresa, per garantirgli poi, al momento della
stampa, il raggiungimento del risultato finale
previsualizzato.
Il suo nome, avvolto da un'aura mitica, evoca poi una
serie di altri fondamentali concetti che, impugnato con
mani salde il timone della storia della fotografia, ne
determinarono in maniera più o meno esclusiva la rotta
fin nel cuore degli anni Cinquanta e oltre. E' il caso, per
dirne uno, del movimento della straight photography ('fotografia diretta' o 'pura' che dir si voglia), che, forzando la rima
tra 'obiettività' e 'purezza', oppose alla voga del
pittorialismo fotografico l'austera ed intransigente
ascesi di una fotografia la cui
'verità' non venisse in alcun modo intaccata da velleità
stilistiche e tecniche (fotomontaggi, sovrimpressioni
etc.) e che si affidasse in maniera esclusiva allo
specifico espressivo del nuovo mezzo (nitidezza ed
istantaneità in primo luogo), senza corromperlo
scimmiottando la pittura; molti dei fotografi aderenti a
questa tendenza si riunirono nel 1932 nello storico
Gruppo f/64, di cui Adams fu, non a caso, uno dei
fondatori: la sigla, rimandando al valore estremo di
chiusura del diaframma degli apparecchi di grande
formato preferiti dalla maggior parte del gruppo,
decretava il predominio di un'ipernitidezza
dell'immagine, di un 'tutto a fuoco' che garantisse una
lettura certa ed esauriente della foto, sia visivamente che in quanto a
significato; una scelta che sconfina, ben al di là della
mera tecnica, nel dibattuto campo dell'etica
fotografica.
Che c'entra tutto questo, si chiederà qualcuno, con
l'opera di Uelsmann? C'entra, nella misura in cui
le cose, spesso, si definiscono meglio proprio a partire dal
loro contrario.
E' il 1966, infatti, quando Uelsmann pubblica un
articolo il cui titolo è già tutto un programma:
"Post-visualization"; detto questo, come per
effetto di una formula magica, fu come se la metaforica
barriera del diaframma si spalancasse, lasciando fluire
nuovamente nell'immagine l'indistinto della
fantasia, dell'inconscio, del sogno, della
reinterpretazione soggettiva e aleatoria del reale.
Il momento
creativo, che in ambito di previsualizzazione e di straight photography raggiungeva il suo apice,
esaurendosi, al momento dello scatto, con Uelsmann si
dilata ben oltre quell'istante; ciò che in precedenza
costituiva un traguardo diviene un punto di partenza, e
il risultato finale è ben lungi dall'essere previsto o
prevedibile. Ogni immagine scattata entra a far parte di
una sorta di 'riserva creativa' insieme ad
innumerevoli altre: pescando all'interno di questa
raccolta, l'artista combina di volta in volta immagini
diverse per dar vita a sempre nuove creazioni; un
singolo negativo potrà così essere recuperato dopo anni,
accostato a sempre nuovi elementi a seconda dell'idea
del momento, reinterpretato e ridefinito nel suo
significato infinite volte; una vera e propria ars
combinatoria, ben determinata ad eludere ogni
barriera razionale.
Questa teorizzazione fece di Uelsmann uno tra i
più radicali e influenti fautori della rivoluzione
fotografica degli anni Sessanta, che, lasciandosi alle
spalle l'istantaneità del 'momento decisivo', espanse il
concetto stesso di fotografia, emancipandola dal suo
status di affidabile testimone del reale.
Una posizione, questa, maturata anche grazie alla guida
di maestri d'eccezione come Minor White, o Beaumont
Newhall, del quale seguì le lezioni di storia della
fotografia nel '53, in qualità di allievo in una delle
prime classi dedicate esclusivamente a questa materia.
Uelsmann stesso non perde un'occasione per ribadire il
debito che lo lega a chi contribuì, con passione e
competenza, a svelargli le stupefacenti potenzialità che
dimoravano, più o meno frustrate, nel mezzo fotografico, purché si riuscisse a
vincere il riserbo ad infrangere il patto di fedeltà
incondizionata nei confronti del "qui e ora": maestri
che, rispondendo alle sue domande con altre domande ancor
più stimolanti, gli insegnarono quanto fosse pericoloso
illudersi di conoscere già tutto, smettere di
interrogarsi e di conseguenza cessare di alimentare la
propria crescita intellettuale e creativa.
Il lavoro di Uelsmann, consacrato al procedimento analogico, conosce bene il valore di derive ed imprevisti: niente, nelle sue opere, è come ce lo aspetteremmo. Via via che l'immagine viene 'costruita' (né più né meno di un quadro o di una scultura) attraverso impeccabili sovrimpressioni di vari negativi su un'unica stampa, il significato naufraga, imbocca direzioni improbabili, si lascia trascinare da una corrente illogica e visionaria con una naturalezza tale da lasciare increduli. Visitare una mostra dedicata a Uelsmann significa passare da un incanto all'altro, sempre più curiosi di scoprire quale altro barlume d'inconscio o visione sia riuscito a materializzare; il movimento successivo è quello che porta ad avvicinarsi alle stampe fin quasi a sbatterci il naso contro, alla ricerca di un segno, una giuntura visibile, una qualsiasi minima imperfezione che ci confermi l'irrealtà di quelle illusioni costruite ad arte. Ma la ricerca si rivela vana, e, dubitando ancor più dei propri occhi, l'incanto finisce per catturarci definitivamente.
"Tutte
le informazioni sono lì, eppure il mistero rimane",
scrive Uelsmann; è questa la forza primaria dei suoi
piccoli prodigi, così come lo fu delle fantastiche
invenzioni pittoriche di René Magritte, suo fondamentale
e chiaramente riconoscibile riferimento in ambito
pittorico. Nelle fotografie di Uelsmann, né più né meno
che nei quadri di Magritte, la plausibilità del visibile
non viene mai contraddetta: il reale non risulta mai
deformato (come accade invece, per esempio, negli oli di
Dalì); ogni elemento della scena, considerato
singolarmente, non urta la nostra addomesticata e
impigrita
capacità percettiva. Quest'ultima viene però
meravigliosamente destabilizzata nel momento in cui si
prenda in considerazione l'insieme dell'opera, il modo
paradossale ed enigmatico con cui i tasselli del reale
vi risultano combinati, del tutto arbitrariamente; è
allora che l'osservatore percepisce lo stravolgimento ('dérèglement',
ebbe a chiamarlo Rimbaud) di
ogni senso e dimensione, e, sentendosi disorientato, è
costretto a rimettere finalmente in discussione la
realtà alla luce di un nuovo meccanismo di percezione
all'insegna della soggettività e dell'incertezza, ma
soprattutto della libertà assoluta, vivificante del
pensiero. Ed è in quell'istante che ogni certezza,
cadendo, lascia il posto all'emergere della poesia.
Scrive a questo proposito Marcel Paquet, in un saggio
dedicato a Magritte: "La poesia puo' essere ovunque e
da nessuna parte, ma comunque è necessario essere stati
messi nella posizione di poterla percepire, cioè essere
stati disturbati e destabilizzati da un'esperienza, per
esempio visiva, dell'infondatezza annidata nel cuore
delle cose e dei princìpi più evidenti"; parole più
che mai valide anche riguardo l'inesauribile capacità
evocativa e straniante dell'opera di Uelsmann.
Il coinvolgimento estremo che si prova di fronte alle
sue
immagini deriva in gran parte proprio da
questo loro essere delle 'opere aperte', suscettibili di
illimitate interpretazioni.
Il momento creativo si espande a tal punto da arrivare
ad includere anche noi osservatori, chiamati a
concludere l'opera dell'artista; è Uelsmann stesso ad
invitarci a farlo: "Penso che la mia arte, come la
maggior parte dell'arte contemporanea, sia diretta alla
coscienza creativa di chi guarda. Lo spettatore deve
completare il ciclo, proiettarsi in esso in qualche modo".
Le sue opere divengono così suggestivi accumuli di
simboli, come anfore che siamo chiamati a riempire a
seconda del nostro vissuto, delle nostre esperienze, dei
nostri ricordi e fantasie, così da dar loro un senso che
sarà, ogni volta, quello giusto.
Serena Effe © 04/2007
Il
bel catalogo della mostra, "Meditation...
Navigation", è edito da Marsilio e costa 34
euro.
La qualità è di gran lunga superiore a quella
solitamente riservata ai cataloghi: copertina
rigida con sovraccoperta, qualità della carta e
della stampa ottime, formato 25x30cm.
In 143 pagine sono racchiuse 70 immagini,
introdotte da un breve testo di Mauro Fiorese,
curatore della mostra.
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Sul sito ufficiale di Uelsmann trovate una ricca galleria di immagini, una lunga intervista ed altre utili risorse per approfondire la conoscenza del suo lavoro.
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