Mentone (in francese Menton) è una ridente cittadina costiera nella regione di Nizza, la prima che si incontra dopo aver varcato l’attuale confine tra Italia e Francia, poco oltre Ventimiglia.
Il forte del XVII secolo fu edificato dall’architetto ligure Molassana. Nel 1957 fu trasformato in museo da Jean Cocteau.
La città vecchia vista dal lungomare.
Scorcio della città vecchia.
La Tour Eiffel a rappresentare Parigi e l’Ile de France; ma forse più interessante è la riproduzione di un ingresso del Métro, in perfetto stile Art Nouveau e con l’immancabile suonatore ambulante.
La Loira con uno dei suoi castelli.
La regione Rhône-Alpes collega le Alpi al mare. Sulla vetta del Monte Bianco arranca uno scalatore, ma il versante sud della montagna è foggiato a guisa di cicala, simbolo dell’assolato Midi, mentre una bagnante in bikini si appresta a immergersi nelle acque del Mediterraneo. Il mulino a vento e l’asinello simboleggiano la vita contadina.
La città vecchia, arroccata sul fianco della collina, mantiene un aspetto tipicamente ligure, mentre la città nuova edificata in riva al mare ospita i palazzi istituzionali, gli alberghi e le case di vacanza equamente spartite tra ricchi francesi e ricchi italiani.
Soggetta al Principato di Monaco fin dal 1346 (eccettuata la parentesi storica rappresentata dalla Rivoluzione francese), la città chiese e ottenne l’annessione al Regno di Sardegna nel 1848.
Dieci anni dopo (luglio 1858), a Plombières, Cavour promise segretamente a Napoleone III la cessione della Savoia alla Francia in cambio di aiuto militare contro gli austriaci.
Una promessa solo verbale ma che Napoleone, come suol dirsi, si attaccò all’orecchio.
Nel dicembre dello stesso anno fu ratificato il trattato di alleanza sardo-francese (scritto, questa volta), che aggiunse alla Savoia anche Nizza e la sua regione.
Con gran dispetto di Garibaldi, che a Nizza era nato, e con un certo disappunto di re Vittorio Emanuele II, che vedeva consegnare alla Francia la terra dei suoi antenati (e una gran parte dei suoi territori di caccia).
Ma alla politica spietata (anche se lungimirante) del conte di Cavour non c’era modo di opporsi.
Dopo la vittoria contro gli austriaci nella Seconda guerra di indipendenza e il conseguente Armistizio di Villafranca, l’Austria consegnò la Lombardia a Napoleone III, che a sua volta la “girò” al Piemonte, pretendendo in cambio quanto promesso.
Il Trattato di Torino (24 marzo 1860) sancì il doloroso passaggio, che fu ratificato da un plebiscito (ampiamente pilotato), in base al quale gli abitanti delle regioni interessate scelsero l’annessione alla Francia.
Mentone tornò francese e lo rimase fino ai giorni nostri, se si eccettua l’occupazione italiana del 1940-1943.
Oggi la lingua italiana è compresa solo dai più anziani, alcuni dei quali mantengono vivo l’antico Mentounasc (un dialetto ligure strettamente imparentato con il Monegasco e fortemente influenzato dall’Occitano), mentre i giovani parlano esclusivamente il francese.
Ogni anno, tra febbraio e marzo, la città ospita la Fête du citron, conosciuta anche come “carnevale dei limoni”.
In una vasta area nei pressi del lungomare, nel centro della città nuova, vengono allestite strutture e sculture a tema, realizzate con decine di migliaia di agrumi, prevalentemente arance e limoni.
Il tema di quest’anno (2012) erano le regioni di Francia. L’area è visitabile a pagamento.
Contestualmente si svolgono corsi mascherati, sfilate di carri allegorici e spettacoli notturni per le vie della città.
La semplice attrezzatura.
Ho visitato Mentone in occasione della Fête du citron, portando con me solo la piccola Fuji X-100, senza alcun altro accessorio se non una batteria di ricambio e l’irrinunciabile paraluce.
Viaggiare e fotografare in questo modo rappresenta una sorta di liberazione per chi è abituato a usare i corredi reflex.
Lo svantaggio rappresentato dalla focale fissa è più teorico che reale, dal momento che quando si fa del turismo un grandangolare moderato è in grado di risolvere la maggior parte delle situazioni.
Il 23 millimetri della X-100 (corrispondente a un 35 millimetri sul formato Leica) è splendidamente corretto e in grado di sopportare bene anche il controluce più spinto.
La sua posizione macro – pur senza raggiungere rapporti di ingrandimento “specialistici” – offre la possibilità di realizzare riprese ravvicinate di ottima qualità e di notevole suggestione, anche grazie all’ariosità determinata dalla visione grandangolare.
Se poi l’angolo di campo inquadrato non risultasse sufficientemente ampio, si può comunque fare ricorso alla tecnica dello stitching, impostabile direttamente via menu. In questo caso, semplicemente ruotando la fotocamera durante la ripresa, l’apparecchio provvede a realizzare i diversi scatti necessari e a unirli poi in un’unica immagine.
Una funzione comoda e semplice, alla quale però preferisco lo stitching manuale, ottenuto unendo in postproduzione diversi scatti singoli appositamente realizzati, con un attento controllo dei parametri di esposizione e una percentuale di sovrapposizione più generosa di quella decis in automatico dall’apparecchio.
Michele Vacchiano © 09/2014
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Spettacolare ma decisamente scontata (e forse un po’ kitsch) la simbologia della regione della Champagne.