Nessun senso di oppressione pervade tuttavia l’aria; il moralismo, schiacciato da un acutissimo sguardo verso la realtà, rivela semmai il risultato creativo delle meditazioni sociali della misteriosa artista, la stessa che in vita comparve soltanto come una passante tra la folla. Una passante con una Rolleiflex al collo.
Prima che il giovane John Maloof recuperasse, infatti, per una fortuita e fortunatissima congiuntura, l’imponente archivio che Vivian Maier (1926-2009) aveva segretamente custodito fino alla morte, nessuno aveva mai avuto modo di apprezzarne il singolare talento.
Scattava molto, e il fatto era risaputo fra suoi frequentatori - né amici né familiari, soltanto facoltosi datori di lavoro a cui prestava servizio come bambinaia tuttofare. A costoro non mostrò mai le sue foto; e molte non le vide neppure lei, rinvenute oggi a migliaia in forma di negativi stipati dentro privatissime valigie. “Collezionista dell’inutile”, l’ha definita qualcuno, per sottolineare la maniacale ossessione all’accumulo e alla collezione, elementi che sicuramente hanno il loro contraltare nella ricorrenza dei pattern fotografici di maggiore impatto. La sua poetica tuttavia ha ben poco a che fare con l’inutile, se si è pronti a dare per certo il sottilissimo discrimine fra ossessione, compulsione e arte contemplativa.
Il percorso tematico allestito al MAN riesce in questo, e in modo apprezzabile, rivelando gli elementi chiave della sua opera: vita di strada, infanzia e vecchiaia, formalismo, ritrattistica e autoritratti.
I suoi scatti restituiscono la varietà umana nel rapporto incuriosito, e mai didascalico, con le diverse classi sociali oggetto del suo interesse; semplificando, quella dei poveri e quella dei ricchi.
Osservatrice attenta, capace di cogliere il momento più significativo dell’effimero fluire delle vite, intrappolava nei suoi scatti tanto il disincanto dei favolosi anni ’50 e ‘60, quanto l’angusto degrado riservato ai reietti abitanti della periferia newyorkese.
In entrambe le occasioni marchiava i ritratti con un certo umorismo, perfetto per il bianco e nero, più nero che bianco, sicuramente amaro, di certo adatto ad accogliere il resoconto solitario della sua stessa esistenza. Ogni sua composizione traduce il sapiente utilizzo della luce, fondamentale per sottolineare simmetrie e giochi geometrici, per rilanciare prospettive, incaricate il più delle volte di trasportare la metafora del distacco. Nodo centrale quest’ultimo, specie nella forma dei numerosissimi autoritratti, quelli che oggi chiameremmo, comunemente errando, selfie.
L’opera di Vivian Maier tradisce un punto di vista tutt’altro che artefatto, un percorso sincero, lineare, talvolta giocoso, attratto dall’anonimato, generosamente capace di prelevare dai soggetti uno sguardo, un gesto o un’espressione, per definire in modo raffinato caratterizzazioni e peculiarità. In lei sta l’abile potere di offrire a chi osserva il gusto di immaginare storie personali e sconosciute, sospese nella durata di un attimo. Di fatto, quello giusto.
Maria Letizia Mereu © 09/2015
Riproduzione Riservata
La mostra di Vivian Maier resterà aperta sino al 18 ottobre 2015 presso il Museo MAN di Nuoro
MAN Museum via S. Satta 27- 08100 Nuoro
Tel. +39 0784 25 21 10
Opening hours: 10 AM - 1 PM | 3 PM -7 PM closed Monday
Le foto che accompagnano l'articolo sono © Maria Letizia Mereu e © Vivian Maier. Si ringrazia l'Ufficio Stampa della mostra "Studio ESSECI" per le foto della Maier messe a disposizione.