"Se fotografi il paesaggio è il Sole che fa da padrone, bisogna accettarlo"
Quasi così inizia il documentario in cui il giovane ottantenne Koudelka - con una Leica digitale S2 (credo) - torna sui siti archeologici del Mediterraneo, dove ha scattato le foto in circa trent'anni di viaggi (e 200 siti visitati), per provare non a ripetersi, come chiarisce, ma a cercare ancora qualcosa di nuovo in quello che ha già indagato.
Ricerca ancora qualcosa di non espresso su quel volto di pietra - di cui ho dimenticato di annotare luogo e riferimento - (lo vediamo che, confrontando la sua vecchia foto, che tiene in una mano, alla scena che ha di fronte, aspetta che il Sole, piano piano, cambiando inclinazione e illuminando in modi diversi il volto scolpito, dia il responso di quella ricerca) e forse lo trova.
Ci riprova con il bassorilievo, appena accennato dallo scultore su un blocco di marmo di un anfiteatro; aspetta a lungo, anche annoiato e dice: è come quando in camera oscura aspetti che l'immagine latente esca fuori dalla carta, nel bagno di sviluppo. Ma il Sole non arriva a toccare, radente, quella immagine delicata e il soldato rimane quasi impercettibile, lì, sulla superficie della pietra, infotografabile.
Come la Funny Valentine: "Your looks are laughable, Unphotographable, Yet you're my favorite work of art, Is your figure less than Greek? Is your mouth a little weak?"
Il sole ha vinto, decide il vecchio giovane, al termine di lunghe ore di attesa.
Ho pensato alle foto di un mio amico di Forlì scattate – in vari momenti della giornata e con luce diversa - al paesaggio e ai tetti di fronte casa sua, futuri siti archeologici di questo nostro mondo troppo e mal edificato, e ai commenti condivisi tra di noi su un Forum in merito a quanto, per quelle semplici foto variate nella luce, fosse in gioco l'immenso e inconoscibile gioco dei moti planetari e dell'universo mondo.
Sulla mostra non vi dico niente, credo sia imperdibile. Ho visitato luoghi a me sconosciuti ma amati, appartenenti al mondo antico dei Greci e dei Romani. Mi sono ritrovato a sentire familiari luoghi ignoti e a scoprire d'improvviso, come una agnizione, che una veduta d'insieme o un dettaglio che mi sembrava di conoscere erano effettivamente a me noti: Ostia antica, Villa Adriana a Tivoli, Paestum, il Foro di Roma…
La biografia di quest'uomo è unica e commovente e la serenità che trapela dalle immagini del video dice tutto.
Il catalogo è edito da Contrasto, completo, ben stampato: 75 euro.
Non lo ho preso perché dopo una visione di gigantografie è difficile ridurre l'emozione a un libro, sia per la dimensione delle foto che per impossibilità della stampa a ridare quella visione tonale così ricca e appagante.
In pellicola, credo la gran parte delle foto. Non so con che macchina, che formato.
La grana si vede ed è bellissima e la pellicola non perde un dettaglio, anche quelli che non serve vedere ma che fanno la visione di insieme, da lontano, proprio per questa ricchezza, più bella, come ho cercato di dire qui (anche per spiegare perché amo il Foveon):
Qualche sciocchezza su crop, dettaglio, profondità di colore, limiti
Fotografando con diapositiva si hanno:
Eppure mi sono divertito per venti anni. Raddrizzavo gli orizzonti utilizzando il lieve margine di recupero tra frame pellicola e frame della cornice in plastica.
15 anni fa sulle riviste, per capire se il digitale avesse superato la pellicola, si ingrandivano i pixel per vedere se fossero più piccoli della grana, dimenticando, per esempio, che la pellicola aveva più strati e il colore si costruiva diretto e in verticale (vi ricorda qualcosa?) e non per interpolazione su un unico piano. Si dimenticavano inoltre che la pellicola, grazie alla grana su tre strati, aveva un "tratto netto", pulito e fu così che quando finalmente il digitale superò (nel senso detto sopra) la pellicola (per il resto - versatilità - nasceva vincente da subito) mi risultò parimenti inaccettabile perché la sensazione visiva per "resa di tratto" e resa colore rimaneva penosa.
Se non puoi avere un colore corretto, puoi averlo saturo. Saturo non è colore profondo: quest'ultimo è il vero parametro per dire se un sensore lavora bene.
campo 1 : colore corretto ma lievemente poco profondo
campo 2 : colore corretto e profondo
campo 3 : colore saturato ma non profondo
Fuji è specialista di 3: mette il giallo e il blu diventa un azzurrissimo, il verde spara e il rosso aranciona.
Tanto basta dire al processore: se c'è bianco leva il giallo doping e tutto sembrerà bello.
Lo è ma è finto. Se togli il giallo (per esempio, la simulazione Provia) i colori si stingono.
Agostino Manzi © 02/2021
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