La splendida mostra di Michael Kenna negli Scavi Scaligeri a Verona per dimenticare il romanticismo preconfezionato di Romeo e Giulietta.
Il freddo di dicembre a Verona entra nelle ossa più veloce che altrove: tutta colpa dell'umidità. L'umidità dell'Adige, certo - un fiume che già ricorda le grandi capitali europee del Nord - , ma soprattutto dei sospiri degli innamorati. Impossibile parlare di Verona senza cadere nel tranello del Romeo e Giulietta. Bisogna venirci a patti, che ci piaccia o no. E io non mi sono certo tirata indietro.
Infilandomi per la prima volta tra le strette viuzze veronesi, l'impressione è stata subito quella di una soffusa freddezza, come di un set appositamente allestito per far venir la voglia di sfidare i divieti, stappare un pennarello ed esibirsi in un io+te=forever dei più scontati, che vada a far compagnia agli innumerevoli altri già presenti sui muri, come per un copione già scritto. Come tutte le cose indotte, a me ha fatto l'effetto esattamente contrario.
L'amore, rigorosamente con la "a" minuscola, qui sa di essere fotogenico e non si fa pregare per mettersi in posa. Ma il romanticismo a Verona è come un modello annoiato e viziato dai troppi flash che di tanto in tanto smette quel sorriso forzato e chiama bizzosamente perché gli si rifaccia il trucco, si accende una sigaretta e sbuffa all'idea di ricominciare la sceneggiata a beneficio dei turisti arrivati qui per ammirarlo da tutto il mondo. Basta una veloce puntatina alla Casa di Giulietta per coglierlo in flagrante.
Ci arrivo piena di buoni propositi: e fa niente se quel balcone è stato messo lì durante i restauri del 1935, e fa niente se quella casa è stata abbinata a casaccio ad un personaggio immaginario. Mi aspetto almeno un po' di suggestione, almeno quella che si può provare davanti al castello della Bella Addormentata a Disneyland. Mi aspetto che, nonostante tutto, naso all'insù verso quella piccola finestra, mi venga in mente il verso shakespeariano "E tu, balcone, fa' entrare il giorno e fa' uscire la vita" pronunciato da una Giulietta ancora calda d'amore.
Invece, un disastro: quel piccolo cortile pieno zeppo di turisti che arrivano lì con l'unica missione di toccare il seno destro della statua della giovane Capuleti (la tradizione vuole che sia di buon auspicio nelle faccende amorose). Le turiste giapponesi sono le più sfacciate e si lanciano senza tanti complimenti sulla parte incriminata resa lucente dalle continue carezze, la afferrano a palmo pieno, come un uomo che va di fretta e non ha voglia di preliminari, sfoderando il loro migliore sorriso da foto ricordo. Una dopo l'altra, a ciclo continuo. Davanti a questo spettacolo, un negozietto di gadgets vi propone tazze, mutande, giochetti firmati "Romeo&Giulietta". Scappo, letteralmente.
Tutto questo semplicemente per dire che: Verona è una bella città, NONOSTANTE Romeo e Giulietta.
Una volta liberati da questo fardello, ci si può rilassare e godersi davvero la città, divertendosi a scoprirne la vera personalità.
Piazza delle Erbe, dei Signori, Palazzo della Ragione e le Arche scaligere sono tutti concentrati in pochi metri (collegati dall'Arco della Costa, chiamato così perché vi penzola - inspiegabilmente - quella che probabilmente è una costola di cetaceo): se riuscite a tener fuori dal campo visivo le bancarelle piene di piccole arene di plastica e altre squisitezze, il colpo d'occhio sui colori degli affreschi allegorici delle Case Mazzanti è bellissimo.
La cioccolata calda o il thè potete prenderlo in un caffè del Listòn, il grande marciapiede lastricato di piazza Bra' - il salotto buono della città - , ma già che siete da queste parti vi propongo una scelta alternativa: da piazza delle Erbe entrate in via Cairoli: sulla sinistra c'è un piccolo bar tenuto da due signore anziane; è il tipico bar senza la minima pretesa, con la luce al neon un po' squallida e le tovagline colorate di incerato; "Provi queste tortine di riso: sono di giornata!", mi tenta una delle signore; "Vorrei ben vedere che fossero di ieri!", mi verrebbe da ribattere. Ma me ne sto zitta e addento il mio budino di riso, tutta avvolta di tenerezza e dalla sensazione di aver trovato uno dei pochi angoli veramente genuini e fedeli ai bei tempi andati di tutta Verona.
Tra i vari ponti, valgono una menzione speciale il Ponte scaligero - dal complesso di Castelvecchio con annesso museo, un po' impacchettato dai lavori ma di grande fascino, e interessante anche per i famosi interventi dell'architetto Carlo Scarpa - e il Ponte di pietra, di epoca romana, che porta nella parte della città chiamata Veronetta, sovrastata da una inaspettata collina, buona per passeggiate panoramiche.
Piazza Bra' addobbata per le festività e i lungo Adige non hanno niente da invidiare alla migliore atmosfera parigina, soprattutto quando fa buio.
Verona da' il meglio di sé quando la luce è poca, e i contrasti, le stonature si attenuano: come se il buio si inghiottisse tutti i tiranti, i cavi e i bulloni di questa grande scenografia, facendo apparire la città finalmente più sincera.
Piazza Bra' addobbata per le festività. Una gigantesca stella cometa sembra venir fuori dall'Arena ed atterrare nella piazza.
Ma veniamo alla fotografia.
Gli scavi scaligeri sono sede del Centro di Fotografia Scavi Scaligeri, appunto, che propone importanti mostre fotografiche durante tutto l'arco dell'anno (una di quelle sedi espositive da tenere costantemente d'occhio, quindi). In questi giorni e fino all'8 gennaio è la volta di Retrospective two dell'inglese Michael Kenna. Una mostra ricchissima, non solo qualitativamente ma anche quantitativamente, che si snoda in un percorso suggestivo proprio "dentro" gli scavi, sotterranei, tra stretti passaggi in cui le foto si dispongono senza che niente possa turbarle (mi raccomando vestitevi pesanti perché là sotto fa un gran freddo!).
I particolari spazi espositivi ricavati negli Scavi Scaligeri: molto suggestivi, ma - d'inverno - freddissimi!
Tre belle foto di Michael Kenna © volutamente scelte da tre serie diverse.
Le immagini di Kenna appaiono rarefatte e impalpabili come sogni così profondi da aver dimenticato il colore. Caratteristiche, queste, probabilmente non così entusiasmanti per chi preferisca i contorni netti del Significato: ma senza dubbio vale la pena lasciarsi incantare dalla gratuità leggera di queste candidissime nebbie che proteggono isolati bagliori neri di mondo; immagini da guardare tralasciando la ricerca del particolare netto e tagliente, quasi ad occhi socchiusi, immaginando gli infiniti spazi di leopardiana memoria al di là di quel raffinatissimo Niente. E il naufragar m'è dolce
, è il caso di dirlo.
Queste immagini vivono prima di tutto di suggestioni e Poesia: difficile non lasciarsi incantare dal minimalismo etereo delle foto giapponesi, dalle livide luci dell'alba francese, o dai mulini della Mancha, significativamente intitolati Quixote's Giants - I Giganti di Chisciotte - , come a ribadire come qui si sia nel mondo della pura Immaginazione prima che della Realtà. E vivono di solitudine: la solitudine della Natura, certo, ma anche quella dell'Uomo; dell'uomo-Kenna - solitario e paziente cacciatore dai tempi lunghi e abilissimo stampatore - come dell'Uomo in generale, che troppo spesso dimentica l'importanza dell'attesa, perdendosi tutto ciò che di prezioso essa contiene.
Una grande lezione della fantomatica e MaiTroppoRibadita "pre-visualizzazione", e un fascino infinito - specialmente per me, neofita nata col digitale - per le magie della camera oscura, che dopo questa mostra non ho potuto far altro che immaginare simile ad un oscuro laboratorio d'alchimista, dove l'infinito provare a trasformare il metallo in oro si risolve qui nel tentativo di rendere reale e visibile l'immagine sognata, viva all'inizio solo dentro di noi, mescolando sapientemente buio, argento e passione (con l'indiscutibile vantaggio, rispetto al XVI secolo, di potersi permettere di evitare scomodi patti col Diavolo).
Tornando verso Bologna in treno, in due ore stemperate in una nebbia fitta che prima di insonnolire regala dal finestrino scorci fuori dal tempo, tra solchi di campi arati e rami intirizziti, non posso fare a meno di pensare che la chiarezza, nel paesaggio come nella vita, non è mai necessariamente la condizione ottimale.
Nell'indistinto c'è più spazio per il sogno, e tutto quello che non va si nasconde più facilmente.
Serena Effe © 12/2005
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Foto di Serena Effe e Rino Giardiello © 2005