“Tu devi uscire, và mmiezo 'a strada, tocca 'e femmene, va a arrubbà, fa chello che vuo' tu!”
Chissà perché ma la frase di Troisi ci è venuta subito in mente dopo la telefonata del direttore di Nadir: “Andate e quest'anno fotografate le modelle, le persone, le situazioni che coinvolgono il pubblico...”.
Certo non era proprio un invito a “toccare” le bellissime modelle che animano l'EICMA, ma era almeno un'esplicita indicazione a non far finta che non esistano, a non cercare a tutti i costi il dettaglio prezioso della moto solo per escludere, per malcelato pudore, un pezzo di coscia troppo scosciata. E poi l'istigazione a “rubare”, a catturare situazioni ed espressioni, a captare l'entusiasmo e le emozioni dei visitatori.
Dopo il primo momento di perplessità il suggerimento ha preso in noi sempre più forma e, ricordandoci delle precedenti edizioni, è diventato sempre più convincente.
Il mondo degli appassionati di motociclismo è infatti un mondo troppo variegato per essere racchiuso in pochi tipi (o stereotipi). Un mondo che parte dalla moto come oggetto ma che si espande in stili di vita, in modi di esprimersi, in abbigliamento e atteggiamenti, insomma in un immaginario che spazia da padri di famiglia a cavalieri solitari, da timidi gitanti della domenica a arditi frequentatori di piste, da scooteristi convinti a sofisticati studiosi di meccanica e potenze. Stili di vita e di passioni che non escludono il rito collettivo del salone, della “fiera” in cui, insieme, ostentando il proprio credo a due ruote, ci si immerge disinvoltamente tra ballerine e saltinbanchi, tra pagliacci ed acrobati, come in un circo di altri tempi. E le donne, la musica, le luci, le cromature, le tute e i campioni dello sport fanno parte di questo incredibile ed irripetibile momento di catarsi collettiva.
I primi accenni di questo clima si hanno, in quella settimana, già nelle metropolitane che sfrecciano sotto la città di Milano verso la fiera di Rho: gentili signori di mezza età che timidamente mettono in mostra non proprio sobri giubbotti in pelle con i marchi del proprio cuore; giovani in t-shirt, insensibili al freddo, che lasciano in vista tatuaggi che raccontano della loro passione; rider senza moto, smarriti, che non rinunciano al loro stile post bellico pur usufruendo del comodo mezzo pubblico; famigliole attrezzate con camere digitali e trolley per documentare l'evento e per potarsi a casa più gadget possibili; signore e signorine con minigonne eccessive su aggressivi tacchi 12 che poi crolleranno, dopo poche ore, a causa dei chilometri da fare tra i padiglioni. Insomma tutti segnali per dire: “oggi non è un giorno normale, oggi la mia anima da motociclista prende il sopravvento e si palesa senza pudore a tutti”.
Ecco quindi il nostro il compito, provare raccontare questo mondo. Forse anche più difficile di quello di immortalare solo una sensuale cromatura, ma certamente più intrigante.
La scelta è quindi caduta non sul giorno di apertura alla stampa, non sui momenti di inaugurazione dei vari stands con ospiti e vip, ma sulla domenica, l'ultimo giorno utile per il pubblico, il giorno del massimo affollamento, quello in cui chi va, finisce per non vedere neanche una moto da vicino.
La conferma che è il giorno giusto viene immediatamente dalle file agli accessi, lunghe e fibrillanti quelle per i visitatori, ormai vuote e un po' desolate quelle per l'accredito stampa.
Poi finalmente la folla. Una massa ingovernabile che non ha una meta precisa, attratta dalle luci e dai suoni, che va dove vanno gli altri, che si scontra con chi, avendo invece un obiettivo, non riesce a trovare, cartina alla mano, il luogo del suo desiderio. Teste, spalle imbottite, zainetti e ancora cappelli, giubbotti, magliette e borse, bandane e caschi appesi alla cintola, e flash e cellulari usati come fotocamere, un muro di persone dietro il quale, ogni tanto, trovare una moto. Anzi, neanche una moto, ma una modella, bellissima, seminuda, ammiccante, sdraiata in pose improbabili sugli scintillanti mezzi e affettuosamente aggredita da giovani con l'intenzione di farsi immortalare con tale bellezza.
L'esito fotografico è stato, ancora una volta sorprendente ed imprevedibile.
Prima di tutto la mancata familiarità con le modelle, a primo acchito, spiazza qualsiasi fotografo non professionista. La modella ti nota, ti guarda, si mette in posa, non stacca gli occhi dall'obiettivo fin quando non è certa che hai scattato la foto, cerca lo sguardo complice del fotografo per capire se è andata bene, altrimenti si rimette in posa, fino a che non ti vede soddisfatto, per poi lasciarti come se nulla fosse, per sorridere e ammiccare al prossimo fotografo che si appropinqua. Impossibile “rubare” una foto, prenderle in un attimo di distrazione, sono vere professioniste, “sentono” la presenza di un obiettivo anche senza vederlo, hanno il sorriso sempre pronto, lo sguardo perennemente carico di sensualità, anche dopo una settimana di folla e scatti. Allora che fare? Lasciarsi andare e farsi guidare da loro, oppure provare a sorprenderle, posizionandosi lì dove non se lo aspettano - molto in basso, alle spalle, o anche dietro una loro collega - per cercare l'espressione vera, non patinata, magari annoiata. Ma è difficile. Tant'è vero che tutto questo è contagioso. Anche il pubblico si immedesima nel rito collettivo e si lascia fotografare, si accorge che lo stai riprendendo e ti sorride, alla faccia della privacy, siamo nello spettacolo e dobbiamo stare al gioco, per cui se ti piace il mio cappellino fai pure, purché sia una bella foto.
Allora foto perfette? Magari...
Ricordiamoci che le luci sono dirette sulle moto e che quindi quasi sempre le modelle e le persone sono in penombra, ricordiamoci degli effetti speciali che puntano con occhi di bue ovunque, cambiando continuamente posizione, mettendo in crisi qualsiasi tentativo di studiare una esposizione, un tempo, un diaframma. Pensiamo alla mancanza di fondo omogeneo dietro i soggetti e quindi a tutto quello che si vedrà anche se non vuoi vederlo. E pensiamo ai tempi bassi, al movimento delle persone e al contempo agli spintoni, alla folla che ondeggia, alle pedane che vibrano, se non girano o ballano addirittura per scelte scenografiche.
Alla fine esausti ci siamo chiesti se l'indicazione del direttore fosse un regalo o una mission impossible.
Certo che non si può andare in un salone del genere con una idea preconcetta di foto, bisogna trovare lo spirito del vero reporter d'assalto e avere occhio e riflessi per cogliere l'attimo. Attimo che spesso fugge e che vorresti averlo colto ma dovrai solo raccontarlo con una vena di malinconia perché lo scatto alla fine non c'è, o è venuto inguardabile.
E le moto? Come ogni desiderio c'erano ma più per evocare che per mostrare. Messe lì senza pudore a disposizione di chiunque volesse toccarle o provarle incarnavano l'ologramma tangibile di un sogno, la forma astratta di una passione, un concetto insomma che viene prima di essere davvero una moto, la propria moto, oggetto unico e irripetibile, per niente uguale alle altre, dove il senso di possesso si esalta all'estremo concretizzandosi in amorevoli lucidature delle cromature e a piccole pacche sul serbatoio, prima di partire.
Alla fine resta solo qualche ricordo indelebile: il nero opaco di un nuovo modello di una moto, un panino più grande del bimbo che lo addenta, un sorriso stanco di una modella esausta, e un'attempata signora che prova felice enormi moto custom.
Se questo c'è nelle foto non lo sappiamo. Noi in ogni caso ringraziamo tutti indistintamente, sia chi era lì a lavorare, sia chi, come noi, era lì spinto solo da una passione inguaribile.
Paolo e Matteo Giardiello © 12/2011
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