Giunto alla sua 68° edizione, Eicma rappresenta oggi uno dei più importanti appuntamenti in Italia, e non solo, per gli appassionati di motociclismo.
Un evento che, negli ultimi anni, ha visto la presenza di tutte le principali marche internazionali che, oltre a presentare le novità e le innovazioni, coinvolgono personalità dello sport, del giornalismo, del design offrendo, infine, dimostrazioni ed esibizioni dal vivo dei propri modelli di punta.Ma chi è il davvero fruitore di una simile manifestazione? La risposta è difficile, significa infatti definire chi è un motociclista. Considerato quale punto fermo la passione per i motori, un motociclista non è un personaggio univoco: motociclista è l'appassionato di velocità e di prestazioni al limite, motociclista è l'amante dei viaggi in libertà e del turismo fuori dagli schemi consolidati, motociclista è un esibizionista macho intriso di stereotipi sul maschio selvaggio, motociclista è il pendolare costretto ad usare ogni giorno uno scooter in città, motociclista è il padre di famiglia che con la barba bianca e un po' di pancia di troppo può finalmente permettersi di comprare il giocattolo sempre desiderato da adolescente.
Il motociclista è quindi un po' Peter Pan un po' Capitan Uncino, il lato infantile e spontaneo contrapposto a quello duro e costruito che contraddistingue ognuno di noi. Il motociclista poi è soprattutto un uomo (e questo va sottolineato) che considera la donna al massimo come passeggero, fastidioso dazio che si deve pagare per giustificare l'acquisto costoso, quanto superfluo, di una moto in famiglia.
Ecco perché un salone della moto è un evento sostanzialmente maschile, a cui le donne sono invitate (non pagano il biglietto!) e che vive di riti a volte biecamente maschilisti, celebrativi di un certo stile di vita a dire il vero discutibile e fuori dal tempo. Stile di vita in cui i riti del vestiario, degli accessori, della “cavalcata” solitaria imitano, senza troppi filtri, i miti perduti di cavalieri solitari capaci di dominare mezzi ed eventi naturali.
Quanto detto è importante per capire che, anche se nei giorni dedicati alla stampa tale pubblico non è ancora presente, tutta la messa in scena del grande evento mediatico è disegnata per far leva proprio su tali personaggi.
Prima di tutto le modelle, seminude, ammiccanti, eccessive, in bilico su tacchi vertiginosi, sempre pronte a sorriderti e a sdraiarsi vogliose su serbatoi e selle in pelle. Poi l'enfasi del mettere in mostra, luci psichedeliche, musiche assordanti, pedane girevoli e specchi accecanti, niente di normale, niente legato alla strada o alla pista, tutto appare sospeso nell'iperspazio come astronavi del desiderio più che mezzi di trasporto. Infine la pubblicità, o meglio l'idea da promuovere, che prevale sulla comunicazione reale, nel senso che un motociclista di solito è in grado di capire di meccanica e di decodificare dati tecnici, ed invece tutto ciò che può portare ad una scelta ragionata del mezzo, per capirne prestazioni e caratteristiche, viene evitato a favore della promozione ossessiva del rito collettivo dell'apparire e del mostrare che viene vissuto attraverso l'eccesso di colori, di cromature brillanti, di luci stroboscopiche, per far sentire l'utente parte attiva dello spot e non il mezzo meccanico parte della vita che poi sarà costretto a consumare tra polvere, benzina, intemperie e lunghe soste in garage in attesa di una giornata di sole.
Per cui come fotografare tutto questo e cosa fotografare davvero?
Come raccontare il salone senza subirlo, come estrapolare le moto protagoniste senza idolatrarle, come selezionare l'eccezione nella massa pulsante?
Sinceramente, a consuntivo di una giornata estenuante quanto esaltante, non credo di esserci riuscito e di aver inconsciamente deciso di riprodurre fedelmente quello che mi era mostrato. Tutto lo splendore, il luccichio, l'ostentazione dei muscoli di acciaio e la presenza aggiunta di donne le cui morbide forme erano ad arte messe in contrapposizione con quelle del metallo cromato.
Per cui ecco foto stereotipate, ovvie e, soprattutto, difficili da fare al meglio.
Difficili perché in un clima così ritmico, sincopato e convulso è impossibile scegliere l'inquadratura migliore, calcolare la luce o la profondità di campo, tutto cambia di istante in istante, niente ha un fondo e tutto è circondato di persone (nel caso specifico fotografi e cineoperatori fastidiosamente onnipresenti), difficile immaginarsi una foto still-life in cui esaltare le forme ed i riflessi impalpabili, piuttosto una sorta di reportage in stile sportivo del continuo mutare di luci, ombre, colori e riflessi.
Per questo ho rinunciato alla sfida, ho messo la fotocamera su program e, con un po' di buon senso, ho lasciato che gli scatti raccontassero da soli quello che gli occhi percepivano.
Forse bisogna non essere motociclisti veri per fare delle buone foto a moto stupende messe impudicamente in mostra. Forse non bisogna subirne il fascino, ma soprattutto bisogna riuscire a stimolare l'ironia e la curiosità per sopportare modelle sorridenti e provocanti anche su un piccolo ciclomotore come se stessero offrendo un viaggio su Marte.
Ringrazio infine Nadir Magazine per l'occasione che mi ha offerto e giuro solennemente di non aver dimenticato i preziosi insegnamenti del direttore su come si fa una foto “pensata”.
Paolo Giardiello © 11/2010
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