Rievocare la memoria della tragedia significa attraversarne le crepe, i vuoti, la muta sensorialità. Quando un evento interviene ad infrangere la continuità dell’esistenza, di un individuo o di una intera popolazione, quel che resta sono fratture di senso, bacini di impensabilità. L’arte informale ha rappresentato la catastrofe della guerra affidandosi alla materia, plasmata attraverso la doppia logica della razionalità e del caso. Alberto Burri ha lasciato al bianco cemento di perimetrare e contenere lo sconquasso del terremoto.
La fotografia è fatta di intermittenze, la vescicola dell’otturatore mette in contatto col reale e protegge dai suoi eccessi. Fotografare è sintonizzarsi con le crepe della memoria, introdurvisi alla ricerca di nuove possibilità di senso. Crepe di crepe, ad espandere la geniale intuizione di Burri, il quale si rifiutò di aggiungersi all’orgia artistica della Gibellina nuova e si applicò alle increspature del paese distrutto, lasciandoci una testimonianza unica di un dolore indicibile che solo nel non senso, nella frammentazione del pensiero o nella follia, può trovare una forma di consolazione.
Scrive la psicoterapeuta Silvia Grasso: “Il Grande Cretto, opera di potenza straordinaria, è la monumentale raffigurazione di un lutto al momento impraticabile per la portata delle conseguenze, il cemento nasconde e allude alla frammentazione sottostante, tenuta insieme dalla rete metallica che, grazie alla rigidità, garantisce una coesione tra i pezzi che altrimenti resterebbero sparsi”.
In Sicilia può ancora succedere di imbattersi in esperienze di tale intensità e poter fruire di un’opera d’arte in maniera così diretta, liberi da incolonnamenti e file, lontano dagli itinerari del turismo vociante. Tra le stradine del Cretto, se ti immergi sacralmente nel silenzio, puoi ancora sentire i rumori del paese, gli odori, le urla gioiose dei bimbi. Frammenti di memoria, crepe della ragione, utili a riparare gli effetti devastanti di quel terremoto che a volte è vivere. La fotografia può supportare questo lavoro di ricostruzione, quando sia utilizzata come strumento discreto, dal quale non si pretenda di vedere tutto ma si impari a chiudere gli occhi e fermarsi ad ascoltare gli echi intermittenti delle emozioni sepolte sotto i calcinacci della propria storia.
Carlo Riggi © 02/2009
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