Visita alla mostra allestita a Reggio Emilia (Palazzo Magnani): circa 100 immagini si propongono di riassumere l'opera di uno degli indiscussi maestri del reportage in bianco e nero. Approfondiamo i punti salienti del suo lavoro a partire dalle suggestioni forniteci dalle foto esposte.
Delicate conchiglie spiraliformi galleggiano in una pura e immateriale limpidezza: nient'altro che forme, mute, sistemate in una composizione rigorosa, così da farne emergere l'essenza estetica, astratta. Sono immagini come questa a catturare per prime la nostra attenzione all'inizio del percorso espositivo: still-life impeccabilmente allestite in studio, giocate intorno ad un solido senso per l'armonia compositiva e ad un'attenzione estrema per gli effetti di luce, in una sinfonia di reticoli d'ombra, opacità e trasparenze. Una fotografia contemplativa, dunque, statica e rarefatta per definizione, creata 'ad arte' da un uomo che, non a caso, anche nel bel mezzo di un conflitto o di una carestia non cesserà mai di dirsi artista.Bischof non mira a cogliere in
flagrante il sensazionale, ma lo aspetta al varco,
pronto a sorprenderlo in quell'attimo in cui esso si
rapprende, sedimentandosi negli sguardi e nei gesti
degli esseri umani (peculiarità, questa, comune a gran
parte della cosiddetta 'fotografia umanista'). Non foto
di eventi, dunque, ma di persone. Di volti e storie
situati alla periferia dei fatti. Di singole dignità,
messe a dura prova ma non per questo affossate, non per
questo eludibili. Lo sguardo di Bischof pare dunque
rispondere a questo imperativo: raccontare, non
documentare. Ed è un racconto fortemente empatico, che
nasce dalla capacità del fotografo di percepire i
tormenti altrui sulla propria pelle, restandone
fatalmente preda (alcuni passi del
diario di Bischof testimoniano questa sua dolente, a suo
modo "scomoda" attitudine), per poi cristallizzarli in immagini colme di
una paradossale, quasi inopportuna bellezza: "Il
mio interesse è scoprire quanta bellezza umana si può
trovare anche nella più profonda sofferenza. La ricerca
della bellezza è il mio principale motore", ebbe a scrivere. Ed è soprattutto in forza di questi motivi che Bischof si batté lungo tutta la sua carriera affinché le sue fotografie non fossero considerate creazioni al servizio della stampa, dell'informazione, o peggio ancora della propaganda politica: una posizione forse contraddittoria per un fotoreporter, o quantomeno anomala.
Sono un centinaio le fotografie esposte a Palazzo
Magnani: mai brutali, come si sarà già intuito. La
sofferenza risulta suggerita, più o meno palesemente, ma
non è quasi mai abbandonata nuda sulla scena: sono
rari i casi in cui non abbia almeno un velo, a
dissimulare la sua parte considerata più "oscena" e
sconveniente. Il viaggio comincia dall'Europa, dove ad
ogni rudere fa da contrappeso almeno un elemento di
speranza (di lirismo?), per quanto esiguo; qui - come
nell'intera produzione di Bischof - sono i bambini,
nella maggior parte dei casi, ad essere chiamati ad
assolvere questo compito di autenticità, di possibile
rinascita: bambini che giocano, persi in un girotondo
nel bel mezzo del nulla, o che corrono tra le pareti di
una chiesa violata dai bombardamenti; immagini, queste,
che hanno un che di surreale, di incantato. Passando per
il Perù, in cui Bischof torna a farsi tentare
dall'astrazione delle forme pure del tempio di Machu
Picchu (e per alcune immagini a colori che, ad esser
sinceri, paiono aver perso gran parte del fascino e
dell'intensità che contraddistinguono quelle in bianco e
nero), si arriva ai due reportage certamente più
celebri, probabilmente più intensi e suggestivi:
sull'India (commissionato dalla Magnum nel 1951-'52) e
sul Giappone. Nel primo, è emblematica l'immagine di tre
donne che, in vesti tradizionali e col loro bagaglio in
bilico sulla testa, camminano in fila indiana su uno
sfondo di ciminiere: una foto di forte impatto (anche se,
a ben vedere, un po' troppo didascalica), che esemplifica quella
costante attenzione riservata da Bischof all'indagine
dei contrasti stridenti e problematici tra tradizione e
progresso, spiritualità e materialismo, povertà e
industrializzazione; il "velo estetico" di cui sopra
sembra però non bastare più, di fronte alla sfrontatezza
dilaniante di fame e carestia, e immagini come Gente
sfinita dalla fame per le strade di Patna "pungono"
e ci strattonano più di altre. Ma è in Giappone che
l'anima fondamentalmente "pittorica" del fotografo
riemerge con impeto, richiamata alla luce dalla delicata
armonia zen che tutto trasfigura: non più sguardi persi
nel vuoto e membra emaciate, dunque, ma candidi monaci
shintoisti vaporosi come nuvole, pennellate fitte e
mansuete di neve buona, e lunghi nastri di seta che,
appesi ad asciugare, solleticano il cielo.
Un fotoreporter "esteta", dunque? Ancora troppo incline
a lasciarsi sedurre dai rigori della forma, troppo
intento a cercarla in ogni dove, per dirsi coerentemente tale?
O, ancora, qualcuno potrebbe obiettare che andare a
caccia, in maniera così programmatica, di bellezza nelle
disperazioni altrui è anch'esso una sorta di
"sciacallaggio", tanto quanto andare a caccia di sangue,
di bruttezze; ma si finirebbe poi per sconfinare in
territori impervi, che trascendono l'opera del fotografo
singolo e difficilmente conducono a risposte certe.
Meglio, forse, lasciar parlare le immagini. Perché alla
fin fine, si sa, tutto dipende - per dirla con Eugene
Smith - esclusivamente da chi guarda.
Nora Dal Monte © 05/2007
Riproduzione Riservata
La
mostra è accompagnata dall'uscita del volume Werner Bischof. Immagini, Federico
Motta Editore (464 pagg., 80 foto a colori e 350
in bicromia, 24x26,7cm, cartonato con
sovraccoperta - 65 euro)
Ben oltre la documentazione delle foto esposte in
mostra, il volume raccoglie un'ampia selezione dei
lavori più significativi di Bischof, per un totale
di 430 immagini stampate a tutta pagina: da quelle in bianco e nero
scattate in India, Giappone, Corea, Cile e Perù,
ad alcuni dei rari scatti a colori, prodotti in
un'epoca in cui i materiali e la tecnica del
colore erano da poco entrati sul mercato. Curata
da Marco Bischof, Simon Maurer e Peter Zimmermann,
è la più ampia ed autorevole monografia su Bischof
uscita fino ad oggi. Ordinabile su IBS