Parafrasiamo un titolo coniato da Garcìa-Márquez per introdurre le migliaia di immagini che raccontano la quarantennale carriera del poliedrico e incredibilmente prolifico artista giapponese, tra delicate allusioni erotiche e sfacciate provocazioni. A Palazzo Fontana di Trevi fino al 17 febbraio 2008.
Oltre 5mila immagini esposte nell'ambito di una singola personale non possono essere indice che di una cosa: l'estrema prolificità dell'artista oggetto della mostra.
Prolificità che, in alcuni casi, può finire per sfociare in una sorta di prolissità maniacale, in un bulimico flusso di immagini volto a catalogare sistematicamente l'esistenza sensibile del loro creatore, nel tentativo di prendersi una rivincita, per quanto dolorosamente destinata all'inconsistenza, nei confronti del tirannico fluire del tempo.
Parafrasando il titolo scelto dallo scrittore colombiano Garcìa-Márquez per la sua autobiografia (Vivere per raccontarla), possiamo ben dire che Araki potrebbe senza forzature far sua la nota affermazione di Márquez che recita: «La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda»; è sufficiente sostuire quel "ricorda" con "fotografa", ed ecco pronto un aforisma che non stonerebbe come epigrafe all'opera di Araki.
Nobuyoshi Araki (Tokyo, 1940) è protagonista di una generosa esposizione allestita dall'Istituto Nazionale per la Grafica presso Palazzo Fontana di Trevi a Roma. A dire il vero, l'esorbitante "quota 5mila" è raggiunta in mostra dalle sole polaroid, presentate come tessere di vasti mosaici fotografici, a cui vanno aggiunte centinaia di altre immagini, molte delle quali stampate in uno scenografico grande formato, appartenenti alle più disparate serie attorno le quali Araki, nel corso di un quarantennio, ha organizzato la sua proliferante produzione. E se il buondì si vede dal mattino, non sarà stato poi così arduo presagire il futuro svolgimento della carriera di Araki, nel 1971, anno in cui vide la luce la serie che per prima lo rese celebre a livello internazionale, intitolata Sentimental Journey: dopo una serie di primi piani di sessi femminili (preludio di quella che sarà la vena erotico-pornografica che attraverserà l'intero suo cammino espressivo), Araki si presenta al mondo dell'arte per mezzo di una capillare documentazione fotografica del viaggio di nozze con la moglie Yoko, soggetto privilegiato dei suoi scatti. Yoko che pensa, Yoko che guarda il cielo, Yoko colta nel culmine di un rapporto amoroso, Yoko che mangia, Yoko che dorme; Yoko che, in una parola, esiste. Nell'accezione più ordinaria del termine. Una quantità sterminata di foto, centinaia al giorno, come prese in un sofferto incalzare i minuti, i respiri, i pensieri di questa coppia che, di comune accordo, si fa prigioniera di un perverso ménage a trois: lei, lui, la macchina fotografica.
Come un ritratto infinito dell'essere amato, impossibile da cogliere nella sua totalità e per questo ossessivamente sottoposto ad una sorta di "dissezione visiva" (torna alla mente, in forma di tenue suggestione, Alfred Stieglitz e il suo altrettanto assillante ritrarre la compagna pittrice Georgia O'Keeffe). Come se ogni attimo non fotografato fosse come non realmente vissuto. Come se un'immagine potesse fungere da "prova" del nostro esserci, e concederci la possibilità di trattenere brandelli di passato nel nostro presente, vivi di una vita fittizia ma a suo modo consolatoria.
L'apice di questo inusuale "triangolo" illusoriamente salvifico sarà raggiunto nel 1990, con la serie Winter Journey: di nuovo un viaggio, ma stavolta gli attimi raccolti saranno quelli che scandiscono gli ultimi giorni di vita della moglie, affetta da un male incurabile, che morirà nello stesso anno.
Nella maggior parte dei casi, nessuna particolare preoccupazione estetica accompagna il lavoro di Araki: sono in netta minoranza le foto che possano dirsi veramente "buone", in forza di una programmatica negligenza formale che sacrifica il messaggio della singola immagine a favore del significato complessivo del "progetto". Foto che, prese una ad una, faticherebbero a trovare un loro "perché", si schierano in formazioni serrate che garantiscono loro una sorta di invulnerabilità concettuale: è il loro accumularsi che gli conferisce un senso, insieme all'idea che sta alla base di esso (ecco perché si rende ancor più necessario, per tentare una comprensione della sua opera, recarsi a visitare la mostra, piuttosto che osservare immagini singole).
Impossibile anche individuare uno stile coerente: Araki passa con nonchalance dalla delicatezza allusiva di alcune polaroid ai colori sfacciati della serie Flowers, dalla natura morta alla street photography, fino al bianco e nero di cieli e nuvole in Tokyo Diary (di nuovo: come non pensare, seppur di sfuggita, agli Equivalents di Stieglitz?).
Araki lascia che le immagini fagocitino il suo più intimo vissuto, innescando così una spirale di riflessioni circa l'onnipotenza di esse nel mondo contemporaneo, sul loro falso e ipocrita pudore, a cui Araki oppone un insistito bazzicare i territori dell'eros, più o meno estremo. Le sue foto più emblematiche sono probabilmente proprio quelle che ritraggono donne in atteggiamenti intensamente erotici, spesso legate strettamente, appese, immerse, bendate o "fatte a pezzi" dall'obiettivo fotografico (è la serie dei "bondage"). E se da un lato questo tipo di produzione è valso ad Araki una lunga lista di denunce per oscenità, d'altra parte non è indifferente il peso che la sua opera ha avuto in quanto ad emancipazione sessuale in Giappone.
Se il corpo femminile è senza dubbio il soggetto principe delle sue fotografie, sensualità, fisicità ed erotismo ritornano insistentemente anche in soggetti apparentemente "al di sopra di ogni sospetto": basta un tocco, e un inconsapevole uovo alla coque mima la conformazione del sesso femminile. L'opulenza dissoluta dei suoi Flowers, soprattutto carnose orchidee, allude senz'ombra di remore moralistiche alla sfera della sessualità; e qui non si può tacere, a mo' di contrappunto, il nome di Robert Mapplethorpe: ma se nei bianco e nero floreali di Mapplethorpe aleggia un raffinato erotismo, negli sgargianti fiori di Araki emerge piuttosto il kitsch sopra le righe proprio di ogni pornografia.
Chi conosce l'opera del poeta Aldo Palazzeschi, poi, non resisterà all'inopportuna tentazione di abbandonarsi ad un accostamento impunemente ardito ed improbabile con l'amara ed esilarante lirica intitolata I Fiori, in cui Palazzeschi descrive la vita di un giardino fiorito come se si trattasse del più bieco postribolo: tra rose prostitute, garofani ruffiani, gigli pederasti e violette incestuose, il poeta invoca Dio chiedendogli di aprirgli "un nascondiglio fuori della Natura". Araki, al contrario, celebra senza risparmiarsi questa armonia parallela all'insegna del piacere vissuto ed espresso senza inibizioni, trasfigurando finanche le più ordinarie immagini fino a farne provocatori ed insolenti attacchi all'ipocrisia di una società in cui tutto è permesso, purché non se ne parli.
L'esposizione di Palazzo Fontana di Trevi, oltre a presentare una selezione di foto tratte dalle serie più conosciute, alle quali abbiamo accennato, focalizza l'attenzione sulla produzione più recente o inedita, proponendo, tra le altre, ritratti di facoltose famiglie giapponesi; immagini dalla serie Some Stories, che racconta di amori vissuti in villaggi tradizionali giapponesi sullo sfondo di foreste di bambù e templi, e quelle altrettanto intense che invece si perdono fra le strade e le piccole abitazioni di Tokyo; la serie inedita scattata a Ginza negli anni Sessanta e Settanta, con vere e proprie street photographs realizzate in quello che è oggi il centro della moda e finanziario di Tokyo, che lucidamente esplorano e registrano i cambiamenti in atto nella società giapponese di quegli anni, in pieno boom economico.
Se ne esce frastornati, incerti se definire la fotografia di Araki passione, mestiere o tormento.
Qualche titolo utile per approfondire la conoscenza dell'opera di Nobuyoshi Araki. Interessante il dvd + booklet Arakimentari pubblicato da Casini Editore: un documentario della durata di 75 minuti (audio originale con sottotitoli in italiano) dedicato all'anima creativa di Araki, arricchito da interviste a personaggi quali il regista Takeshi Kitano e la cantante Björk (per la quale Araki ha creato la copertina dell'album Telegram).
E' invece incentrato sul reportage svolto da Araki negli anni Ottanta sull'industria del sesso in Giappone il volume illustrato edito da Taschen intitolato Tokyo Lucky Hole, tramite cui approfondire uno dei lavori più emblematici del fotografo.
La mostra di cui ci siamo occupati nell'articolo ha visto infine la pubblicazione dell'esauriente catalogo Araki Gold, edito da Skira, che raccoglie oltre 200 foto particolarmente significative, in grado di riassumere le tematiche più ricorrenti della sua carriera.
Serena Effe © 01/2008
Riproduzione Riservata
Tutte le foto che accompagnano questo articolo sono © Nobuyoshi Araki e fanno parte della cartella stampa ricevuta per la pubblicazione della recensione, libere da diritti e utilizzabili per tale scopo.