Federico Poli, classe 1977, bolognese, di professione grafico. Ma anche – da non molti anni – fotografo.
Inizia con una Leica a telemetro, una scelta coraggiosa e controcorrente, negli anni della corsa al digitale.
Poi “approda” a Hasselblad e scopre il fascino del medio formato che usa – attenzione! – non per documentare paesaggi, architetture o forme urbane, ma per dedicarsi a quella che sente come vocazione peculiarmente sua: fissare nei sali d’argento la gente che incontriamo tutti i giorni, con i suoi gesti quotidiani, a volte banali, a cui normalmente diamo poca importanza.
Percorre a piedi la sua città per cogliere “attimi decisivi” che il frenetico scorrere del tempo rischierebbe di cancellare per sempre.
Più amico che proprietario di Isotta (la sua cagnolona) e innamorato dei cani, decide di dedicare agli amici a quattro zampe due progetti fotografici.
Il primo, “Dog city life”, testimonia le condizioni di vita alle quali sono spesso costretti i cani in città.
Con partecipazione e – vorrei dire – “compassione” umana, Federico ci racconta di barboncini col cappotto, volpini confinati nelle borse della spesa, cuccioli obbligati a viaggiare sulla cappelliera dell’auto, come quei cani finti di orribile gusto che vediamo scuotere la testa attraverso il lunotto posteriore delle utilitarie.
Allora la compassione si mescola al grottesco, la tenerezza all’indignazione, e alla fine il progetto – pensato sui cani – diventa un affresco impietoso della stupidità umana.
Inusuali, spesso, i punti di vista: Federico si abbassa a livello di cagnolino, si fa partecipe della loro bassezza nei confronti degli esseri umani, dei quali il più delle volte non si vedono che le gambe o i piedi.
Un’umanità spersonalizzata, strumentale ai punti di vista e alle esigenze dei cani, che ci vedono come noi vediamo loro: tutti uguali, indistinti, pantaloni e scarpe che si muovono per la via.
A questo messaggio appare funzionale l’uso del mosso e dello sfocato, frequente nelle immagini di Federico, così come la grana grossa: metafora della fretta e dell’approssimazione vorace con cui la città divora i suoi figli.
Nel secondo progetto, “Cane e padrone”, Federico associa i bipedi ai quadrupedi di loro proprietà (anche se a volte ci si chiede chi appartenga a chi), raggiungendo talvolta vette di pura poesia, talaltra i traguardi della più genuina comicità.
Nadir: Federico Poli. Di professione grafico. Come e dove è nata la tua passione per la fotografia?
Federico: A Parigi, cinque anni fa. Ma non per la volontà di seguire le orme di Bresson o Doisneau o altri della scuola francese. Ero lì con la mia ragazza di allora. Lei era stanca di fotografare e una mattina mi disse: “Okay Fede, oggi fotografi tu”. Non avevo scelta, accettai e ci incamminammo.Trascorsi l’intera giornata maneggiando un oggetto a me sconosciuto, circondato da turisti con aggeggi simili al mio. Fotografai di tutto quel giorno, lo ricordo come se fosse ora, ma soltanto una foto, delle tante scattate, consideravo veramente “mia”: c'era un tizio sul marciapiede, pronto per attraversare. In una mano teneva una borsa e nell’altra un cavo, e dall'altra parte del cavo un vecchio i-Mac appoggiato per terra. Era buffissimo, sembrava che portasse un cane al guinzaglio, invece era un computer. Lo fotografai divertito, ma nello stesso tempo sorpreso che nessun altro lo notasse. Trovavo questa scena molto più interessante che Place de la Concorde o l’Arc de Triomphe che tutti gli altri invece cercavano. Beh, la mia prima esperienza con la macchina fotografica finì quella sera stessa. Ma quell’i-Mac al guinzaglio continuava a tormentarmi la memoria. Pensavo che il mondo fosse pieno di cose del genere che nessuno nota. Così, due anni dopo, mi procurai una fotocamera tutta mia.
N: Lavori in bianco e nero con Leica a telemetro e Hasselblad. Che posto ha la fotografia digitale nel tuo orizzonte artistico?
F: Fondamentale. Da qualche mese, grazie alla spinta di due amici fotografi, scatto solo in digitale e ogni volta mi si apre un mondo nuovo. La Leica, la Hasselblad e la reflex digitale sono macchine meravigliose, ognuna con le proprie caratteristiche sia di risultato che di operatività: fare un confronto non ha senso perchè il senso nasce da una relazione. Ho un passato chitarristico e faccio spesso il paragone: le chitarre elettriche non hanno più importanza di quelle acustiche e viceversa, sono strumenti diversi i cui ambiti sono solo parzialmente sovrapponibili.
N: Veniamo all'argomento del tuo lavoro: i cani. Quasi un'ossessione. Come è nata l'idea di documentare le condizioni dei cani in città?
F: Passo molto tempo con la mia cagnolona Isotta e con amici che hanno anche loro dei cani (io li chiamo “amici cani”). Vedere, notare, osservare i loro comportamenti è meraviglioso ed affascinante, sia al parco mentre giocano sia nelle strade della città quando accompagnano il padrone a fare shopping. Bologna è piena di cani (per fortuna!) e frequentando il centro non mi è stato difficile soffermare l'attenzione qualche centimetro più giù del padrone; i cani hanno sempre delle espressioni incredibili. Questo è il progetto intitolato “Dog city life”. Ho pubblicato qualche immagine su
Flickr.
N: Cane e padrone, un'altra idea originale. Ce la puoi descrivere?
F: “Cane e padrone” l'ho cominciata dopo “Dog city life”. Già altri fotografi, ben più bravi di me, hanno affrontato l'argomento. Ma io volevo un taglio diverso, volevo creare delle immagini che documentassero l’essere “cane e padrone”, e cioè il loro essere, insieme, un’entità a sé stante, non la classica foto del padrone che abbraccia il suo cane. Cerco situazioni e contesti che trasmettano questo significato, pose che identifichino non tanto il loro rapporto (non potrò mai conoscere a fondo il “rapporto” che qualcuno ha col proprio cane) ma la loro reciproca “compenetrazione”.
N: Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai già esposto le tue immagini in alcune mostre personali: conti di pubblicarle in altre forme?
F: Progetti per il futuro... beh, continuare a fotografare di sicuro; vorrei arricchire la serie "Cane e padrone" (aggiungerò presto nuove immagini alla mia pagina su Flickr) e dedicarmi più seriamente al ritratto, un genere che voglio affrontare nel modo giusto. Ma poi tutto dipende dall'ispirazione del momento o dal periodo. Fare mostre è entusiasmante: arrivano certe “bastonate” che nemmeno ti immagini. Ma anche così si cresce. Conto di farne altre e mi piacerebbe anche pubblicare un libro…
Posso fare dei ringraziamenti?
N: Mah, direi di sì…
F: Ringrazio gli amici che mi hanno fatto e mi fanno ogni giorno di più amare i cani, i cosiddetti "amici cani", in particolare Massimiliano, Marina, Francesco, Giovanni, Alberto, Valentina, con i quali ho un rapporto molto importante anche extra cani, e tutti i “cagnari” dei Giardini Margherita; ringrazio gli amici fotografi che mi prendono ogni volta in giro quando alle uscite fotografiche mi presento con la Hasselblad, i fotografi Michele e Massimo che non perdono occasione per bastonarmi, Giovanni e Paolo che ultimamente si stanno rivelando anche ottimi amici e, anche se ora non li frequento più tanto, gli amici del sabato mattina: Diego, Gianni, Sandro, Cesare.
Gli amici di sempre.
La famiglia che mi supporta/sopporta.
Un ringraziamento particolare a Luca per quando mi strappò una foto perchè non era abbastanza, e i cui consigli comincio solo ora a capire.
La redazione di Nadir © 12/2010