Il viaggio è una categoria dello spirito. C’è chi non smette mai di viaggiare, intraprendendo percorsi sempre nuovi e inesplorati, e c’è chi, al contrario, non si è mai mosso dalla postazione di partenza. Portarsi o meno dietro la propria carcassa è un fatto secondario, poiché viaggiare è innanzitutto un fatto mentale. Sono stati grandi viaggiatori Marco Polo, Chatwin, Terzani, ma anche Leopardi, Sciascia, Pasolini, radicati nella propria realtà locale eppure capaci di trascenderla, guardare oltre, immaginare nuovi viluppi e prospettive spiazzanti.
La fotografia è uno straordinario strumento da viaggio. È anche un’arma a doppio taglio, però. La sua prerogativa di rendere accessibili i viaggi altrui può costituire alibi per accomodarsi su una conoscenza superficiale delle cose. La sua capacità di documentare può farne un cordone sanitario, usato per creare barriere ed evitare contaminazioni, piuttosto che per espandere la sintonia e amplificare il contatto.
Non c’è niente di comodo nel viaggiare. Il viaggio presuppone sempre l‘idea di perdersi, proiettare parti di sé in luoghi remoti fino a scolorirne i contorni, per poi ritrovarli, inondati di luce nuova. Cosa non sempre scontata, né rassicurante. Il viaggiare di cui parliamo, fuori dai “corti circuiti” del turismo patinato, è una ricerca maieutica priva di un Socrate che ti aspetta sulla soglia del sapere. Non sai mai prima quel che accadrà davvero. È avere come guida Aldous Huxley più che la Lonely Planet. Il viaggio non riguarda un punto di partenza e uno di arrivo. Viaggio è il percorso, del tutto soggettivo, è quel che ti succede dentro durante, prima e dopo, e che verosimilmente non ti abbandonerà più.
Fin qui il viaggiare come percorso interiore. Ma viaggiare, anche se fatto da soli, non è mai un fatto solitario. Al centro c’è sempre l’incontro con l’Altro, che si tratti di Cultura, di Geografia, di Architettura o dell’Uomo. Nell’incontro con l’Altro la fotocamera può farsi mediatore o barriera, enzima o profilattico. Dietro la trincea del mirino, lasciare che la vita scorra intorno senza lasciarsi mai veramente toccare. Oppure diventare quel “terzo occhio” di cui spesso si dice, in grado di acuire la sensibilità e creare un filo diretto tra la realtà esterna e quella interna. In una dimensione che espande lo spazio ma anche il tempo, stante che l’immagine conservata nella memoria tecnologica sarà poi ripresa e rielaborata, fino a farsi emozione rappresentabile e narrabile.
Come trasmettere tutto questo agli eventuali fruitori, permettendo loro di cogliere quelle emozioni, farle proprie, metterle in contatto con la propria sensibilità perché divengano nutrimento dell’immaginario e possibilità di un proprio personale viaggio, non è cosa semplice da spiegare. Sappiamo solo che alcuni viaggiatori fotografi hanno questo dono, e non saremo mai abbastanza grati loro per tutti i viaggi che ci permettono di fare, anche solo seduti in poltrona.
Antonello Lombardi è uno di questi. L’invidia suscitata dalle sue immagini è superata di gran lunga dall’ammirazione per la sua capacità di vedere e per la generosità nel condividere le sue esperienze. Nelle sue foto traspare con limpida pregnanza il senso dei luoghi e delle situazioni. Immagini mai aliene, prodotte da un altrove culturale schizzinoso e impaurito, ma raccolte nel cuore dei luoghi, che mostrano le cose come sono, in modo semplice, senza teatralità né cedimenti al pathos, rifratte attraverso gli occhi dei suoi soggetti-interlocutori, che ci interpellano senza pudore sul significato profondo della nostra identità.
Abbiamo scambiato due chiacchiere con Antonello. Al volo, naturalmente, tra un viaggio e l’altro.
Fotografo-viaggiatore o viaggiatore-fotografo?
Sono un viaggiatore con la passione per la fotografia. Mi definisco viaggiatore in quanto viaggiare è il mio stile di vita, è il modo che ho per rapportarmi con il mondo e con la vita, è la mia fonte di conoscenza e di comprensione. Credo che qualsiasi passione si abbia, nel viaggio la si possa coltivare: la musica, la fotografia, la letteratura ed altri interessi nel viaggio si completano e si approfondiscano in quanto il viaggiare ci porta ad un contatto diretto nei loro luoghi e verso le loro radici.
La fotocamera è un ausilio o un impiccio?
La fotografia trovo sia l'ideale compagna del viaggiare perché ci permette sia di prendere un singolo appunto visivo sia di approfondire, cristallizzando l'azione, il contenuto estetico di quanto passa davanti ai nostri occhi. Inoltre, quando una foto è buona, ci permette di comunicare e far partecipi gli altri di quanto da noi visto e vissuto.
Che tipo di formazione hai?
Sono nato ad Avellino, 48 anni fa. Sono laureato in ingegneria civile, strutturale.
È iniziata prima la passione per i viaggi o per la fotografia?
Viaggio da quando avevo 16 anni, con sacco a pelo, zaino ed inter-rail. Ho iniziato a fotografare con mio zio da ragazzino con la sua Contaflex srl, poi con una Rollei 35s per poi passare ad una Nikon AF 601F. Dopo una brutta esperienza in Colombia ho smesso di fotografare per circa 15 anni: all'aeroporto mi bruciarono tutte le pellicole (400 e 1600 ISO) alla macchina per i controlli a raggi x. Dati i sacrifici per procurami la pellicola di buona qualità (dovevo, circa ogni 8-9 giorni, tornare a Bogotà da un rivenditore con una spesa, in tempo e denaro, non indifferente!) desistetti fino al 2000, quando il digitale cominciò ad avere un prezzo umano. La prima macchina fu una compattona Sony che pagai ben 2.000.000 di lire: non male per quei tempi, ma oltre i 100 ISO...
Che attrezzatura utilizzi adesso?
Ho un corredo Leica M (argentico e digitale) con varie lenti sia Leica che di altre case, sempre però con attacco Leica a vite o M. Come sistema reflex uso Canon con diverse ottiche quasi tutte fisse serie L ma anche qualche ottica Leica R che monto con un adattatore, ed infine uso il sistema Hasselblad serie H per il medio formato. In viaggio sto cominciando però ad usare esclusivamente Leica M ed ora voglio affiancarle un corpo micro 4/3 per quelle volte che avrò bisogno di tele più spinti sfruttando il fattore di moltiplicazione 2x.
Come pianifichi i tuoi viaggi?
Viaggio spesso da solo perché, facendo dei viaggi che durano anche 3 mesi, difficilmente trovo persone che hanno tanto tempo a disposizione. Le volte che però viaggio in compagnia scelgo sempre amici o persone a me vicine negli affetti perché non amo i gruppi organizzati né il turismo di massa. Sono un viaggiatore "lento", mi piace stabilire dei rapporti umani con le persone che incontro perché credo sia l'unico modo per poter conoscere bene culture differenti dalla nostra e il turismo "di consumo" non permette questo tipo di approccio. Circa la pianificazione faccio tutto da solo tramite internet o con degli amici che hanno una agenzia di viaggi. Faccio dei programmi di massima ma sempre aperti a variazioni o modifiche durante il viaggio stesso.
Quali consigli daresti a chi volesse iniziare un simile percorso?
Su questo si potrebbe dire moltissimo, mi limito ad un paio di osservazioni: innanzi tutto sono fondamentali le lingue, perché ci permettono di comunicare con le persone che incontriamo e ci rendono indipendenti nei nostri spostamenti. Per gli appassionati di fotografia consiglio, nei rapporti con le persone, di non arrivare con la macchina fotografica già in mano ma di stabilire, quando è possibile, prima un contatto umano e poi spiegare cosa si sta facendo con la fotocamera; inoltre è buona norma inviare una copia delle foto alle persone ritratte, che così si sentiranno più partecipi del nostro reportage. In generale, prima di cominciare a fotografare consiglio di "annusare" l'atmosfera di un certo luogo, cercare di capire che sensazioni ci trasmette e solo dopo passare a registrare le nostre foto.
Prima di salutarci mi dice asciutto: “Sto partendo per il Benin e Togo per un reportage sui riti vudù. Vuoi venire?”. La mia memoria corre fulminea a un ricordo d’infanzia. Avrò avuto 5 anni, era stata appena inaugurata la tratta aerea Palermo-New York e noi bambini ci facevamo portare dai genitori a Punta Raisi per vedere decollare il “Jumbo”. Mentre ero lì, affacciato alla ringhiera, con gli occhi illuminati da quel meraviglioso gigante, passa il comandante dell’aereo. Mi si para davanti, evidentemente divertito dal mio sguardo trasognante, e mi dice: “Vuoi venire con me a New York?”. Resto inebetito, dopo qualche secondo quello fa sorridendo: “Mi dispiace, tempo scaduto!”. L’esitazione fu fatale, il Boeing 747 partì senza di me lasciandomi ad arrovellarmi su cosa sarebbe successo se avessi risposto di sì. Stavolta, almeno, mi consolerò pregustandomi le foto di Antonello.
Carlo Riggi © 01/2011
Antonello Lombardi su Flickr: http://www.flickr.com/photos/astro62/