Ho un pregiudizio verso le donne, lo confesso qui pubblicamente: sono convinto che le donne vedano e fotografino meglio degli uomini. Il pregiudizio, si sa, è un atteggiamento mentale pervicace e intrinsecamente stupido. La sua qualità principale è quella di resistere irrazionalmente a qualunque evidenza contraria. Il pregiudizio non apprende dall’esperienza, la bypassa. Anche di fronte a palesi disconferme, l’intelletto si mette in moto per risolvere la propria dissonanza, trovando giustificazioni e pretesti a salvaguardia della credenza originaria. Alla fine il pregiudizio potrà uscirne magari un po’ scalfito, il “fotografano meglio” riparerà verso un più mite “vedono diverso”, ma l’idea di fondo resta in piedi, inossidabile. Va da sé che quando capita davvero di ammirare foto eccellenti, diverse da quel che avremmo visto e fatto, il pregiudizio sulle donne fotografo si corrobora e si esalta. E a noi maschi non resta che leccarsi le ferite e accettare l’idea che mai si sarà capaci di simili risultati.
Le foto di Francesca Diani sono emblematiche di questo femminile fotografico, sofisticato e inarrivabile. Nelle sue foto ci sono fate, assenzio e merletti... Una sensualità diffusa, diluita tra reminiscenze infantili e scorci di fiaba, che tutto addomestica e autorizza. Entrare nel mondo di Francesca significa diradare la nebbia giallastra che ella frappone tra sé e il suo universo fantasmatico, utilizzata come fanno i bambini col tempo imperfetto (“giochiamo che io ero il dottore?”), funzionale a gestire le emozioni proiettando l’azione in un altrove epocale. Le entità femminili di Francesca (donne, adolescenti, bambine?) abitano uno spazio-tempo indefinito, circondate di oggetti feticcio accuratamente selezionati, intente in pose di piana evidenza ma di cangiante significato. Il fruitore viene sollevato di peso, con dolce prepotenza, e trasportato in un universo del quale sconosce i contorni, i nessi e la sintassi. Non può altro che restare ammaliato e soggiogato in un gioco di sottile seduzione, accettare un tè dalla bella fanciulla e sbirciare scenari di innocente malizia, tra balocchi e lingerie, nel quale ogni significato apparente risulta sovvertito grazie anche alla cifra surreale che, insieme alla vena intimista, le cromie attenuate e la cura scrupolosa dei particolari, si impone come il marchio di fabbrica di questa giovane e talentuosa fotografa. L’effetto è inebriante e confusivo, come capita a chi, per qualche istante, abbia avuto il privilegio o la dannazione di entrare in un gioco di donna. Del quale, come sempre, a noi maschietti sembra di dominare tutto senza capire un bel nulla.
Carlo Riggi © 03/2011
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Francesca Diani è nata a Cesena nel 1987. Si è laureata nel giugno 2010 presso la Libera Accademia di Belle Arti di Rimini con la tesi “La Bambola di Carne”, librone fotografico e illustrato sulla figura femminile tra l’inquietante e il seducente, dedicato al suo grande amore: il regista Ernst Lubitsch. Questo libro rappresenta bene l'idea alla base del suo progetto fotografico: “Creare una figura vera, esistente ma allo stesso tempo artificiosa, bamboleggiante e fiabesca”. Terminati gli studi ha iniziato a lavorare come freelance, seguendo progetti personali e collaborando con il webmagazine Alila Mag. Si è così dedicata ai servizi di moda, sfruttando la sua formazione legata all’arte e alla storia della fotografia. Vive e lavora a Milano.
Homepage:
www.francescadiani.com