ARTEPARA':
Operai dell'arte e della vita
Michele Vacchiano, settembre 2000

ARTEPARA': "Operai dell'arte e della vita" è il titolo di una mostra che si terrà prossimamente in Brasile a Belem, nello stato di Parà dal 3 ottobre al 5 novembre 2000 presso la Fundação Romulo Maiorana (www.frmaiorana.org.br).
Parteciperanno 4 fotografi italiani e 2 brasiliani e su Nadir riusciamo a mostrarvi in anteprima la particolare ricerca di Valerio Berdini.

Tutte le foto sono © Valerio Berdini e fanno parte della mostra in Brasile.

Ti guarda, la ragazza bruna. Ti guarda con quei suoi occhi chiari quasi nascosti dalla frangetta, l'espressione seria, un po' imbronciata, quegli orecchini sofisticati troppo grandi per il suo viso minuto. Chi è, a che cosa sta pensando, e soprattutto, è felice? Ricca non è, quegli orecchini non sono i suoi, l'hanno costretta a metterli giusto per fare la foto, e si vede benissimo che non le piacciono. Forse vorrebbe essere lontana da lì, ne sei certo, e ti verrebbe voglia di portarla via, come si aiuta una farfalla a uscire dal bozzolo. Forse te ne sarà grata, oppure volerà via senza neppure ringraziare, come fanno sempre. Ma sai che è solo un sogno. Se volessi avvicinarla non potresti: c'è un'inferriata che la separa da te, e allora ti chiedi se sia lei la prigioniera oppure tu che la osservi, impietosamente relegato al di qua dell'immagine. Irraggiungibile come un sogno d'amore, o come il mistero che sembra trasparire dai suoi occhi.

Immagini spontaneamente ironiche, di un'ironia a volte feroce, come le gambe nude di un improbabile parlamento europeo, per nulla timoroso di mostrare le proprie natiche muscolose, o come quel carro armato che campeggia - macchiato e sporco ma ben riconoscibile - dietro la parola "Festa". E che cosa ci sia da festeggiare quando vedi un carro armato è una domanda che ti ronza nel cervello anche quando ormai sei passato all'immagine successiva.

Volti che sbucano attraverso gli strappi dei manifesti, un bambino biondo e un uomo adulto, forse il suo papà, come incontri fuggevoli appena intravisti fra le lacerazioni della carta. E tutto sommato è proprio il nostro modo di vivere e di intrattenere i rapporti, sempre veloci, momentanei e superficiali attraverso gli strappi di una realtà multiforme, che appena riusciamo ad intuire ma certamente mai a capire nella sua vera essenza. E così ti chiedi chi sia quel bambino, se sia felice con il suo papà, e speri che lo strappo del manifesto non vada mai avanti, non finisca per coprire quella testolina bionda e innocente che forse sta andando a comperare una bicicletta nuova come regalo per la promozione.

E poi c'è quell'altra, quella parola "LIBERTA" a cui è scomparso l'accento, e sotto ci vedi (anzi, intuisci) l'immagine reiterata di una tizia troppo magra seduta a gambe larghe su una sedia da parrucchiere per signora, con una camicetta di lamé troppo aperta sul davanti e un paio di pantaloni troppo attillati. Una tipa sofisticata e decisamente poco attraente, a dispetto delle intenzioni del suo art director, con quei capelli tiratissimi che la rendono apparentemente calva. A me personalmente sta antipatica, e mi dà sui nervi il pensare che l'immagine sia ripetuta a fianco. Per fortuna c'è quella parola a coprirla in parte. Libertà, sì, libertà dal mondo falso, ricco e sofisticato che quella donna antipatica e certamente un po' stronza incarna. E se ne vada al diavolo lei, i suoi soldi e il suo abbigliamento da ricca mignotta senza cervello.

Ecco, vedete, non sono riuscito a scrivere una recensione da semiologo. Non sono stato capace di parlare di composizione, di qualità della stampa e di altre cose che normalmente ci si aspetta da uno che si occupa di comunicazioni visive. Ma il fatto è che queste immagini mi hanno preso, e la cosa è tanto più paradossale in quanto si tratta di codici di secondo livello, immagini di immagini, a loro volta contaminate e traslate nel significato dalle lacerazioni della carta e dalle ingiurie del tempo. Ma forse per questo ancora più reali, come la fotografia di un'immagine allo specchio. E se è vero che due segni meno fanno un segno più, allora l'immagine di un'immagine dà come risultato la realtà, una realtà che sta dentro le cose e che Valerio ha saputo tirar fuori. Una realtà profonda, quella che sta dietro - oltre che dentro - e che è forse la chiave di lettura della nostra stessa vita. Che altro non è se non quello che agli altri appare, un vecchio manifesto che - nonostante i nostri sforzi - il tempo ingiallisce e lacera, lasciando trasparire quello che c'è sotto. Come quei volti e quei musi strappati che sembrano maschere di cera lasciate a liquefarsi al sole. Inquietanti perché ci mostrano - impietose - il nostro vero esistere.

Michele Vacchiano © 9/2000
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