PREGO, UN SELFIE?
Considerazioni su una simpaticissima vignetta sui fotografi del 1985 disegnata da Rino Giardiello
Gian Luca Silvagni, luglio 2017

Rino Giardiello, since 1985. Non è la pubblicità di un pub sulla riviera romagnola, è la data riportata sulla vignetta abilmente disegnata da Rino Giardiello. Tanta acqua è passata sotto i ponti e dentro i pentoloni, dal punto di vista social-fotografico questa vignetta ai giorni nostri rappresenta un paradosso: è drammaticamente attuale e simpaticamente nostalgica.

Il fotografo, forse un fotoreporter o semplicemente un fotografo della domenica, catturato da Venerdì (fedele compagno cannibale di Robinson Crusoe) in quale giorno della settimana non si sa, immerso nel pentolone tra sedani cipolle e carote in attesa della ebollizione che fa? Scatta una foto all’aborigeno che non esita a mettersi in posa. E’ questa la rappresentazione del fotografo anni ’80-’90. Mi immolo ma porto a casa la foto. Disegnata oggi, vedremmo il cannibale in piedi a fianco del fotografo della domenica per un selfie brandendo il forcone come asta. E’ di moda fotografarsi col cibo.

L'ultimo scatto. Disegno di Rino Giardiello

Drammaticamente attuale perché cogliere l’immagine è più importante di preservare noi stessi, il nostro “io” digitale acquista forza e popolarità se viene costantemente alimentato con foto in stile “io c’ero…”, fianco a fianco al vip, davanti a un piatto di pasta o in punta di piedi sul cornicione della torre più alta della città, non fa differenza, l’importante è far vedere che io ero lì. L’io digitale non scompare, a volte l’autocelebrazione estrema porta alla cancellazione dell’io umano.

Nell’era della condivisione planetaria una nostra foto - bella o brutta che sia - è potenzialmente visibile da qualsiasi essere umano sul nostro pianeta e, non è ancora scientificamente dimostrato, visibile da altre forme di vita nell’universo; questo spiega come mai nessun alieno abbia mai messo piede sulla terra. O forse perché non hanno piedi?

Simpaticamente nostalgica perché ai miei tempi ci si fotografava lo stesso. Si chiamavano semplicemente “autoscatti”. Appoggiavi la macchinetta in un punto ben in piano (ti par poco), regolavi il timer (una manciata di secondi) e correvi davanti all’obiettivo cercando di arrivare in tempo e assumere un’aria dignitosa (di solito spettinato col fiatone). In alternativa si consegnava la macchinetta in mano ad uno sconosciuto e ci si metteva in posa tranquilli.

L’avvento del digitale ha rivoluzionato il “fare” fotografia, oggi siamo sommersi di immagini 24 ore su 24, è divenuta un esercizio popolare e non serve più dedicarle del tempo, ad esempio il fine settimana, è sempre con noi, in tasca. Poi internet ha cambiato le carte in tavola sostituendo di fatto il cassetto, la foto del pelosetto (cane, gatto, o altro) non rimane custodita gelosamente nel cassetto o appesa al muro, ma è in bella vista nella paginetta web, visibile a tutti anche a chi è allergico al pelo. Infine l’amato e odiato smartphone, che riunisce in un solo oggetto del desiderio i due concetti precedenti e tanto è bastato per abbattere ogni riluttanza verso la nuova tecnologia e lanciarsi in sfide infinite a colpi di “io c’ero”… Prego, un selfie?

L’aspetto più curioso è che ci offendiamo dinnanzi alla violazione della nostra privacy ma contemporaneamente pubblichiamo ogni momento della nostra giornata e della nostra vita sul web.

Gian Luca Silvagni © 07/2017
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