LA FASE TECNOLOGICA IN CUI STIAMO PASSANDO È MOLTO PARTICOLARE. NON SI TRATTA PIÙ DI DISQUISIRE SE UNA REFLEX 35MM MECCANICA SIA MIGLIORE DI UNA AUTOFOCUS O SE LO ZOOM SIA PARAGONABILE PER QUALITÀ AGLI OBIETTIVI FISSI. TRA FOTOGRAFIA ALL'ARGENTO E FOTOGRAFIA DIGITALE A PIXEL, I DISTINGUO SONO ASSAI PIÙ CONSISTENTI.
Analogico soprattutto per motivi anagrafici, sono sempre rimasto affascinato dalle novità, dalla ricerca, dagli aeroplani. Sono quindi affascinato anche dal digitale; nei suoi confronti, però, nutro ancora sospetti. Sarà perché il terreno lo trovo, come dire?, scivoloso, sarà perché l'idea di un'immagine che non è visibile, ma che sta dentro una manciata di milioni di piccoli e freddi sensori, mi lascia interdetto. Sì, è come una immagine latente, ma questa, una volta sviluppata, diventa visibile e lo sarà finché gli occhi della razza umana avranno luce: senza bisogno di monitor, cavi, schede, cavetti USB o altro che non so. Sono analogico, ma so bene che il piano sul quale l'immagine si sta spostando è diverso, integrato con altri sistemi di comunicazione tanto da diventare molto più potente delle classiche "mille parole".Novità superficialmente conosciuta dalla gente, la fotografia digitale, va presa con attenzione. Una volta eravamo vaccinati per difenderci da altri problemi. Il contrabbando era dilagante e la garanzia internazionale di quell'apparecchio che non aveva passato la dogana, l'importatore ufficiale non te la riconosceva nemmeno se piangevi in turco. Bisognava saperlo, ma molti non lo sapevano ed in buona fede richiedevano senza speranza libretti di istruzione in italiano. Ora che non c'è più il rischio di un acquisto non garantito, esiste quello di sbagliare acquisto, di non fare bene i conti e di non ottenere un servizio sufficientemente adeguato.
Sbagliare acquisto è più facile perché la preparazione generale è assai scarsa sia da parte degli acquirenti che da parte dei rivenditori. Il mix tra funzioni optomeccaniche di una reflex digitale e quelle puramente elettroniche, non semplifica le cose. Ma questo è un fatto tecnico e quindi si risolverà da sé. Il servizio postvendita o l'assistenza tecnica presso i call center, da quanto sento dire, non vale, al momento, il fatidico velo pietoso. È la new economy: te la devi prendere com'è, economica in tutti i sensi.
A parte queste quisquilie di scarso interesse, mi chiedo se con i cambiamenti sotto i nostri occhi non ci troviamo di fronte a qualcosa di più di una rivoluzione tecnologica. Che tipo di fotografia avremo se il digitale trionferà? Cambierà solo il supporto e la metodologia tecnica del fissare l'immagine, o cambierà il significato della fotografia stessa? Mi chiedo quindi se il digitale, in quanto nuova tecnica, non porterà a evoluzioni anche sotto l'aspetto del contenuto. Mi viene in mente il cubismo di Picasso che scomponeva persone e cose rompendo con gli effetti di luce ed i ritratti all'aria aperta degli impressionisti che, a loro volta, si erano ribellati al noioso chiaroscuro del classicismo.
Recentemente, su Tele+ ho seguito un servizio sul cinema digitale. Forse era una replica, in quanto in una intervista, Lars von Trier (Dancer in the dark) diceva, come un lettore tempo fa mi aveva fatto notare, che dalla Kodak aveva saputo che la casa americana avrebbe smesso la produzione di pellicola nel 2016. A parte il dettaglio, la discussione partiva dalla tecnica per arrivare al contenuto. I sostenitori del digitale, lo considerano un mezzo economico e versatile per realizzare scene impossibili con la pellicola. Qualcosa che spaventa le grandi case di produzione che, invece, vogliono budget astronomici e preferiscono girare con cineprese da centomila dollari e obiettivi di pari prezzo per tagliare le gambe alla concorrenza. In altre parole, il digitale apre la strada a chiunque voglia fare un film senza troppi quattrini. Dall'altra parte c'è chi vede la pellicola come colonna portante del cinema e la considera insuperabile e ancora da scoprire. Però, girare con la pellicola richiede esperienza, fatica e grande sforzo organizzativo, tutto quello che al digitale non serve più e che, perciò - secondo alcuni - porterà ad un'esplosione di film spazzatura.
Non credo che il ragionamento possa applicarsi alla fotografia, perché l'industria del cinema vive di gente che paga un biglietto per vedere un buon film, mentre quella fotografica si limita a produrre gli strumenti che centinaia di milioni di persone usano per fare fotografie che non debbono vendere a nessuno.
Da una nuova tecnologia molti pensano di ottenere a buon mercato quello che non hanno: la capacità di vedere e la conoscenza degli strumenti. Oggi, sperano che il digitale consenta, con qualche trucco speciale, di porre rimedio alle fotografie che non sanno scattare. Se ci si fermerà qui, il digitale sarà un fallimento e le fotografie prodotte, proprio perché economiche, saranno sì spazzatura. Perché il sistema decolli anche dal punto di vista del contenuto (sempre che questo interessi a qualcuno) occorrerà che la tecnologia finisca nelle mani dei fotografi. Solo allora potremo capire se il digitale non è quel demonio che gli analogici credono che sia.
Ho fatto le mie piccole esperienze con il digitale e sul tema il mio giudizio resta sospeso. Non sulla tecnica raggiunta, ma sul sapore dell'immagine prodotta coi pixel. Permettetemi un esempio culinario. Ecco, io la paragonerei ad un piatto di buoni calamari surgelati rispetto ad uno di quelli appena pescati, bolliti giusto tre-quattro minuti, da gustare con due semplici gocce d'olio vero.
La metto sul sapore, perché del tipo di forchetta non mi importa più di tanto.
Giulio Forti © 03/2001
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Pubblicato su FOTOGRAFIA REFLEX di febbraio 2001. Courtesy Giulio Forti
"Le due vie della vita". Questa famosa stampa allegorica all'albumina fu realizzata nel 1857 da Oscar G. Rejlander partendo da trenta negativi scattati nel rispetto della necessaria prospettiva. Allora ci vollero sei settimane; oggi, in digitale, basterebbe una mattinata. Ma il risultato avrebbe lo stesso sapore?