Ogni bravo ritrattista conosce il potenziale espressivo degli occhi, la via di accesso al mondo interiore del soggetto e, di riflesso, anche del proprio.
Gli occhi puntati in camera sussurrano, insinuano, alludono, gli occhi “fanno” il ritratto. L’occhio sfuggente, per contro, trasmette indisponibilità e timidezza, segnala retropensieri, incute timore, disagio e diffidenza. Gli occhi sono la “via regia” verso le emozioni come i sogni lo sono verso l’inconscio. Una tale prerogativa non è giustificata da motivi di ordine anatomico, giacché la conformazione degli occhi, di per sé, non li renderebbe più comunicativi di qualunque altra parte del corpo. Se lo sono è perché negli occhi dei nostri soggetti proiettiamo il potere dei nostri stessi occhi di vedere, di ghermire lo spazio esterno, di inglobare la luce e incorporare gli oggetti, ma anche l’angoscia di essere invasi e ingolfati dal reale che irrompe e corrompe il nostro immaginario. Gli occhi dei nostri soggetti sono tanto più espressivi quanto più è elevata la capacità dei nostri di indagare. Il bambino piccolo costruisce la propria identità rispecchiandosi negli occhi della madre, in essi scopre ciò che la madre pensa di lui. Il neonato ritrova negli occhi materni quel che egli è ma ancora non sa di essere. Allo stesso modo, il fotografo ritrova nei propri soggetti cose di sé che egli intuisce ma non sa definire.
Il ritratto è più reportage che still life. Ciò è senz’altro vero nelle foto di Luca Rubbi, dove la posa non è manipolazione perversa di un corpo trattato alla stregua di una natura morta, oggetto devitalizzato da congelare in una paradossale richiesta di spontaneità, ma è innanzitutto studio della propria relazione dialettica con l’Altro, opportunità di mutuo svelamento identitario in una condizione di nudità condivisa. Il ritratto, così concepito, diventa materia scottante e pericolosa, luogo dell’incontro e del contagio, incubatoio emozionale di significati incontrollabili in continuo divenire. Il ritratto riuscito è portatore di una suggestione vagamente ipnogena, il ritrattista è un incantatore, egli stesso non immune dalla propria malìa. Un gesto fulmineo, una formula familiare: “A me gli occhi”, e ogni volta si rinnova l’incantesimo della fotografia.
Carlo Riggi © 12/2008
Foto di Luca Rubbi
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