Un pescatore, un guardiano, un pensionato, un poeta in cerca d’ispirazione, un fotografo in cerca di luce... Chi occupa quella sedia?
Siamo noi stessi, la nostra anima, e quella delle persone buone che ci hanno lasciato. Una sedia vuota ci parla di quel che c’è, ma più ancora di Chi non c’è. Quello che sarebbe un semplice ritratto ambientato, in absentia si amplifica e rifrange in un ventaglio di infiniti eventi possibili, fino a diventare specchio accogliente e cangiante di molteplici identità in continua trasformazione.
Potenza dell’insaturo, che muove il pensiero, scatena l’immaginazione, avvia derive di senso, dischiude le porte di mondi potenziali. Il vuoto genera tensione perché il nostro apparato percettivo è continuamente alla ricerca di compiute configurazioni gestaltiche. Il primo vuoto ontologico è quello della nascita, quando il bambino si trova privo dell’involucro che lo ha contenuto e protetto per nove mesi, e deve provvedere da sé all’improvviso irrompere di sensazioni “estranee”, compiendo azioni prima non necessarie, come respirare o piangere.
Il vuoto muove il respiro della mente, lì dove il pieno lo saturerebbe procurando soddisfazioni immediate ma fugaci. Sono “vuoti” i paesaggi di Ghirri, ma anche le nature morte di Weston, prive di contesto e di esplicito motivo, domande aperte in attesa di risposta. Vuoti pure i reportage di Salgado o la flânerie di Cartier Bresson, poiché quel che si vede nelle loro foto non è mai tutto, ma rimanda ad altro, a un sottile fuori campo, a quel punctum barthesiano che spesso è proprio assenza, e dunque essenza della fotografia.
Il resto è pornografia, risposte senza domanda, piaceri di un momento, privi di pensiero e di speranza. Speranza come propulsione di cambiamento: non c’è niente di più disperante dell’immutabile sorriso dei politici (che infatti le sedie le occupano, e non se ne schiodano) o della promessa religiosa di un eterno paradiso. A meno che in questo paradiso, oltre che beatitudine e contemplazione di dio, non sia prevista anche qualche sedia vuota. Ove ciascuno di noi, con i propri mutevoli stati d’animo, possa trovare posto e, per un tempo indefinito, fermarsi a respirare il soffio del creato.
Carlo Riggi © 06/2013
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"Dedicato alle persone importanti che sono mancate in questa prima parte dell'anno, a Romano, a mia suocera, ai fotografi che ci hanno lasciato...".
Carlo Riggi