“L’approccio programmatico, frutto delle recenti contestualizzazioni a livello commissionale, estrinseca la necessità di differenziazione decisionale su base territoriale che – al di là delle perplessità iniziali, dovute al permanere di strutture amministrative preesistenti e ormai concrezionate all’interno del tessuto socio-politico – sappia potenziare e incrementare – nella misura in cui tutto questo appaia compatibile con le indicazioni di bilancio previsionale – l’adozione di una metodologia differenziata, ma soprattutto adeguata alle necessità del territorio, che si riveli pienamente atta a svilupparne le potenzialità, nel rispetto delle particolarità locali.”
Avete capito?
Io ho dovuto leggerlo due volte.
In pratica il discorso dice: Abbiamo capito che ogni territorio è diverso dagli altri, e quindi c’è bisogno di interventi su misura. Ci sarà qualche difficoltà iniziale, ma se ci sono i soldi lo facciamo.
Allora, non potevano dirlo così?
Nel suggerire come scrivere, gli autori anglosassoni raccomandano il plain language, cioè il linguaggio semplice.
Attenzione, il “linguaggio semplice” non è la lingua parlata: tra lingua parlata e lingua scritta le differenze ci sono e non possono essere eliminate, e di questo dovrebbero essere consapevoli quei politici che per essere “popolari” usano un linguaggio becero e banale, oltretutto sgrammaticato.
Al contrario, il linguaggio semplice è un modo di scrivere – e di parlare – grammaticalmente e sintatticamente corretto, ma privo di frasi lunghe, contorte e piene di subordinate, caratterizzato invece da una sintassi limpida, con frasi brevi e coordinate fra loro.
Non è facile: come afferma il filosofo Friedrich Nietsche, “Si impara più presto a scrivere in modo grandioso che a scrivere in modo lieve e semplice”.
Semplificare, infatti, presuppone un lavoro di revisione e di sintesi che soltanto una profonda conoscenza del linguaggio e delle sue regole può rendere possibile.
Oltre alla conoscenza approfondita dell’argomento che si sta trattando.
Solo se si conosce a fondo una materia si è in grado di insegnarla in modo comprensibile.
Diffidate di chi vi spiega le cose utilizzando parole difficili, un linguaggio ipertecnico o frasi contorte: probabilmente non sa di cosa sta parlando, oppure vi vuole fregare.
Insomma, contrariamente a quanto comunemente si crede, quanto più sembra semplice, tanto più è stato difficile arrivarci.
Perché semplice non vuol dire banale.
Voi dite: perché non ci parli di fotografia?
Ma è proprio di fotografia che sto parlando, perché la fotografia, così come la scrittura, serve a comporre e a trasmettere un MESSAGGIO.
Ed esattamente come quando si scrive, anche quando si fotografa bisogna essere chiari e semplici, perché il messaggio deve arrivare PULITO, cioè privo di appesantimenti e di elementi inutili che non farebbero altro che sporcarlo e renderlo più difficilmente decodificabile.
Insomma, è quello che in semiologia si chiama “rumore”.
Anche in questo caso non è facile: il principiante fotografa tutto quello che vede, perché “è lì”, ma la fotografia non consiste nel riprodurre quello che è lì, bensì nel ritagliare dal disordine della realtà un insieme ordinato di forme, colori e strutture per creare qualcosa di realmente e originalmente “nostro”.
Bisogna saper isolare, concentrare lo sguardo; cercare forme e geometrie prescindendo da quello che le cose SONO, ma prestando attenzione a come APPAIONO se inquadrate in un certo modo, illuminate da una certa luce.
Le fotografie piene di oggetti, senza un centro di interesse ben definito, possono anche essere gradevoli e ben composte, ma rischiano di non raccontare nulla, perché il messaggio si perde in una folla di elementi inutili.
Volete conoscere un trucco semplice per capire se la fotografia è davvero efficace?
Eccolo: cercate di pensare a come descrivereste quello che vedete.
Lo descrivereste usando molte parole?
Allora c’è qualcosa che non va, probabilmente c’è troppa roba e chi leggerà l’immagine non riuscirà a cogliere chiaramente il messaggio.
Lo descrivereste con una frase corta ed essenziale (soggetto-verbo-complemento-punto)?
Allora la foto è giusta.
Guardate qui.
Questa è una fotografia tecnicamente riuscita, ben composta e gradevole.
Non solo, è stata persino venduta.
Ma è poco più di una cartolina illustrata.
Racconta quello che si vede: l’abitato di Nervi, in Liguria, ripreso dalla passeggiata a mare.
Analizzare con attenzione questa immagine richiederebbe molto tempo, una descrizione lunga e dettagliata, perché c’è tanta roba.
Ma dallo stesso punto di osservazione, senza nemmeno muovere un passo, solamente scegliendo la giusta focale, si possono ottenere fotografie molto più significative.
Le immagini che seguono sono particolari tratti dalla immagine completa per dimostrare ciò che potrebbe essere inquadrato andando alla ricerca di inquadrature più selezionate con un obiettivo di focale adeguata. Provate a descrivere ciò che state vedendo: non vi serviranno molte parole.
Sono immagini semplici e immediate, ma perfettamente in grado di raccontare il luogo e la sua atmosfera.
Osservate con attenzione le riviste di viaggi, di architettura, di natura, e noterete che, in ogni servizio, a poche vedute di insieme si accompagnano fotografie che descrivono singole situazioni, singoli luoghi, angoli caratteristici… insomma, particolari capaci di svolgere l’argomento in modo molto più efficace che non le vaste panoramiche.
Proprio come una frase breve, semplice, fatta di parole accuratamente scelte e correttamente strutturate.
Come questa: “Grazie per l’attenzione, alla prossima”.
Michele Vacchiano © 09/2019
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