Quando si porta a casa lo scatolino pieno di diapositive, occorre fare una prima selezione, scartando tutte quelle tecnicamente o compositivamente sbagliate. La scelta dev'essere drastica...
"Scusa, in che senso?"
"Nel senso che sono brutte."
"Intendi sbagliate tecnicamente?"
"A volte anche quello, ma di solito sono insignificanti, non dicono nulla. E pensare che ho cambiato da poco attrezzatura, ho comprato una macchina migliore. Ho provato addirittura col 6x6, ma sono brutte lo stesso."
"Non avevo dubbi. Ma dimmi, che cosa fai quando ritiri le dia dal laboratorio?" "Beh, le metto in ordine, poi le proietto e poi, deluso, le lascio nella scatola perché tanto non mi verrà mai voglia di rivederle."
Il mio giovane amico era piuttosto depresso. Convinto, come tanti, che la qualità delle fotografie dipenda dall'attrezzatura, non si rendeva conto del perché le sue immagini - scattate con una Contax 167 e una Zenza Bronica 6x7 - continuassero ad apparire scialbe e senza senso. E pensare che non era un novellino: osservando i suoi lavori si poteva notare un senso dell'inquadratura ben sviluppato, una certa attenzione per la composizione, un'inventiva non trascurabile. Eppure, alla fine, non rimaneva nulla, non c'era niente che fosse in grado di colpire, di interessare, di stupire. E non sto parlando di fotografie "sbagliate". C'erano anche quelle, sicuramente, ma erano la minoranza, anche se la loro presenza contribuiva ad abbassare ulteriormente la qualità d'insieme.
Allora mi venne spontaneo suggerirgli quello che sempre ripetevo ai miei allievi della scuola di giornalismo, un trucco che permette di migliorare rapidamente e che si basa sull'importanza dello scarto. Quando si porta a casa lo scatolino pieno di diapositive, occorre fare una prima selezione, scartando tutte quelle tecnicamente o compositivamente sbagliate. La scelta dev'essere drastica: le immagini sovraesposte, gli orizzonti inclinati, i controluce illeggibili e i cestini della carta straccia accanto al soggetto principale vanno buttati via senza pietà. Non si tiene una foto sbagliata "perché è un ricordo": la si getta nella spazzatura, punto e basta. Fatto questo, si osserva con attenzione quello che è rimasto, scartando (e intendo sempre "gettando via") tutte le immagini che non ci soddisfano dal punto di vista espressivo. Chiedersi "perché ho fatto questa foto?" è sintomo inequivocabile della necessità di eliminarla. Terminata anche questa seconda operazione si va a dormire, dimenticando tutto, per quanto possibile, fino all'indomani. Dopo 24 ore, a mente fresca, si riprendono in mano le foto rimaste, non importa quante sono. Lo scopo adesso è quello di evidenziare le tre che ci sembrano migliori. Non bisogna avere paura del confronto: le prime volte è difficile giudicare se stessi, per cui non è male mostrare le proprie immagini ad altri, invitandoli a scegliere le migliori. È una selezione che può richiedere anche parecchio tempo, ma che fretta c'è? Il risultato finale consisterà in una serie di tre fotografie (tre su trentasei!) che avremo ritenute le migliori del rullino. Ebbene, queste tre fotografie dovranno costituire il punto di partenza per quelle che scatteremo d'ora in poi, il gradino da cui partire: non dovremo permetterci di scendere al di sotto di questo livello. Sviluppato il prossimo rullino faremo lo stesso e così via, sempre procedendo per gradini successivi. È frustrante, lo so, ed è anche costoso, ma tanto, che ve ne fate delle foto brutte? Gettarle nella pattumiera o tenerle in un cassetto per non rivederle mai più non è la stessa cosa? E poi, pensate a come sarà contenta la compagna della vostra vita, quando finalmente vi deciderete a fare un po' d'ordine! Posso garantire che il sistema funziona. In tempi molto variabili a seconda delle persone, ma sicuramente funziona. Io continuo ad applicarlo, e sto notando che le immagini che mi soddisfacevano dieci anni fa, certamente oggi non le rifarei.
Revisiono periodicamente il mio archivio e quello che rimane sono poche decine di fotografie, sulle migliaia che scatto ogni anno. Ogni tanto mi chiedo che cosa resterà della mia produzione. A parte le foto pubblicate su libri e riviste, a parte quelle in mano a editori ed agenzie, tutte le altre (quelle ancora da pubblicare) saranno alla fine davvero poche. Molte delle mie immagini, che altri avrebbero ritenuto belle e spettacolari, sono finite nell'inceneritore senza mai essere state pubblicate. Nessuno le ha mai viste e nessuno le vedrà mai, come se non fossero mai esistite. Vorrei arrivare a lasciare di me non più di dieci immagini stupende, e che tutte le altre (sono decine di migliaia, ormai) entrassero nel regno dell'oblìo. Del resto sono convinto che la fotografia sia proprio questo: un lampo effimero di luce, un sospiro di bellezza, una nube di colori che non deve restare a lungo nella memoria degli uomini. A parte poche, storiche, sublimi opere d'arte. La strada, per me, è ancora molto lunga.
Michele Vacchiano © 4/2000
Riproduzione Riservata