Come dicevamo nell'incipit di un precedente articolo
(Attimi di eternità), la fotografia si sostanzia in un atto, semplice e complesso insieme: guardare.
Assumere il vedere come soggetto, porta a rivolgersi con intenzione fotografica verso ogni cosa, talvolta anche le opere altrui. In questi casi diventa difficile stabilire quanto merito del prodotto finale sia da attribuire al fotografo e quanto, per diritto d'autore, all'artefice dell'opera originaria. Essa, per quanto trattata alla stregua di "materia grezza", da destrutturare e ristrutturare attraverso il filtro autoriale del fotografo, è comunque già un'opera compiuta, con una sua precisa preesistente identità. Questo non riguarda solo gli oggetti d’arte, ogni cosa che venga fotografata, sia naturale, artificiale o umana, è un' "opera compiuta". Quanto merito spetta al fotografo e quanto al padreterno nella resa di un bel tramonto? Quanto spetta al fotografo e quanto alla modella - e alla di lei mamma - nella riuscita di un ritratto?.. La fotografia ha come caratteristica specifica il partire da un dato grezzo di realtà che, per quanto trasfigurato e plasmato dall’intervento dell’autore, reclama un proprio legittimo diritto di primogenitura.
La fotografia utilizza elementi definiti, e quasi mai è in grado di attribuire loro ulteriore compiutezza. L’autore - a meno di essere un semplice riproduttore - immette elementi di insaturità, di astrazione, di travisamento, oppure, attraverso la grammatica visiva che gli è propria, suggerisce nuove relazioni spaziali o semantiche tra gli elementi della scena circoscritta. Include o esclude porzioni di spazio, introducendo elementi di arbitrarietà in grado di scardinare la valenza testimoniale (in senso realistico) della scena, virando così verso una interpretazione soggettiva, emozionale o affettiva, quasi sempre interlocutoria.
E se la missione della fotografia fosse proprio questo: di rendere il compiuto "incompiuto"?..
Abbiamo sempre accettato il paradigma secondo cui la fotografia è in grado di isolare e congelare pezzi di spazio/tempo estratti da un flusso in movimento costante... Ma, a ben guardare, potrebbe essere il contrario: lo scatto si insinua negli interstizi di una realtà fatta di punti discreti, perfettamente delimitati, e ne estrapola uno stato di incompiutezza, un vettore polisemico in continuo mutamento, una perturbazione delle strutture grafica e semantica all'interno delle quali prendono avvio nuove derive di pensiero e di emozioni. Questo avviene pure con le foto ricordo: non sono reperti da congelare e conservare, ma crescono insieme a noi, in quel preconscio ausiliario che è l’album di famiglia. Così, attraverso la bellezza e una quota di incompiutezza, la realtà viene sublimata e acquista, nella fotografia, il valore dell'eternità. Non bloccata in una dimensione catatonica, ma liberata e aperta agli sviluppi di una inesauribile tensione trasformativa.
Carlo Riggi © 09/2011
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La relazione tra due elementi della stessa opera viene ridefinita attraverso gli strumenti propri della fotografia. Il risultato è più della scultura originaria, più della somma degli elementi che la compongono, più della relazione tra l’opera e l’emozione del fotografo. L’incompiutezza porta a nuove derive interpretative, in cui l’elemento reale (“oggettivo”), passando per la preconcezione del fotografo, incontra l’emozione del fruitore innescando nuovi originali percorsi di senso.
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Due elementi estranei tra loro, il poster e la saracinesca, nella composizione dell’immagine entrano in relazione dialettica. Questa è la condizione perché la fotografia sia un vero gesto autoriale e non mera riproduzione? L’emozione dell’autore, interpretata attraverso gli strumenti propri della fotografia, non è già di per sé un “elemento estraneo”, in grado di sovvertire o ampliare i significati dell’opera compiuta?..
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Due soggetti combinati tra loro da un agente terzo (un vetrinista). Il fotografo utilizza, tra i suoi strumenti peculiari, un personale punto di ripresa. Basta questo a fare di questa foto una nuova opera originale? La domanda può essere posta in modo diverso: la fotografia è in grado di evocare emozioni diverse da quelle della scena originaria? Solo così possiamo capire se ci troviamo di fronte a un nuovo processo artistico o a una semplice riproduzione dell'opera fotografata.
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Il taglio, l’inclinazione, la profondità di campo, la monocromia, introducono elementi di interferenza tra l’opera originaria e la sua nuova rappresentazione. Il quadro di Hopper qui non è reinterpretato, ma destrutturato e riconsegnato all’incompiuto.
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In questa immagine il fotografo crea, attraverso il dosaggio della profondità di campo, un elemento di spazialità inesistente sulla tela. L’opera originaria non viene riprodotta, ma viene “perturbata”. Il fruitore è chiamato a un lavoro di “ristrutturazione del campo” per recuperare un nuovo ordine gestaltico. Questo rende la fotografia viva, volano di nuovi potenziali processi simbolici.