- Salve Jim, come va?
- Hello, I feel fine today!
- E la macchina?
- I must change my car with Moss, but it’s O.K.
- Allora, buona fortuna!
- Thanks, see you later, after the race.
Jim Clark si allontanò lentamente, tranquillo e rilassato come sempre. Arrivato al box della Lotus, controllò alcuni particolari sulla sua macchina color verde inglese, per poi mettersi a parlare fitto fitto con Colin Chapman, il patron della scuderia anglosassone. Intorno a loro si muoveva Geoffrey Goddard, che, con la sua Leica M2 dotata di Summicron da 50mm, riprendeva la scena. I meccanici della Lotus stavano sistemando le ruote del bolide di Clark: Goddard si era abbassato, alla ricerca di un punto di ripresa particolare. Nè i meccanici né tantomeno Chapman si erano permessi di mostrare alcun fastidio per la presenza del fotografo, tanto era evidente la professionalità e la nonchalance con cui si muoveva Goddard, sicuro del proprio istinto fotografico.
Vincenzo Brunelli, guardò la scena con un misto d’invidia e ammirazione. Lavorava per una piccola rivista della provincia di Bergamo e, su ordine del proprio direttore, aveva dovuto prendere il posto del fotografo ufficiale, ammalatosi improvvisamente. Era molto emozionato di trovarsi in mezzo a tanti personaggi famosi, e non gli sembrava vero di aver avuto l’occasione di scambiare due parole con un pilota, per di più inglese. Possedeva purtroppo solo una vecchia Leica If, con innesto a vite, senza telemetro e con il tempo massimo di otturazione di 1/500 di secondo, corredata dal solito Elmar 50/3,5 ed accessoriata con mirino ottico SBOOI, con la quale sperava di cogliere qualche immagine decente, così da poter accontentare il direttore e fare una buona figura. Certo, rimuginava tra sé, con la modesta If, acquistata per risparmio al posto della più completa e prestigiosa IIIf, (visto poi che le Leica M3 ed M2 erano economicamente irraggiungibili, almeno per il suo stipendio) c’era ben poco da fare rispetto alle attrezzature, costose e complesse, dei grandi fotografi professionisti che abitualmente seguivano le corse automobilistiche. Inoltre l’unico obiettivo che possedeva, il poco luminoso Elmar, dal punto di vista operativo rendeva la Leica al pari di una compatta. E per di più mancava il fondamentale tempo di 1/1000 di secondo e la messa a fuoco andava fatta a stima! Tuttavia l’occasione di passare una domenica a Monza, col tesserino “Stampa” che gli permetteva di accedere ovunque, era una tentazione troppo forte. Lui avrebbe accettato qualunque incarico, pur di fare quel salto di qualità che lo poteva proiettare nel grande giornalismo.
Passò accanto al box della BRM numero 24 di Graham Hill: intravide l’americano Alexander, con una stupenda Rollei biottica. Magari avesse avuto a disposizione quel gioiello!
Si guardò intorno: l’aria era pulita e il cielo terso quel 10 Settembre del 1961. Le tribune dell’Autodromo di Monza cominciavano a riempirsi di una folla rumorosa ed eccitata, ansiosa di vedere trionfare le Ferrari. La competizione al vertice dei due alfieri del Cavallino rampante, Hill e Von Trips, e la presenza dei piloti italiani Bandini, Baghetti e Vaccarella contribuiva a richiamare un pubblico numeroso, più di 40.000 persone. Si respirava un’aria da sagra paesana: famiglie che s’erano organizzate il picnic sull’erba e radioline a tutto volume per seguire il campionato di calcio.
Lentamente Brunelli arrivò nei pressi del box della Ferrari: chiunque avrebbe avvertito l’atmosfera euforica che regnava intorno alla squadra di Maranello.
Sentì l’ingegner Chiti, responsabile tecnico, esprimere preoccupazione per l’eventuale eccessivo calore del pomeriggio. Accanto a lui c’era Louis Klemantasky che, con molta discrezione, eseguiva una serie di scatti con una Leica IIIc dotata di mirino multifocale VIOOH e un tele Elmar 90mm. Anche Brunelli effettuò un paio di scatti, più per emulazione che per convinzione. Era tutto inutile, lo avvertiva distintamente, mentre studiava il grande professionista al lavoro, ammirandone la naturalezza dei movimenti. La mano sinistra di Klemantasky si muoveva con sicurezza nel manovrare il barilotto di messa a fuoco dell’Elmar, per poi passare a posizionare il diaframma nella posizione di lavoro, mentre un istante dopo lo scatto la mano destra del fotografo girava la manopola di avanzamento con una fluidità e sicurezza tali da rendere tutte le operazioni tecniche fluide e delicate come in un balletto. Le immagini di Klemantasky sarebbero state pubblicate sui giornali più importanti del mondo, mentre lui sarebbe stato fortunato se qualcuno in val Brembana avesse visto le sue patetiche foto! Tuttavia doveva almeno provarci.
Improvvisamente dal buio dei box emerse un uomo in tuta bianca, e contemporaneamente s’udì lo scatto rumoroso e complesso dell’Hasselblad di Julius Weitmann. L’usava sempre con un mirino ingranditore, che gli permetteva di ottenere immagini perfettamente a fuoco, anche alla massima apertura del diaframma. La cromatura dell’obiettivo Kodak Ektar emanava riflessi argentei. Alla vista della grossa Hasselblad Brunelli rimase per qualche istante come paralizzato: quella macchina, tanto costosa da risultare inarrivabile per i comuni mortali, lui l’aveva vista solo sulle riviste specializzate. Ed invece qui a Monza c’era chi l’usava come un’apparecchio qualsiasi!
Il direttore sportivo della Scudera Ferrari, Romolo Tavoni, si fece incontro al pilota in tuta bianca:
- Allora, Taffy, ci siamo: questa è la grande giornata!
Tavoni si era rivolto familiarmente a Von Trips, chiamandolo col nomignolo che usavano abitualmente i suoi amici e i parenti.
- Ja Ja, Alles gut……aber…..Was Herr Ferrari hat gesagt?
- Cosa c’è, sei preoccupato? Il Signor Ferrari ha espresso il desiderio che, se tu fossi disponibile, sarebbe meglio che vincesse Phill Hill, sai, per il mercato americano.
Per un istante, di fronte a quell’ordine di scuderia, Taffy era sembrato fragile ed incerto: Tavoni si aggiustò nervosamente gli occhiali, mentre scrutava attentamente il volto di Von Trips, per cogliere eventuali segnali di debolezza, di fronte all’improvviso desiderio, tipico di Ferrari, di cambiare le carte in tavola all’ultimo momento.
Ma il pilota tedesco, dopo un attimo d’apparente smarrimento, aveva ripreso la sua abituale sicurezza.
- Nein, niente d’importante! Alles gut, gehen wir...
Wolfgang Von Trips, il pilota tedesco della Ferrari in testa al campionato di Formula Uno con quattro punti di vantaggio sul suo compagno di scuderia, l’americano Phil Hill, sembrò per un istante estraniarsi dal rumore e dalla folla: il suo sguardo era distante, quasi assente.
Forse si vedeva già con l’alloro al collo, eroe tedesco dell’automobilismo dopo il grande Caracciola.
In quel momento i meccanici spinsero fuori la sua Ferrari 156. Dal nulla apparve Peter Coltrin, l’americano che si era trasferito a Modena per seguire da vicino le vicende della squadra del Cavallino. Anche lui usava una Leica IIIc, ma con un teleobiettivo Hektor da 135mm, che alternava spesso all’Elmar da 50mm. Mettere perfettamente a fuoco un soggetto con un tele da 135mm montato su di una Leica non era certo facile, ma dai risultati sembrava per Coltrin una cosa naturale, e così il 135mm era diventata la sua ottica standard. L’americano iniziò a scambiare battute con i meccanici, che parlavano solo uno stretto dialetto modenese, quasi uno slang per iniziati, incomprensibile a tutti, ma che Coltrin aveva imparato.
- Mi raccomando Taffy, non forzare: con questa macchina non possiamo sbagliare, abbiamo il Campionato in pugno. O lo vinci tu o lo vince Hill. In ogni caso lo vincerà una Ferrari, e questo solo conta!
- Ja, lo so, del resto già ieri...
- Appunto, hai fatto il miglior tempo delle prove e partirai per primo: tranquillo qui a Monza si vince!
- Ja, sicher... aber... Ich... wille...
Nuovamente, parve che Von Trips volesse esternare un dubbio che lo tormentava, ma, dopo aver indossato il casco, si calò sugli occhi i grossi occhiali da corsa. L’uomo s’era trasformato in pilota e il momento delle incertezze superato dagli eventi.
Tavoni continuò a rassicurare Von Trips, mentre il pilota tedesco si sedeva dentro la Ferrari numero 4, che con le due prese d’aria frontali, assomigliava ad uno squalo pronto a divorare la pista. La 156 era la prima macchina da corsa di Maranello con motore posteriore e grazie ad essa Von Trips quell’anno aveva già vinto due gare e due volte era arrivato secondo: ora era ad un passo dal grande sogno. Lo scatto ripetuto dell’Hasselblad 1000 F di Weitmann fu coperto dal rabbioso rumore del motore a sei cilindri che veniva acceso.
Mentre Von Trips si metteva il casco molti fotografi erano accorsi per riprendere l’uscita dal box del futuro campione del mondo. Formavano un piccolo gruppo, quasi una famiglia di privilegiati. Brunelli intravide, più che i visi dei fotografi, una Contax IIIa, una lussuosa reflex Contarex, soprannominata Ciclope, per la sua cellula esposimetrica, che sembrava appunto un occhio (però, che macchina!), diverse Leica M, ed alcune di quelle nuove reflex giapponesi Nikon F, di cui molti parlavano bene.
Per Brunelli possedere una reflex era un sogno irraggiungibile e struggente: pensare di vedere il soggetto ripreso e di metterlo a fuoco con esattezza a qualunque distanza di ripresa era come raggiungere il paradiso fotografico.
Certo a Brunelli sarebbe piaciuto dare una svolta alla sua carriera: smettere una volta per tutte di occuparsi di quella piccola cronaca delle valli bergamasche, sempre uguale e ripetitiva di stagione in stagione. Questa era una grossa occasione, bisognava saperla sfruttare al meglio, ma come?
Il problema era che lui doveva confrontarsi non solo con quei draghi di fotografi ma anche con tutto quel bel di Dio di macchine fotografiche! S’era illuso, lui lì era solo un pesce fuor d’acqua. Perché poi aveva accettato quell’incarico? Cosa avrebbe portato al giornale? Immagini banali e scontate!
Sconfortato Brunelli si avviò verso la curva parabolica. La sua piccola Leichetta, che aveva acquistato con tanti sacrifici e portava con orgoglio, ora gli sembrava quasi un giocattolo: sperava solo di realizzare qualche scatto delle macchine in movimento, mentre gli sfilavano davanti.
Non aveva alternative: o riusciva a realizzare qualche buona immagine, magari dei "mossi", considerando che l’unica certezza di messa a fuoco era quella su infinito, oppure sarebbe ritornato alle amene cronache della Val Trompia e della Val Seriana. Decisamente una bella prospettiva per uno che voleva fare strada nel giornalismo!
Stranamente nel posto che aveva scelto non c’era nessuno dei fotografi professionisti che aveva precedentemente incontrato. Scrollò la testa mestamente: evidentemente i momenti più emozionanti avvenivano altrove.
Alle 15 esatte Lord Howe, Presidente della Commissione sportiva del Royal Automobile Club, abbassò la bandiera tricolore, dando così il via alla gara.
Galleria Ferrari di Maranello. Nikon FM con Zeiss 25/2.8 ZM. Foto di Pierpaolo Ghisetti
Nelle prime tre file c’erano ben cinque Ferrari: per la “rossa” sarebbe stata sicuramente una giornata trionfale.
Al primo giro Brunelli, preparatosi in tempo, fece in tempo a scattare un’immagine del gruppo che sfilava. Gli sembrò di notare che fosse in testa Phil Hill, poi Rodriguez, mentre la Ferrari numero 4 di Von Trips era rimasta indietro, forse al quarto posto. Sicuramente il tedesco, memore dei consigli di Tavoni, non aveva voluto forzare, anche partendo dalla prima fila, o forse qualcosa non lo rendeva del tutto sicuro. Forse l’ombra della volontà del Drake?
L’uomo attese con ansia il secondo passaggio: guardò distrattamente l’orologio, erano le 15 e 06. In quel momento, uscendo dalla curva di Lesmo a duecento all’ora, apparve il gruppo di testa, con le monoposto tutte in fila, pronte ad affrontare la famosa Parabolica di Monza.
Brunelli regolò l’otturatore della macchina su 1/500 di secondo, il tempo di otturazione più veloce che la If possedeva, si assicurò che la ghiera dell’Elmar fosse posizionata sul’infinito, con la punta dell’unghia sistemò il diaframma su f4, poi, più per dovere che per altro, portò il mirino della Leica all’occhio e scattò.
In quel preciso istante...
In quel preciso istante la Lotus numero 36 di Clark tamponò la Ferrari numero quattro di Von Trips.
L’uomo vide distintamente una nuvola di polvere alzarsi dal terrapieno, mentre il bolide rosso, senza controllo, oltrepassava la rete di protezione.
Ora Brunelli cercava di fare avanzare la pellicola per un secondo scatto. Mentre azionava il bottone di carica …
La Ferrari superò il terrapieno come volando.
La nuvola di fumo era aumentata e l’uomo poteva solo intuire che...
La Ferrari di Von Trps compì due giravolte complete in volo.
Ora l’uomo aveva portato di nuovo la macchina all’altezza dell’occhio e...
La “bara rossa”, capovolta, si abbattè sul pubblico assiepato, uccidendo all’istante dieci persone e ferendone almeno altre venti.
Brunelli, emozionato e incredulo, eseguì un altro scatto, mentre la Ferrari ricadeva al suolo e il pilota tedesco veniva sbalzato fuori dell’abitacolo, rimanendo ucciso sul colpo.
Ore 15.07
Baghetti, che seguiva Clark, riuscì, con una brusca sterzata, ad evitare la collisione, mentre i commissari sventolavano le bandiere per segnalare l’incidente; quando passò Bandini, ormai era tutto finito.
Nel frattempo Brunelli, profondamente sconvolto, aveva capito che qualcosa di grave era successo, ma non poteva certo immaginare che, a causa di quell’impressionante carambola, sarebbero morte ben sedici persone. Tuttavia in quella drammatica giornata solo lui, per una serie di casuali coincidenze, era riuscito a cogliere i drammatici attimi del più grave incidente mai avvenuto in Formula Uno: aveva colto, anche se confusamente, a causa della imprecisa messa a fuoco, gli ultimi istanti della fine del sogno mondiale di Von Trips.
La gara non venne sospesa. Il pubblico fu informato che ”la Ferrari di Von Trips era ferma a lato della pista”. In sostanza la maggior parte della gente presente all’Autodromo neanche si accorse della tragica carneficina. Il 32° Gran Premio d’Italia fu vinto da Phil Hill, che si laureò campione del mondo su Ferrari.
Phil Hill fu così, proprio come desiderava Enzo Ferrari, il primo americano a vincere un campionato di Formula Uno.
Tra i piloti presenti in quella tragica giornata, Lorenzo Bandini nel 1967 troverà una drammatica morte nell’incendio della sua Ferrari a Montecarlo, mentre l’anno successivo anche Jim Clark scomparirà in un incidente in una gara di Formula 2 a Hockheneim. Phil Hill è morto a 81 anni nell’agosto del 2008.
Brunelli, dopo aver sviluppato e stampato il negativo scattato quel giorno, vide distintamente nella Ferrari di Von Trips che superava impazzita la rete di recinzione, la falce della Morte che si stava abbattendo sulla folla ancora ignara. Infatti, nonostante la macchina lanciata a 200 all’ora fosse stata bloccata confusamente in volo dall’otturatore della If, i volti delle persone erano ancora tutti rivolti verso la pista, senza rendersi conto che pochi centesimi di secondo li separavano dalla tragedia.
Osservando col lentino d’ingrandimento quell’immagine dai contorni confusi ma terribilmente esplicita, l’uomo capì chiaramente che non sarebbe mai diventato un professionista della fotografia: non poteva pensare di assistere ad eventi come quello e continuare a far scattare un otturatore, mentre il destino di alcuni esseri umani cambiava intorno a lui. Non sarebbe mai diventato come i professionisti che aveva ammirato al lavoro quel giorno a Monza: gente che riusciva a riprendere persone che potevano scomparire tragicamente pochi istanti dopo. Occorreva ben altro che saper dominare tempi, diaframmi e obiettivi: occorreva saper accettare quella realtà, esattamente come i piloti, i tecnici, i meccanici.
Per lui era troppo.
Così tornò senza rimpianti al suo lavoro di giornalista di routine, vendette la Leica e, per il resto della sua vita, non volle più assistere ad una corsa automobilistica.
Tutte le notizie dell’articolo sono tratte da giornali e pubblicazioni d’epoca.
Tutti i fotografi citati usavano le apparecchiature menzionate.
Le diapositive sono state scattate alla Galleria Ferrari di Maranello con Nikon FM e Zeiss 25/2,8 ZM.
Pierpaolo Ghisetti © 11/2008
Riproduzione Riservata
In alto: Partenza dl Gran Premio di Monza e Von Trips su Ferrari 156
La scheda.
La Leica If, versione economica del modello IIIf, prima macchina proposta dalla casa di Wetzlar nel dopoguerra, si differenziava dal modello base per la mancanza dei tempi lunghi e del sistema di mira telemetrico. I tempi di otturazione andavano da 1/30 a 1/500 di secondo. Possedeva pertanto una cassa semplificata, con due staffe sul carter superiore, una per il mirino opzionale, in base alla focale utilizzata, e la seconda staffa per un eventuale telemetro accessorio. In realtà era stata concepita per essere usata in unione alla cassetta reflex Visoflex, di cui rappresentava l’accoppiamento ideale. Fu prodotta dal 1952 in 1188 esemplari.
Una nota personale: la If è stata la mia prima Leica con innesto a vite, macchina cui sono pertanto particolarmente affezionato.