Sono stati di grazia che ogni fotografo ha sempre sognato: la macchina risponde docile ai comandi, l’ottica è quella giusta, quella in cui si ha una totale fiducia, la luce è bassa, calda e laterale, e sembra far vibrare l’aria intorno a noi.
Questi magici istanti li ho vissuti una sera durante una navigazione nel mare Antartico, circondato da centinaia di giganteschi candidi iceberg venati di azzurro e illuminati da una rosea luce crepuscolare, nel silenzio assoluto della serata polare, mentre maestosi albatri volteggiavano intorno alla nave, accompagnandola e talvolta precedendola nelle loro spericolate eppure così naturali evoluzioni.
La macchina era la fedele Hasselblad 503 e l’ottica lo Zeiss Planar 100/3,5: un’accoppiata così perfetta, una simbiosi così assoluta che non riesco ad immaginare niente di meglio.
Protetto dalla mia fedele giacca Patagonia da una temperatura esterna di -10 gradi, ma senza guanti, con le mani ovviamente ghiacciate, anche perché una leggera brezza aumentava l’effetto del freddo, manovravo tempi e diaframmi in completo automatismo, come se qualcuno me li suggerisse in totale fiducia.
I motori elettrici della Plancius, la nave su cui ero imbarcato, ronzavano appena, mentre si susseguivano scene di indescrivibile bellezza, magiche, quasi irreali: immense montagne di ghiaccio scolpite nelle forme più bizzarre, a cupola, a pinnacolo o piatte come enormi tavole, talvolta popolate da foche o da pinguini, mi passavano davanti come le immagini di un film, mentre io continuavo ad inquadrare e scattare. Finito un rullino, inserivo velocemente un nuovo magazzino precaricato, mentre nuovi orizzonti di ghiaccio, sempre mutevoli, sorgevano e scomparivano nella grandiosità dell’Antartide.
Non ricordo quanto tempo è durato: la luce sembrava non spegnersi mai e l’imbarcazione continuava a sfiorare quelle forme fantastiche che poi si perdevano nell’immensità profonda e misteriosa dell’oceano. Poi improvvisamente la luce è cessata, un’interruzione improvvisa, senza passaggi intermedi, come se qualcuno avesse spento l’interruttore di un gigantesco faro.
La perfezione del sogno era finita, la luce magica si era spenta: adesso gli icebergs erano solo masse grige minacciose, e non più luminosi totem di una natura selvaggia ed enigmatica nella sua incomprensibile vastità.
Ma quel sogno rimarrà per sempre: l’Hasselblad e il Planar hanno compiuto il miracolo della memoria.
Si dice spesso che la perfezione non è di questo mondo: non è vero.
Se esiste un obiettivo perfetto questo è lo Zeiss Planar 100/3,5.
Se esiste ancora al mondo un luogo perfetto, questo è l’Antartide.
Pierpaolo Ghisetti © 04/2011
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CARL ZEISS PLANAR 100mm f/3,5 per Hasselblad
Composto da 5 elementi in 4 gruppi, è stato offerto a partire dal 1968 in versione C nera, mentre nel 1975 è stato introdotto il trattamento T*. Si tratta di uno degli obiettivi otticamente più corretti e dall’MTF più alto e costante di tutta la produzione Zeiss per Hasselblad, e, proprio per questo, è anche usato per fotogrammetria.
La versione C (otturatore Compur) è stata prodotta in circa 12.000 esemplari, poi sostituita nel 1982 dalla versione CF, con otturatore Prontor.
Questo obiettivo si segnala per la correzione totale della distorsione (nell’80mm è del 1,5%), e per la resa elevata e costante anche ai bordi. Rispetto al classico normale Planar 80mm f/2,8, il Planar 100mm presenta una risoluzione altissima e senza incertezze, che lo rende adattissimo sia a lavori di riproduzione (stampe, disegni tecnici, quadri), che come ottica da tenere sempre montata sul corpo macchina. Non presenta nessuna caduta evidente di qualità anche col moltiplicatore Zeiss 1,4x.