LA CREAZIONE. ERNST HAAS
Un racconto di Pierpaolo Ghisetti, giugno 2010

Le isole emergevano nebulosamente dal mare, come sospese tra acqua e cielo, immerse in una bruma lattiginosa. Islas Encantadas le aveva soprannominate, a ragione, lo scrittore americano Melville.

E, in effetti, le Galapagos non sembravano realmente esistere, affogate in un elemento che non era né cielo né terra.
A bordo di un piccolo battello Ernst Haas cercava di fissare nella mente tutti i particolari di quella mattina: la barca si stava avvicinando all’isola Fernandina, con placida lentezza, come se ci fosse tutto il tempo di questo mondo. Il profilo scuro del vulcano appariva a tratti tra le nebbie, mentre il cielo si riempiva di fregate di mare, che, come giganteschi aquiloni, volteggiavano in alto senza l’aiuto di un solo battito d’ali.
A bordo di una piccola scialuppa, Haas prese terra, accompagnato da una guida equadoregna. Gruppi d’iguane marine si crogiolavano pigramente al sole, immobili e indifferenti.
Ernst Hass montò sulla sua Leicaflex SL il Telyt da 180mm, avvicinandosi il più possibile a quegli autentici dinosauri in miniatura. Aveva acquistato la sua prima macchina fotografica, una Rolleiflex, nel 1946. All’epoca aveva dovuto dare in cambio della macchina ben diecichili di margarina, perché in Austria, il suo paese natale, in quei difficili anni del primo dopoguerra, il mercato nero era l’unico modo per commerciare Nel 1949 era passato alla Leica a telemetro con ottiche intercambiabili e ora, dopo quasi venticinque anni di professionismo, era arrivato ad usare gli apparecchi reflex. Li trovava insostituibili.
Mentre componeva l’immagine dell’iguana crestata, vide distintamente sul fondo dell’inquadratura i vapori mattutini che si scioglievano sulla lava già rovente. Tutto ciò cosa gli ricordava?
Proprio nell’istante dello scatto un pensiero gli attraversò il cervello.
Ma certo, era l’alba della terra, l’alba della Creazione!

L’isola sembrava appena emersa dal mare, le iguane apparivano come i primi abitatori del mondo, i flutti s’infrangevano impetuosi, nati da un elemento primigenio e dominante. Haas ebbe la sensazione di essere del tutto fuori posto, ma il fascino delle Galapagos gli stava entrando nel sangue e capì che quelle isole, rese mitiche da Darwin con lo studio della teoria dell’evoluzione, potevano diventare la base di partenza per un progetto fotografico formidabile.
Nel gruppo di fotografi professionisti cui Haas apparteneva, la famosa agenzia Magnum, il bianco e nero era considerato il principale veicolo d’espressione per le foto di guerra e per il “reportage” politico e sociale. Capa, Cartier Bresson, Seymour, Rodger, Bishop, in altre parole i fondatori della mitica agenzia, erano tutti accaniti sostenitori di questo linguaggio, crudo e diretto, ma capace di assumere tutte le sfumature del grigio. Haas invece, pur avendo iniziato la sua carriera di fotografo con un reportage in bianco e nero sul ritorno dei prigionieri di guerra, era affascinato dalle prospettive di linguaggio e di comunicazione che la fotografia a colori gli proponeva. Anzi, era stato proprio Capa ad incoraggiarlo a ricercare un modo personale di vedere le cose.

Ora usava prevalentemente la pellicola Kodachrome e ne era entusiasta.
Una lenta iguana terrestre gli passò davanti strisciando, diretta verso una pala d’opunzia spinosa di cui si nutriva. Ernst trovava le iguane marine più interessanti rispetto a quelle terrestri: il loro aspetto mostruosamente primitivo lo stregava; proprio mentre stava cambiando il rullino alla Leicaflex, un gruppo d’iguane marine uscì dall’acqua, dandosi la spinta con un colpo finale di coda. Si posizionò in controluce, in modo che le creste degli animali creassero un profilo dentellato nella luce radente. Chinandosi il più possibile sulla lava ancora calda, con l’esposimetro spot della Leicaflex misurò ripetutamente l’esposizione. La scena offriva un violento contrasto, passando dal nero della lava e delle iguane al pieno controluce: non era facile ottenere quel tipo d’effetto che aveva studiato. Scattò diversi fotogrammi, scalando il diaframma, sicuro che in questo modo qualche immagine avrebbe corrisposto alle sue aspettative.
Il giorno dopo, trovandosi sull’isola Isabela, si rese conto di essere entrato in una magica Arca di Noè, non più ancorata sul monte Ararat, ma persa in mezzo al mare Pacifico, a circa mille chilometri dalla costa dell’Ecuador.

Camminava lungo la spiaggia, stando attento a non pestare le pinne di qualche otaria: erano così numerose, le madri con accanto ai loro piccoli, che era quasi impossibile evitarle. Ogni tanto qualche animale si alzava goffamente emettendo degli striduli latrati, e si avviava verso l’acqua. Appena entrata nell’elemento liquido l’otaria si trasformava da animale terrestre, lento e impacciato, in un perfetto mezzo acquatico. Veloce e sicura entrava ed usciva in continuazione dalle onde, dando l’impressione di giocare con gli elementi e con le compagne. Haas cercò a lungo l’inquadratura adatta, mentre a pochi metri di distanza alcune sule dai piedi azzurri lo guardavano curiose ma per nulla intimorite. Finalmente vide la scena che stava cercando: una madre con il piccolo. Le due otarie stavano dormendo una accanto all’altra: mentre una pinna della madre copriva il ventre del cucciolo, anche la piccola pinna di questi s’era appoggiata al corpo di lei. Sembrava che i due esseri fossero abbracciati nel calore dell’affetto parentale formando un’immagine commovente: la natura in uno dei suoi aspetti più gentili. Con tutta tranquillità mise a fuoco la scena con il 50mm Summicron, riprendendo la scena da diverse angolazioni.

Mentre continuava a camminare lungo la scogliera, quasi inciampò in un gruppo di granchi Grapsus, dal colore rosso intenso ed endemici di quelle isole. Questi si misero subito in movimento verso l’acqua, con la loro caratteristica andatura trasversale. Hass visualizzò subito il contrasto tra il nero della lava e le suggestive macchie rosse. Ormai non pensava più in termini d’immagini ma in sensazioni di colore. Montò velocemente il Summicron da 90mm sulla SL, per ridurre l’inquadratura quel tanto che bastava, e scattò ripetutamente, mentre i granchi gli passavano davanti nella luce dorata della sera tropicale. Camminare placidamente tra otarie, sule, granchi, era un’esperienza fantastica: queste creature non avevano nessun timore dell’uomo, non avvertivano nessuna minaccia nella presenza dell’essere più sanguinario dell’universo. Gli animali delle Galapagos non erano stati toccati dal peccato originale: sembrava di essere tornati ai primi giorni della Creazione, quando la pace e la fratellanza si stendevano su tutta la terra.
Ernst girovagava ogni giorno su un’isola diversa: in una vide le incredibili sule dai piedi rossi, in un’altra il cormorano attero, che aveva perso la capacità di volare, forse perché in quelle isole non aveva competitori. Attraversando i bracci di mare tra un’isola e l’altra spesso incrociava branchi di delfini, mentre i pellicani grigi si lanciavano a picco nell’acqua per pescare grossi pesci. Davanti al Grande Faraglione dell’isola Bartolomé vide all’improvviso qualcosa che gli parve impossibile. No, non ci poteva credere, si trovava all’Equatore e ora c’erano…
Los pinguinos, mira, los pinguinos!
La sua guida gridava eccitata, indicandogli quegli esseri dalla forma a barilotto che guizzavano tra i flutti, avvicinandosi velocemente alla spiaggia sabbiosa. Poi, con un colpo di pinna, i pinguini erano usciti dall’acqua e avevano iniziato a camminare goffamente sulla spiaggia. I pinguini all’Equatore! Sembrava inverosimile eppure, a causa della fredda corrente di Humbolt, che si spingeva dall’Antartico sino alle Galapagos, ciò era possibile. Dietro gli ultimi pinguini Haas vide una grande pinna: un’orca s’era inserita nella loro scia e ora, grazie alla sua potente propulsione, era riuscita ad afferrarne uno. La lotta feroce e violenta si risolse in un attimo: dopo aver sollevato dall’acqua la povera bestia un paio di volte per tramortirla, l’orca s’immerse di colpo, ponendo così fine alla scena straziante. Ernst ne fu profondamente turbato, ma capiva che le leggi della natura erano queste: la forma, il colore, la grazia erano concezioni umane, riflessi della nostra cultura, desideri inconsci di perfezione. Lui cercava un’interpretazione estetica del mondo naturale, ma la Natura vera, come appariva nelle incontaminate Galapagos, era ben altro. Lo capì di colpo quando la guida gli mostrò uno spettacolo sconvolgente: un granchio Grapsus stava divorando un altro granchio della medesima specie; era un vero caso di cannibalismo, rarissimo in natura, ma che alle Galapagos assumeva un nuovo significato. Infatti, queste isole non solo erano piene d’endemismi, sia nella fauna che nella flora, ma spesso gli animali possedevano anche comportamenti unici, regole esclusive di queste isole sperdute e lontane ben mille chilometri dal continente.
Dopo aver discusso a lungo con la sua guida, Haas decise di fotografare le grandi tartarughe terrestri, quegli esseri giganteschi e mitici che avevano imposto il loro nome all’intero arcipelago. Molti secoli prima, le tartarughe giganti abitavano numerose in tutte le isole, ma poi i pirati e i balenieri, golosi della loro carne, ne avevano fatto man bassa, riducendone drasticamente il numero.
I due uomini si misero in cammino all’alba, per sfruttare l’aria fresca del mattino: l’isola di Santa Cruz, dove ora si trovavano, ospitava un buon numero di tartarughe, e la guida conosceva bene gli itinerari che usavano per andare ad abbeverarsi ad una sorgente d’acqua dolce. Dopo diverse ore di cammino, in mezzo ad una giungla tropicale che ricordava ad Ernst quella dell’Amazzonia, finalmente incrociarono sul terreno delle tracce simili a grosse rotaie: erano i segni che il gruppo dei pesanti bestioni aveva lasciato durante il suo spostamento.

Quando finalmente li raggiunsero, Haas rimase senza fiato: sapeva che erano esseri enormi ma alcuni possedevano addirittura un carapace di oltre un metro e mezzo. La guida gli spiegò che erano i più antichi abitanti del pianeta, dato che si calcolava che alcuni di loro avessero oltre centocinquant’anni. Non possedevano nulla della grazia delle tartarughine domestiche: le zampe smisurate si facevano largo come pale nella vegetazione mentre la testa dell’animale mostrava la mandibola adorna di denti aguzzi, predisposti per triturare ogni genere di vegetale. Il loro movimento lento ed inesorabile assomigliava al respiro dell’eternità e Haas si distese per riprendere quegli esseri incredibili alla loro stessa altezza. Dato che non c’erano pericoli di sorta, si avvicinò alle tartarughe sino alla minima distanza di messa a fuoco del 180mm e poi ancora di più, riprendendo solo la parte anteriore, addirittura col 35mm. Sembrava che le tartarughe giganti fossero animate da una volontà indomabile: lente ed inesorabili, tutte le mattine si spostavano dai loro quartieri notturni sino alla sorgente, per poi fare ritorno verso sera. Tutto ciò che accadeva intorno a loro non le riguardava: sfidavano l’eternità con la loro caparbia presenza ed erano perfino riuscite a sopravvivere alle razzie degli uomini, avidi sterminatori. Mentre continuava a riprenderle Haas pensava a tutto ciò, sentendo che quella comunità d’esseri viventi rappresentava ben di più di un insieme di animali strani e mostruosi.
Ora capiva che il suo ambizioso progetto di illustrare la Creazione per immagini poteva essere realizzato con la fotografia. Gli esseri primitivi e straordinari delle isole Galapagos non erano poi tanto diversi dai mostri che avevano popolato la terra nelle ere preistoriche.

Finalmente nel 1971 uscì il suo libro più famoso, intitolato appunto “La Creazione”: decine e decine di splendide immagini a colori illustravano gli elementi primordiali, le stagioni e le creature della terra. Una sinfonia di colori di grande suggestione pittorica eseguita con sensibilità magistrale, di un’assoluta.originalità. Il suo libro venderà oltre 300.000 copie, un successo travolgente a conferma che era ormai arrivato il momento d’esprimere la realtà nei mille colori della natura.
Da quel giorno la fotografia a colori è entrata definitivamente a pieno titolo nella Grande Fotografia. Grazie alla poetica visione di Ernst Haas, spirito libero e innovativo, ci è stato svelato il segreto della bellezza assoluta della natura.

Pierpaolo Ghisetti © 06/2010
Riproduzione Riservata

Fotografie scattate alle isole Galapagos da Pierpaolo Ghisetti con attrezzatura Leicaflex e ottiche Leitz, dal 21/4 Super Angulon all’Apo Telyt 180/3,4

ERNST HAAS biografia
Nato a Vienna il 2 marzo 1921. Nel 1941 si iscrive all’Istituto d’Arti Grafiche di Vienna. Si avvicina alla fotografia stampando vecchi negativi di famiglia. Nel 1946 acquista la sua prima macchina fotografica, una Rolleiflex.
Tiene la sua prima mostra fotografica, sul ritorno dei prigionieri di guerra, nel 1947, le cui foto, inizialmente pubblicate sulla rivista Heute, sono poi riprese da Life. Due anni dopo viene invitato da Capa ad associarsi alla Magnum. Nel 1953 grazie alle sue foto su New York e Parigi, pubblicate da Life, ottiene una vasta popolarità. Vedute impalpabili, motivi policromi e luccicanti riflessi danno un’immagine del tutto nuova delle due famose città. Con questi numeri di Life, pieni di colore e d’immagini astratte, si afferma nel mondo editoriale un nuovo criterio di presentazione delle immagini.
Contrariamente agli altri fotografi della Magnum Haas non si dimostra interessato al mondo politico, ed è invece attirato dalle nuove possibilità espressive della fotografia a colori: nelle sue immagini si avvertono chiaramente i richiami della pittura impressionista. Decide pertanto di dedicarsi alla sperimentazione del colore e all’interpretazione della natura. Esegue un’emozionante serie di fotografie in tutto il mondo che, dopo tredici anni di ricerche, verranno riunite nel famoso libro intitolato “La creazione”, che gli procura una notorietà mondiale. Di lui i critici affermano che ‘dipinge con la macchina fotografica’. Nel 1964 tiene un programma sulla fotografia alla televisione americana.
Affascinato dal mondo degli Indiani del West americano, realizza su di loro e sul deserto un reportage carico di emozioni e di colore, pubblicato sulla rivista Holiday. Fotografa sul set di diversi film, tra cui Taras Bulba, Gli spostati, Il Grande Paese, Piccolo Grande Uomo e La Bibbia
Altri luoghi fonte d’ispirazione sono l’India, i paesi dell’Himalaya e il Giappone.
I suoi lavori sono stati esposti al Museum of Modern Art di New York.
Ernst Haas è morto improvvisamente il 12 settembre 1986.