ANCORA SUL DECLINO DELLA QUALITA'
Michele Vacchiano, febbraio 2003

Molte delle domande rivolte dai lettori alla redazione - pur se formulate in contesti diversi - insistono sullo stesso argomento: perché in Italia non si trovano più certi prodotti? Perché il grande formato è così poco diffuso rispetto ad altri paesi? Perché sembra calare così drasticamente l'attenzione per la qualità d'immagine? Perché, rispetto a dieci o venti anni fa, ci sono sempre meno persone appassionate alla fotografia di alto livello?
Michele Vacchiano ritorna sulla questione e tenta (pur senza pretendere di sviscerare completamente l'argomento) di dare una risposta unitaria a questi quesiti.

Negli anni Ottanta c'era il "fotoamatore", uno che cercava il migliore obiettivo e la migliore pellicola anche per fotografare i figli sulla spiaggia. Nelle riviste dell'epoca si disquisiva sull'effetto tele, sul 135 millimetri e sulla sua superiorità rispetto all'85, sull'importanza estetica della grana nel ritratto. Ho ancora certi numeri di "Fotografare" che dedicano articoli (e ampie pagine pubblicitarie) alla Plaubel Makina, alla Koni Omega o alla Sinar F.

La fotografia era un hobby costoso, soprattutto a certi livelli, per cui in genere si restava fedeli al 35 millimetri. Con ottimi risultati, peraltro, dal momento che la qualità di obiettivi e apparecchi era mediamente elevata e i fabbricanti cercavano di innalzare sempre di più il numero di quelle linee per millimetro così importanti quando si ha a che fare con un negativo poco più grande di un francobollo.

Diversamente avveniva (e avviene) negli Stati Uniti, dove una diversa tradizione e - soprattutto - una diversa disponibilità di materiali fanno sì che anche i dilettanti si cimentino con i formati maggiori.

Come si sa, nei paesi industrializzati il mercato si deve espandere, pena il declino del sistema capitalistico, per cui il mercato cercò ben presto di aumentare il numero dei potenziali clienti, rivolgendosi a quei dilettanti appassionati non tanto alla fotografia in quanto tecnica, macchine, obiettivi e pellicole, quanto semplicemente all'ottenimento di immagini decenti a un prezzo ragionevole e senza troppa fatica.

Nacquero così gli zoom, i minilab da 23 minuti, le reflex facciotuttodame e infine le compatte zoom, via via fino alle macchinette digitali ormai vendute anche da Auchan. Tutte cose che vanno benissimo per fotografare i bambini sulla spiaggia, ma che hanno sortito un effetto collaterale abbastanza sgradevole: il fatto che l'attenzione per la qualità di immagine sia scesa, nel volgere di vent'anni, a livelli piuttosto bassi. Come diceva il mio professore di estetica all'università, l'amore per il bello passa attraverso il bello: chi vive circondato da immagini scadenti finisce per accontentarsi e pensare che quello che ha (e che fa) sia il massimo ottenibile.

Lo stesso avviene in ambito professionale, dove ormai molti fotografi di matrimonio hanno rinunciato alla Hasselblad per passare alla reflex autofocus con zoom 28-210, così risparmiano, tanto gli sposi non si accorgono della differenza, basta spendere poco e che si vedano bene i parenti, il lancio del riso e il taglio della torta.

Lo stesso avviene in ambito industriale, dove il cliente vuole spendere sempre meno, per cui quando gli chiedi 500 Euro più IVA per trascorrere un'intera giornata in mezzo ai campi appena dissodati, tra fango e zolle gelide, a fotografare le sue macchine agricole in grande formato, ti chiede se per caso ti credi Picasso. A lui basta che il cliente veda la sua mietitrebbia e chissenefrega se l'hai fotografata senza basculaggio (tra l'altro, che diavolo è?). Allora ho portato la Contax, gli ho chiesto la metà e lui era tutto contento. Io un po' meno, perché ancora mi deve pagare e forse a questo punto non mi pagherà mai.

Già, perché questo è il secondo problema, avvertito profondamente a livello professionale: il fatto che la gente ha sempre meno soldi, per cui bisogna imparare a fare le cose che si facevano prima in modo più economico, e non importa se l'effetto collaterale è che non vengono altrettanto bene. Se ci pensate, questa è una tendenza generalizzata, particolarmente evidente soprattutto in ambito tecnologico.

In realtà, dopo la grande crisi petrolifera degli anni Settanta (grazie alla quale capimmo che il boom era concluso e che le risorse del pianeta non sono inesauribili), la ricerca tecnologica fu costretta a cambiare strada: da quel momento lo scopo divenne non più quello di produrre cose nuove e strabilianti, ma di continuare a evolversi pur disponendo di risorse sempre più limitate. Il Duemila è arrivato e trascorso: dove sono le auto volanti, le città-giardino, le metropolitane a sospensione magnetica e le vacanze sulla luna che i futurologi ci promettevano negli anni Sessanta? Non ci sono, ovviamente, ma non perché fossero impossibili da realizzare, semplicemente perché oggi costerebbero troppo. In compenso abbiamo una cosa che negli anni Sessanta non poteva neppure lontanamente essere prevista: la possibilità di comunicare in tempo reale con corrispondenti remoti, di acquisire in pochi secondi e a casa propria le conoscenze normalmente disponibili soltanto nelle grandi biblioteche. Perché l'informatica, tutto sommato, costa poco e risolve economicamente una notevole serie di problemi. Grazie al computer abbiamo imparato a fare le cose più in fretta e con meno dispendio di risorse, comprese le risorse umane, per cui dove prima ci volevano tre impiegate adesso ne basta una, inchiodata dieci ore davanti a un PC, e le altre stiano a casa, così l'azienda risparmia.

Naturalmente se l'impiegata sta a casa la sua famiglia potrà contare su un budget più ridotto, consumerà di meno e le aziende dovranno ulteriormente ridurre i costi per far fronte al decremento delle entrate.

Questa situazione di aumento generalizzato della povertà investe pesantemente il mercato fotografico. Pellicole e attrezzature professionali sono sempre meno richieste - se non per lavori specifici e da persone in grado di ammortizzare rapidamente la spesa - per cui (è un'ineluttabile legge di mercato) anche l'offerta precipita. Le possibilità di scelta si riducono. La Fuji Italia ha deciso di non importare più le pellicole piane in confezione Quickload e se io le voglio devo acquistarle in Francia, strapagandole. Oppure mi accontento delle pellicole normali e rispolvero i vecchi châssis da caricare manualmente che da cinque anni tenevo nel cassetto, e meno male che non li ho venduti.

Come conseguenza di tutto questo, si sta verificando un fenomeno "a forbice": a fronte di una grande massa di persone che usano l'immagine in modo del tutto utilitaristico, come si usa uno strofinaccio da cucina, resiste un'esigua minoranza di appassionati caparbiamente convinta che la fotografia sia qualcosa di diverso. Si tratta di dilettanti che amano le cose fatte bene e che sono disposti ad investire nel loro hobby, o di professionisti che accettano di rinunciare a una parte di guadagno per offrire al cliente un prodotto di alto livello, anche se il cliente non possiede (spesso non per sua colpa) gli strumenti per apprezzarlo.

Tra queste due categorie di utilizzatori della fotografia non c'è più via di mezzo: come direbbero gli americani, non esiste una middle class.

All'interno di questi nuovi fotoamatori, attenti e motivati, ci sono coloro che a un certo punto capiscono che il piccolo formato gli va stretto e cercano emozioni nuove rivolgendosi a formati maggiori. Non è detto che questo debba sempre avvenire, ma è una delle possibili evoluzioni. Là dove il professionista spesso rinuncia a lavorare in grande formato perché di fatto il gioco non vale la candela, il dilettante accetta di investire tempo ed energie per scoprire una dimensione del fotografare capace di regalargli ineguagliate possibilità creative: il sogno di tutta la sua vita. Un'altra possibile evoluzione consiste nel rinunciare alla reflex superautomatica per ritornare ad apparecchi che consentano un maggiore controllo e di conseguenza una migliore e più consapevole creatività. Un'altra ancora sta nell'esplorare le vaste possibilità che la tecnologia digitale offre anche alla fotografia di qualità, se solo si oltrepassa la dimensione amatoriale per approdare - budget permettendo - a un livello di maggiore sofisticazione tecnologica.

Oggi i club e le associazioni (fotografiche e non) sono un po' in declino: la gente non ha più il tempo né la voglia di uscire spesso la sera. E così la rete diventa il naturale punto d'incontro di questi nuovi fotoamatori, il mezzo grazie al quale non soltanto si scambiano opinioni, esperienze e notizie, ma si fanno acquisti, si cercano occasioni, si trovano fornitori in grado di procurarci quell'obiettivo, o pellicola, o accessorio che in Italia o in Europa non vengono venduti.

In molti paesi d'Europa il grande formato - abbandonato dai professionisti - è in crescita fra i dilettanti proprio grazie alla rete. Per ora il fenomeno è contenuto, al punto che le riviste specializzate (quelle cartacee) sembrano non essersene accorte. Ma il fenomeno esiste ed è in crescita, anche se per ora è confinato al mondo dei frequentatori della rete (un mondo parallelo, che percorre strade tutte sue e che sembra non comunicare con quello dell'editoria tradizionale). Ma anche questi sono in costante crescita e prima o poi il mercato dovrà fare i conti con loro.

Penso che le riviste, ma anche e soprattutto gli importatori "ufficiali", debbano cominciare a prestare attenzione a questa nuova realtà. Se non lo fanno, rischiano di veder miseramente sfumare una fetta di mercato forse non determinante, ma in ogni caso significativa.

Michele Vacchiano © 02/2003
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