SHEN-HAO: PROVA SUL CAMPO |
Nel mese di ottobre pubblicammo un articolo riguardante le caratteristiche tecniche di una nuova, interessante folding proveniente dalla Cina: la Shen-Hao HZX 45-II A. Michele Vacchiano l'ha sottoposta ad una severa e minuziosa prova sul campo, ed ecco i risultati |
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Va innanzitutto premesso che io non sono indulgente nei confronti delle macchine fotografiche. Nel senso che le sottopongo a prove severe, mettendone al vaglio robustezza, versatilità e affidabilità. Doti irrinunciabili nel grande formato, anche perché da una macchina dopotutto non si chiede altro se non di resistere alle sollecitazioni meccaniche dovute all'uso professionale, specialmente sul campo (robustezza); essere dotata di una gamma di movimenti tale da affrontare e risolvere i più diversi problemi fotografici (versatilità); garantire risultati costanti in ogni situazione di ripresa e un funzionamento stabile nel tempo (affidabilità). Queste sono le caratteristiche che io cerco in una macchina professionale. In più - poiché la mia attività si svolge prevalentemente all'aperto e spesso in situazioni ambientali difficili (alta montagna) - attribuisco un'importanza fondamentale al rapporto prestazioni/peso. Questi sono stati i presupposti con i quali ho sottoposto la Shen-Hao alla mia prova sul campo. PRIME IMPRESSIONI La prima volta che ho avuto fra le mani la Shen-Hao ne ho ricavato due impressioni contrastanti. Da un lato una sensazione di notevole robustezza. Nonostante le dimensioni contenute l'apparecchio è massiccio e relativamente pesante: merito della struttura compatta che caratterizza il legno di tek. Per contro, mi è sembrato che la cura per i particolari e le rifiniture fosse alquanto lontana dall'accuratezza e dall'attenzione che caratterizzano altre marche, come Wista o Ebony. Mi spiego: nell'esemplare in mio possesso (acquistato nuovo) sono presenti graffi e piccoli sbreghi nel legno; la vernice bianca con cui sono incisi i riferimenti numerici lungo la slitta di scorrimento "sbava" in due punti, come se qualcuno ci avesse passato sopra un dito prima della completa asciugatura. Si tratta di difetti minimi, che non pregiudicano assolutamente la funzionalità della macchina, ma che denotano un atteggiamento di scarsa attenzione nei confronti dei particolari. Intendiamoci, sto parlando di una macchina, quella che io ho acquistato: può darsi si tratti di semplice sfortuna, se così si può dire, di un caso assolutamente isolato. Un'altra notazione, più importante. La Shen-Hao monta piastre Linhof-Wista e compatibili. Si tratta di uno standard quasi universale, condiviso da Tachihara, Ebony, Lotus, Walker e molte altre marche. Ora, le piastre Linhof/Wista hanno tutte le stesse dimensioni, 99x96 millimetri, ma c'è una differenza: mentre alcune delle piastre in commercio sono perfettamente rettangolari, altre presentano delle "tacche" nella parte inferiore che ne facilitano l'inserimento all'interno delle graffette metalliche presenti sulla standarta anteriore della macchina. Le piastre di questo secondo tipo sono le uniche adatte alla Shen-Hao. Quelle perfettamente rettangolari, cioè senza tacche, benché caratterizzate dalle stesse dimensioni, si inseriscono male e sforzano sulla parte superiore dell'alloggiamento in legno, rischiando di rovinarlo. Veniamo adesso alle cose davvero serie, e cioè alle impressioni riguardanti i movimenti dei corpi. La Shen-Hao ha una gamma di movimenti decisamente interessante e paragonabile - dati alla mano - a quella garantita da apparecchi ben più blasonati come Ebony o Wisner. E' anche presente (come in altri modelli) un basculaggio verticale sull'asse del corpo anteriore, non dichiarato nelle caratteristiche tecniche ufficiali. Si tratta di un movimento all'indietro (il basculaggio in avanti è solo alla base), limitato soltanto dalla rigidità del soffietto. Questi i pregi. Il difetto sta in una certa durezza dei movimenti: lo scorrimento in avanti della slitta di messa a fuoco (che avviene mediante le solite manopole, la destra per allungare, la sinistra per bloccare) non ha certo la morbidezza della Wista DX, tanto per fare un esempio; mentre il decentramento laterale del corpo posteriore (garantito dal reciproco scorrimento di due robuste piastre in acciaio) richiede un certo sforzo per vincere l'attrito. Anche in questo caso - è bene ribadirlo - non si tratta di difetti tali da pregiudicare il funzionamento dell'apparecchio, ma solo di una sensazione di maggiore fatica e scomodità. Sono convinto che l'uso contribuirà a ridurre gli attriti e a rendere più morbidi i vari scorrimenti. Il serraggio delle manopole è assistito da rondelle in teflon. APRIRE E CHIUDERE LA MACCHINA L'apertura e la messa in esercizio della Shen-Hao sono semplici ed intuitive. Una volta fissata la macchina sul cavalletto, basta sganciare la levetta di fermo, sollevare il dorso di 90 gradi e successivamente la piastra anteriore. Maggiore attenzione va posta nella chiusura dell'apparecchio: i movimenti devono essere tutti azzerati; i movimenti del corpo posteriore (ad eccezione del basculaggio alla base, che deve essere libero per consentire l'abbattimento del dorso di 90 gradi) devono essere bloccati. In caso contrario la Shen-Hao non si chiuderà correttamente (o non si chiuderà affatto). Si tratta di un'attenzione resa necessaria dalla ricchezza e dalla complessità di movimenti di cui la macchina è dotata. Purtroppo non è possibile chiudere l'apparecchio con l'obiettivo montato: una comodità resa possibile, ad esempio, dalla Wista DX (limitatamente a obiettivi di dimensioni contenute quali potrebbero essere un 135 o un 150 mm). I MOVIMENTI Come abbiamo detto, i movimenti della Shen-Hao HZX 45-II A sono ampi e completi. Tanto per fare un paragone (che vale quello che vale), li confrontiamo qui di seguito con quelli della Ebony SV45TE e della Wisner Technical, due apparecchi al top della categoria e decisamente più costosi. Per brevità e leggibilità della tabella indicheremo i movimenti secondo la terminologia inglese, più concisa di quella italiana. Questo il significato dei termini:
I valori del decentramento laterale (shift) e del basculaggio sull'asse verticale (swing) vanno ovviamente moltiplicati per due, cioè intesi sia a destra che a sinistra. Il basculaggio sull'asse orizzontale (tilt) viene indicato da due numeri, seguiti rispettivamente da "f" e "b". Il primo numero, seguito da "f", indica il basculaggio in avanti (forward); il secondo numero, seguito da "b", indica il basculaggio all'indietro (backward). Nella seconda tabella (Movimenti corpo posteriore) la casella "Total shift" indica i millimetri di decentramento laterale ottenuti sommando i movimenti di decentramento dei due corpi (caratteristica presente solo nella Ebony). Movimenti corpo anteriore
Movimenti corpo posteriore
Peso (senza piastra portaottica)
Come si vede, a fronte di una (leggermente) maggiore versatilità, la Ebony SV45TE è caratterizzata da un peso ben superiore (mezzo chilo!), per non parlare della Wisner che pesa quasi tre chili. Per concludere questa parte, possiamo affermare che la Shen-Hao si pone, in quanto a prestazioni, nella fascia medio-alta della categoria, nonostante un prezzo decisamente concorrenziale. CHE COSA MANCA Ci sono cose che avrei voluto vedere nella Shen-Hao e che non ho visto? Ebbene sì: le livelle a bolla, almeno sul corpo posteriore. E' vero che quasi sempre abbiamo una livella a bolla sul cavalletto, ma è anche vero che quando si inclina la macchina verso l'alto e si basculano i corpi per riportarli paralleli alla facciata di un edificio (stiamo parlando del decentramento indiretto, che amplia le possibilità del decentramento classico, ottenuto con la macchina in bolla) la livella serve sui corpi della macchina e non sul cavalletto! Meno grave è l'assenza del decentramento laterale del corpo anteriore: il decentramento posteriore è abbastanza ampio per sopperire alla maggior parte delle necessità di ripresa e di fatto eccede le possibilità di copertura di molti degli obiettivi normalmente usati. IMPRESSIONI DI GUIDA, FINALMENTE! Al confine tra i comuni di Cumiana e Frossasco, nel Pinerolese, c'è l'antica chiesa di san Giacomo. E' la tipica chiesetta campestre come se ne vedono tante in Piemonte, ma la sua posizione, l'armonia delle proporzioni e il grande albero che la fronteggia ne fanno un soggetto interessante. E difficile. Già, perché l'ideale sarebbe fotografarla dalla strada, ma la sola idea di appostarsi ai bordi della Statale 589 fa venire i brividi in testa, a meno che uno non sia votato al suicidio. Perciò bisogna inoltrarsi nei campi, sperando che il contadino non vi spari con la doppietta caricata a sale grosso. Quel giorno il mais era da poco stato raccolto. La pioggia, caduta fino alla sera prima, aveva trasformato in pozzanghere dall'andamento geometrico le impronte lasciate dai trattori sul terreno molle. Trascinavo penosamente nel fango il cavalletto e la valigetta con l'attrezzatura, un po' depresso perché non riuscivo a trovare l'angolazione ideale. Ero sempre troppo vicino alla costruzione e mi ci sarebbe voluto un decentramento davvero notevole per riprendere nella sua interezza il campanile romanico. La situazione era ulteriormente complicata dal solito cavo della luce, che limitava in modo drastico le possibilità di inquadratura. Decisi di fare ricorso al decentramento indiretto, inclinando verso l'alto la camera e basculando in avanti entrambi i corpi, in modo da riportarli paralleli alla facciata. Il soffietto seguiva con la necessaria flessibilità le mie acrobazie. Il problema stava nel cerchio di copertura del Super-Angulon da 90 mm, che non sarebbe stato in grado di affrontare senza vignettare un decentramento così esasperato. L'unico obiettivo in grado di risolvere il problema sarebbe stato l'Apo-Symmar da 210 mm, ma per usarlo mi sarei dovuto ulteriormente allontanare. Non avevo scelta: arrancai ancora di qualche metro in mezzo alle stoppie e al fango e finalmente riuscii a raggiungere un'angolazione accettabile. Dopo aver effettuato le regolazioni necessarie e aver bloccato i movimenti, decisi di sottocorreggere in minima parte la convergenza delle verticali per esaltare l'altezza del campanile. La fotografia (la prima in alto) può dirsi riuscita grazie alle ampie possibilità di movimento della macchina. Con una folding meno "dotata" (sto pensando ai movimenti limitati di certe folding metalliche) sarebbe stato impossibile realizzarla. Altro pregio: la stabilità. Una volta aperta sul cavalletto la macchina appare solida e stabile, quasi come le (più pesanti) Ebony. Una solidità che non viene meno neppure quando si allunga molto la slitta di messa a fuoco o quando si montano obiettivi pesanti. Difetti? Uno solo: la già citata durezza dei movimenti. Bisogna allentare bene le manopoline per superare la resistenza dovuta agli attriti. In montagna la Shen-Hao si rivela un versatile strumento per la fotografia di paesaggio, anche se il genere non richiede - di solito - un uso esasperato dei movimenti. Nella fotografia in bianco e nero del gruppo del Monte Rosa che compare qui a fianco, tuttavia, ho effettuato un significativo decentramento verso l'alto dell'ottica, non per correggere la prospettiva ma semplicemente per innalzare il punto di ripresa, dato che mi trovavo in una posizione piuttosto svantaggiosa. Ma il vero battesimo del fuoco per la Shen-Hao è stato il mio ultimo workshop, svoltosi tra le vigne e i castelli delle Langhe, nella terra del Barolo, del Barbaresco e degli altri grandi vini piemontesi (ma anche la terra di Cesare Pavese, di Beppe Fenoglio, di Macrino d'Alba, dell'epopea partigiana). Una regione ricca di storia, arte e cultura, ideale per i miei workshop foto-cultural-gastronomici. Da San Giuseppe di Monforte una strada panoramica percorre la cresta della langa e - dipanandosi tra i vigneti - giunge alla Cascina del Bricco. La mattina del nove novembre quindici persone armate di strani aggeggi e ancor più strani cavalletti arrancavano lungo questa strada, guardate con curiosità e certamente con sospetto dai rari abitanti della zona, che uscivano dalle loro case per controllare cosa diavolo stessimo facendo, forse temendo che dei geometri o dei misuratori mandati dalla Regione fossero venuti a ficcare il naso in quella pace campestre, preludio di qualche strada alfaltata o di qualche altro obbrobrio moderno. Lì ho scattato le tre immagini che compaiono qui a lato. La prima raffigura un particolare di un muro della Cascina del Bricco. Ho usato un obiettivo Sinar Sinaron 150 mm f/5,6 decentrato verso l'alto. Le altre due immagini, che raffigurano alberi rossi sullo sfondo dei filari, sono state scattate con il solito Sinaron 150 mm equipaggiato con un duplicatore Horseman, per raggiungere la focale di 300 mm. Dato che gli alberi erano più in basso rispetto al punto di ripresa, ho decentrato verso il basso la piastra portaottica per correggere la prospettiva. Il duplicatore Horseman funziona in modo concettualmente diverso dai duplicatori dedicati alle macchine di piccolo e medio formato: questi ultimi, infatti, raddoppiano la focale dell'obiettivo senza variare la distanza di messa a fuoco, mentre il duplicatore Horseman per il grande formato la raddoppia richiedendo una maggiore estensione del soffietto. Ebbene, nonostante l'allungamento notevole (senza contare l'incremento di peso sulla piastra portaottica) la Shen-Hao ha ancora una volta superato il test della stabilità. Dopo una deliziosa - e piacevolmente economica - sosta in trattoria a base di cucina langarola (eccezionali la frittatina alle erbe con salsa di funghi, il brasato al Barolo e la torta di nocciole con zabajone al Dolcetto di Dogliani), affrontiamo un breve pomeriggio di lavoro, limitato purtroppo dal tramonto del sole. Nel parco annesso alla tenuta di Fontanafredda ho modo di provare il Super-Angulon da 65 mm (come un 17 mm nel piccolo formato). La Shen-Hao si comporta egregiamente: pur senza montare il soffietto grandangolare riesco a decentrare e basculare leggermente verso il basso per riprendere la base del tronco. Nonostante possa estendersi fino a 360 mm (ed abbia di conseguenza un certo numero di pieghe) il soffietto standard è ben congegnato e - una volta chiuso - ha uno spessore non eccessivo, che consente l'uso di ottiche anche piuttosto corte (a patto che si utilizzi la piastra rientrante). Dopo aver provato le prestazioni della Shen-Hao come macchina per il paesaggio e l'architettura, ho voluto sottoporla ad una prova ancora più severa, verificando le sue capacità nella tabletop photography. Qui la regola di Scheimpflug regna sovrana e costituisce la condicio sine qua non per lavorare seriamente. Ho preparato un set alla buona sul tavolo della sala (con mille raccomandazioni da parte di Claudia, dato il valore del tavolo): due flash su altrettanti cavalletti, altri due posati direttamente sul tavolo, l'esposimetro da flash, la loupe per esaminare nei più fini dettagli il vetro smerigliato, gli chassis pronti, la Chimay tappo rosso nel frigo, la famiglia a dormire, la notte tutta per me. La fotografia, Giro del mondo, rappresenta la classica sfida della profondità di campo: soggetto dall'andamento orizzontale, piano focale verticale. L'unica scelta possibile è l'applicazione ferrea della regola di Sheimpflug. Il solo basculaggio in avanti del corpo anteriore pone problemi di copertura dell'ottica, che possono essere risolti soltanto ricorrendo anche al basculaggio all'indietro del corpo posteriore. Anche in questo caso le tre linee passanti per il piano del soggetto, il piano dell'ottica e il piano focale si incontreranno in un unico punto. La sola differenza è che il basculaggio del corpo posteriore implica un'alterazione della prospettiva (visibile nella foto) che non si verifica basculando il solo corpo anteriore. L'interessante possibilità della Shen-Hao di basculare il dorso non solo alla base ma anche al centro (axis tilt), pur se di soli dieci gradi, consente di inclinare il piano di messa a fuoco senza perdere la nitidezza visiva del campo inquadrato, là dove un basculaggio alla base richiederebbe un più lungo e laborioso aggiustamento del fuoco. Inutile dire che la macchina ha superato brillantemente anche quest'ultima prova. Un solo limite, superabile: il vetro di messa a fuoco originale (quello fornito insieme alla macchina) ha una luminosità non eccezionale; inoltre non è dotato di lente di Fresnel. Questo, se da un lato facilita l'osservazione con la loupe, dall'altro provoca una caduta di luce ai bordi avvertibile soprattutto in situazioni di scarsa luminosità ambientale (in esterni il problema non sussiste) o con obiettivi non troppo aperti, come ad esempio il Super-Angulon 90 mm f/8. Ovviamente la situazione peggiora in caso di forti basculaggi. Il rimedio è duplice: da un lato è possibile acquistare una lente di Fresnel, dall'altro (in alternativa o in aggiunta) si può sostituire al vetro originale un vetro tipo Beattie Intenscreen o Bosscreen, più brillanti e luminosi. Personalmente ho optato per questa seconda soluzione, ordinando a Taos Photographic un vetro Bosscreen. In conclusione possiamo dire che - a fronte di una certa durezza nell'esecuzione dei movimenti e di qualche rifinitura non perfetta (piccoli difetti che non pregiudicano la funzionalità dell'apparecchio) - la Shen-Hao si dimostra una macchina versatile, dai movimenti ampi e completi, certamente in grado di reggere il confronto con alcuni fra i modelli più prestigiosi esistenti oggi sul mercato. L'unica cosa che non ho ancora sottoposto a test è la durata, ma prometto che tra qualche anno tornerò sull'argomento... A proposito, per chi, come me, fosse curioso per natura e avesse sempre voglia di andare fino in fondo alle cose, dirò che "Shen-Hao" può essere tradotto come "divinità benefica", "spirito buono". Certamente un buon augurio per chi si affida ai propri strumenti di lavoro. Michele Vacchiano © 11/2002 |
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A sinistra: basculaggio del solo corpo anteriore. Può causare vignettatura se il cerchio di copertura dell'obiettivo non è adeguato. In basso, lo stesso angolo può essere ottenuto diminuendo il basculaggio anteriore e basculando in senso opposto il dorso. In questo caso però cambiano i rapporti prospettici, dato che varia l'angolo che il piano focale forma con il piano del soggetto. |