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Esistono fotografie che richiedono attrezzature particolari? A parte la qualità di immagine, non è forse vero che qualunque fotografia può essere fatta con qualunque macchina?
Fino a quando si utilizzano macchine reflex a corpi fissi, si può dire che qualunque fotografia può essere fatta con qualunque macchina, se si prescinde dalla qualità di immagine dovuta alle prestazioni dell'obiettivo e al formato del negativo. Se poi si escludono certi generi piuttosto specialistici (come il ritratto, la fotografia a lunghe distanze o la macrofotografia) e ci si limita alla fotografia turistica o al paesaggio, si può dire che una stampa ottenuta utilizzando per la ripresa una macchina usa-e-getta non differisce, in quanto a inquadratura, da quella realizzata partendo da un negativo di 6x9 cm ottenuto usando una Fuji GW 690.
Esistono però apparecchi che consentono di fare ciò che tutti gli altri non fanno, di ottenere immagini difficili, e a volte impossibili, da realizzare con le macchine a corpi fissi, comprese Nikon F5 e Hasselblad. Si tratta, ovviamente, delle macchine a corpi mobili, che vengono usate non tanto per il vantaggio rappresentato dal grande formato del negativo, quanto proprio per la loro capacità di controllare - e a volte stravolgere, come vedremo negli esempi qui a fianco - parametri quali la prospettiva, la profondità di campo, la forma e la disposizione stessa degli oggetti nello spazio. Tutto questo si traduce in una illimitata potenzialità creativa, che consente di ottenere, in assoluta libertà, non tanto l'immagine di un soggetto esterno, quanto piuttosto l'immagine mentale (la "previsualizzazione" di Ansel Adams) che il fotografo ha sviluppato nella sua mente. Non più l'immagine di una cosa, ma l'immagine del nostro intimo rapporto con la realtà. In ultima analisi, la nostra (unica, personale ed irripetibile) immagine del mondo.
La totale libertà creativa, tuttavia, non può essere soltanto frutto dell'istinto, dell'improvvisazione, dell'estro. La vena artistica e la fantasia sono essenziali, è vero, ma non debbono prescindere dallo studio, dalla disciplina e dalla conoscenza dei propri strumenti di lavoro e delle loro possibilità tecniche. Per fare una fotografia di architettura ci vuole del mestiere, e non soltanto una generica bravura o un colpo d'occhio che qualunque principiante può avere istintivamente sviluppato. Per questo è essenziale acquisire e interiorizzare - fino a renderle istintive - le tecniche e le procedure che ci consentiranno di dire quello che vogliamo noi e non quello che vuole la macchina. Questa è la vera creatività in fotografia.
Fatta questa premessa, che mi sembrava importante, veniamo al commento delle fotografie qui a fianco. Ognuna di esse rappresenta un problema di ripresa che può essere risolto solo (o meglio) ricorrendo a macchine a corpi mobili. Gli esempi sono inseriti (e verranno commentati) in ordine crescente di difficoltà.
Foto 1. Paesaggio invernale a Estoul (Valle d'Ayas).
Il problema di ripresa rappresentato da questa immagine è tutto sommato semplice: si trattava semplicemente di evitare la convergenza delle linee verticali parallele rappresentate dai larici. Il decentramento verso l'alto della piastra portaottica si è rivelato sufficiente a risolvere il problema. L'effetto del movimento è facilmente controllabile sul vetro smerigliato: per questo è fortemente raccmandabile adottare sempre un vetro smerigliato quadrettato. L'obiettivo grandangolare, unito a un diaframma molto chiuso (f/45) ha consentito di ottenere una buona profondità di campo senza dover fare ricorso a movimenti di macchina più complessi.
Foto 2. Tra le rovine del castello di Graines (Valle d'Ayas).
Il castello di Graines, oggi in rovina, era una delle roccaforti della casa degli Challant, vassalli di casa Savoia e signori della valle. Un altro castello, quello di fondovalle, si trova a Verrès, pochi chilometri più in basso. E' perfettamente conservato ed è visitabile a pagamento. Anche in questo caso l'esigenza era quella di tenere sotto controllo le linee verticali ed anche in questo caso ho fatto ricorso al semplice decentramento verticale della piastra portaottica. La necessaria profondità di campo è stata ottenuta con un diaframma molto chiuso (f/64), senza altri movimenti di macchina. Il necessario contrasto tra i grigi è stato ottenuto facendo ricorso al filtro verde, che ha reso brillante e quasi irreale il tono dell'erba. Lo schema ottico dell'obiettivo, composto da poche lenti, e il rigoroso trattamento antiriflessi multistrato della Rodenstock hanno contribuito a mantenere nitida l'immagine nonostante il pieno controluce.
Foto 3. Casa a Rhêmes-Notre-Dame (Valle di Rhêmes).
Lo spazio davanti alla casa, limitato e angusto, imponeva l'uso di un'ottica grandangolare. Ho montato il Super-Angulon da 65 mm e ho decentrato verso l'alto non tanto per raddrizzare le linee (nel campo inquadrato poteva entrare tutto pur mantenendo il dorso in bolla), quanto per evitare di inquadrare un'area eccessiva di terreno. Il limitato cerchio di copertura dell'obiettivo ha causato la leggera vignettatura visibile in alto a sinistra. In più, ho basculato verso destra il corpo anteriore per incrementare la messa a fuoco applicando la regola di Scheimpflug. In questo modo il piano di facciata della casa, il piano dell'ottica e il piano focale sono andati a convergere, generando un'unica retta. Quando si utilizzano fotocamere folding, che di solito non sono dotate di scale graduate come le macchine a banco ottico più sofisticate, l'effetto del basculaggio si verifica direttamente sul vetro smerigliato, preferibilmente ricorrendo a un lentino di precisione per controllare la perfetta messa a fuoco su tutti i punti dell'immagine.
Foto 4. La Punta Rossa della Grivola dalla Conca del Lauson (Valle di Cogne).
Anche in questo caso ho fatto ricorso al decentramento verso l'alto del corpo anteriore ma non, questa volta, per correggere la prospettiva delle linee parallele. Il mio scopo era quello di scurire il cielo e di esaltare il contrasto fra il prato illuminato dal sole e la parete rocciosa, che in quel momento era in ombra per il passaggio di una nuvola. Portando l'obiettivo (uno Schneider Apo-Symmar 180 mm f/5,6) fin quasi al limite del suo cerchio di copertura, ho ottenuto una leggera vignettatura che ha scurito come desideravo la parte alta dell'inquadratura.
Foto 5. Torrente di fondovalle in Valeille (Valle di Cogne).
Qui il problema di ripresa era rappresentato dalla profondità di campo. Volevo mantenere a fuoco tanto il torrente e le rocce in primo piano quanto l'Arolla con il ghiacciaio delle Sengie (a sinistra) e lo sfondo con la Punta di Ondezana (a destra dell'immagine). Nello stesso tempo volevo evitare che le montagne si perdessero in uno sfondo piccolo e lontano, mantenendo invece la loro incombente presenza. Questo di fatto escludeva il ricorso a un obiettivo grandangolare. Volevo anche che l'acqua del torrente, benché in ombra, mantenesse il suo aspetto spumeggiante, evitando i soliti eterei veli alla giapponese che si ottengono con i lunghi tempi di otturazione. Dovevo perciò usare un diaframma piuttosto aperto, che mi avrebbe posto problemi di profondità di campo, soprattutto con un obiettivo da 210 millimetri come quello che stavo usando. L'unico rimedio era ricorrere alla regola di Sheimpflug, basculando verso il basso la piastra portaottica. Dopo avere effettuato questa operazione occorre sempre rifocheggiare, per poi osservare l'effetto ottenuto sul vetro smerigliato. A volte si perde molto tempo in tentativi ed errori: correggere il basculaggio, rifocheggiare, vedere l'effetto che fa, ricorreggere il basculaggio e così via. Le macchine dotate di basculaggio sull'asse oltre (o invece) che di basculaggio alla base richiedono una minore correzione del fuoco.
Foto 6. Salendo verso la vetta del Gran Paradiso dal rifugio Vittorio Emanuele (Valsavarenche).
Anche in questo caso ho basculato verso il basso la piastra portaottica, non solo per ottenere la massima profondità di campo, ma anche per esaltare le dimensioni delle pietre in primo piano. La leggera vignettatura meccanica provocata dal basculaggio ha scurito il cielo meglio di quanto avrebbe fatto un filtro polarizzatore. Obiettivo Schneider Super-Angulon 90 mm f/8.
Foto 7. Torrente glaciale nel Vallone dell'Aouillé. Sullo sfondo, l'Herbetet (Valsavarenche).
Basculaggio verso il basso della piastra portaottica con obiettivo da 180 mm. la vera difficoltà nel realizzare questa fotografia era rappresentata dal vento (una vera e propria tormenta) che ha rischiato per due volte di rovesciare macchina e cavalletto (il panno nero è una vela perfetta) e che ha scaraventato nell'acqua (mi trovavo di fatto in mezzo al torrente) una lastra già impressionata.
Foto 8. Il torrente Soana in autunno (Val Soana).
Foto 9. Il torrente Ayas in inverno (Valle d'Ayas).
Anche in queste due fotografie il basculaggio verso il basso del corpo anteriore ha contribuito ad incrementare la nitidezza grazie all'applicazione della regola di Scheimpflug. L'unica differenza è rappresentata dalla focale utilizzata: 180 mm nella foto 8, 65 mm nella foto 9.
Foto 10. Il lago di Beauregard (Val Pelline).
Il basculaggio verso il basso della piastra portaottica è stato qui utilizzato per aumentare la nitidezza dal primo piano allo sfondo e per esaltare le dimensioni della roccia. A questo movimento ho unito un decentramento verso l'alto del corpo anteriore. Il basculaggio dell'ottica non modifica la prospettiva, cosa che invece avviene basculando il dorso. La spiegazione è intuitiva, dal momento che i rapporti prospettici sono influenzati non dalla posizione dell'obiettivo, ma dalle posizioni reciproche di soggetto e piano focale.
Foto 11. Torrente nel Vallone di Bellino (Val Varaita).
Foto 12. Il torrente Forzo nelle brume del mattino (Vallone di Forzo).
Anche in questi due casi il basculaggio verso il basso della piastra portaottica (obiettivo da 180 mm) ha incrementato la nitidezza. Per quanto riguarda la foto 11, va detto che la scansione non mette in risalto i dettagli, ma da questo negativo (realizzato su pellicola Ilford Delta 100) ho ricavato una stampa di 100x70 cm senza che si rendessero visibili perdite di nitidezza in nessuna delle aree dell'immagine.
Foto 13. "Coffee break" .
Uno studio sulla nitidezza a breve distanza. Ho sistemato il macinino da caffè sul tavolo della cucina, posandolo su un rotolo di tappezzeria a imitazione dello stucco veneziano. Ho curvato il rotolo appoggiandolo al muro per realizzare uno sfondo continuo. Poi ho aperto il cassetto del macinino e ho sistemato il caffè in grani. Per l'illuminazione ho usato tre flash portatili (non da studio), sistemati in modo da configurare la triade classica: luce principale, luce secondaria e luce d'accento. Per esaltare le proporzioni (volevo che il cassetto "saltasse fuori" dal macinino) ho scelto un obiettivo grandangolare da 90 mm. Ho ripreso dall'alto mantenendo la camera in bolla e decentrando verso il basso la piastra portaottica, allo scopo di evitare la convergenza delle verticali rappresentate dai lati del macinino. Poi ho incrementato la nitidezza basculando verso il basso il corpo anteriore.
Foto 14. Zucchette ornamentali .
Anche in questo caso la nitidezza è garantita dal basculaggio verso il basso del corpo anteriore. L'esaltazione delle linee prospettiche (ben visibile se si osserva lo spigolo anteriore del tagliere) è dovuta all'uso di un obiettivo grandangolare. L'illuminazione è stata fornita da una semplice finestra schermata da tendaggi e da un muro bianco in grado di riflettere e diffondere la luce (8 minuti di esposizione a f/64 per compensare il difetto di reciprocità).
Foto 15. Botti.
Qui il problema consisteva nel mantenere a fuoco tutta la lunga fila di barrique. Il semplice basculaggio laterale del corpo anteriore non sarebbe stato sufficiente, per cui ho sommato ad esso il basculaggio (in senso contrario) del dorso, accettando (ben volentieri, dato il soggetto) l'esaltazione della prospettiva indotta da questo movimento. Ho voluto lasciare che il luogo venisse illuminato dalla sola luce disponibile, accettando la dominante "calda" che del resto ci si aspetta di trovare in un simile luogo. Date le condizioni di luce presenti nella cantina e considerando la correzione del difetto di reciprocità (sempre pericolosa e dall'esito incerto quando si lavora a colori), ho effettuato un'esposizione di 5 minuti. Questa fotografia è stata ampiamente commentata in un mio precedente articolo apparso su Nadir e intitolato In cantina.
Bene, questi non sono che pochi, semplici esempi che illustrano che cosa si può fare con una macchina a corpi mobili. A questo punto noi di Nadir aspettiamo le immagini e i racconti dei lettori.
Michele Vacchiano © 11/2002
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