PLASMAT: COSE DELL'ALTRO MONDO |
Che il grande formato sia il regno delle stranezze ormai i lettori di Nadir lo hanno capito. Che l'America sia il regno delle stranezze lo sanno tutti gli europei tranne forse gli inglesi. Mettete insieme America e grande formato e otterrete cose dell'altro mondo. Del nuovo mondo, appunto. |
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La storia del grande formato in America è molto diversa che da noi. L'Europa è spinta verso l'innovazione tecnologica, ha fame di novità e, paradossalmente, tende a distruggere il suo passato, o meglio a museificarlo. Tutto ciò che appartiene a ieri finisce in un museo con una bella targhetta e noi si va avanti. Negli USA è un po' diverso, almeno nel mondo della fotografia. Gli Americani non hanno un'industria fotografica paragonabile a quelle che si sono sviluppate in Europa prima e in Giappone poi. Nel senso che non hanno case come Zeiss, Contax, Leitz o Nikon (e neppure Hasselblad o Mamiya). Però hanno Canham, Wisner, Graflex, Deardorff: aziende di livello artigianale (a parte Graflex) che producono fotocamere di grande formato "all American made". E intendiamoci, non apparecchi come quelli europei o giapponesi, prevalentemente da studio, neri, metallici e supertecnologici, no: loro fabbricano a mano le folding in legno, come si faceva agli inizi del Novecento, utilizzando legni pregiati (tutti rigorosamente americani), pelli di capretti americani per fare i soffietti, ottone americano per le slitte di messa a fuoco e le manopole. All American made, tutto come una volta. Le innovazioni ci sono, eccome, ma sono ben nascoste sotto l'aspetto tradizionale di queste macchine. Un aspetto rassicurante, robusto, affidabile. Molto americano. Ma perché fanno prevalentemente folding in legno (ripeto, a parte Graflex che ha una storia a sé)? Perché - contrariamente a noi europei - loro non hanno paura di ciò che è grande e pesante, anzi, lo amano. E poiché il loro sport preferito non è il baseball ma l'andare a zonzo attraverso i loro territori selvaggi e sterminati (cioè praticare il backpacking), ecco che la folding in legno diventa lo strumento ideale per fotografare, la compagna fedele delle avventure nella natura. Là dove noi usiamo la compatta zoom per risparmiare peso, il turista americano appassionato di fotografia adopera la Deardorrf 8x10". Con la stessa filosofia con cui il suo bisnonno viaggiava portandosi appresso una quintalata di roba, tra sacco a pelo, coperta, fucile e provviste, il tutto caricato su una sella di cuoio che pesava tre volte le nostre su un cavallo molto più grosso e pesante di quelli europei. Inoltre il fotoamatore americano è meno schizzinoso di noi. Non considera la sua attrezzatura un simbolo di status sociale e non gliene frega niente di usare un obiettivo degli anni Cinquanta. Provate a leggere i newsgroup americani dedicati al grande formato: non ce n'è uno che si vergogni ad ammettere che usa ancora il Goerz Dagor o lo Zeiss Protar. E ci si trova pure bene. Perché? Perché loro si dedicano soprattutto al bianco e nero, che amano sviluppare e stampare da soli. E allora la differenza tra un moderno Schneider multicoated e un vecchio Caltar non è poi così eclatante, anche perché quando il negativo ha certe dimensioni le differenze in termini di linee per millimetro fanno ridere i polli. Figli spirituali di Ansel Adams e Edward Weston, hanno dalla loro la fiamma della passione, un'organizzazione capillare di vendita di materiale sensibile e prezzi mediamente più convenienti (in relazione al potere d'acquisto) dei nostri. Da noi un dilettante ci pensa due volte prima di dedicarsi al grande formato. Loro lo fanno senza problemi. Così non stupisce più di tanto che una casa come la Wisner riproponga soluzioni ottiche vecchie di un secolo, rivisitate e adattate ai tempi moderni, certo, ma caratterizzate da quel sapore un po' retrò che non guasta, e che per gli americani (che ancora adoperano il Kodak Ektar di Ansel Adams, un obiettivo che io venderei subito per comperarmi un Rodenstock ultimo modello) rappresenta un rassicurante aggancio con la tradizione. |
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La scatola di mogano contenente il set 4x5" e un obiettivo montato su piastra Wisner. Il topolino bianco è la mascotte della Wisner e compare nelle immagini pubblicitarie della casa statunitense.
Lo schema ottico base di un obiettivo Plasmat "completo" (cioè con entrambi i gruppi montati).
Lo schema ottico di un Plasmat "dimezzato" e corredato con lo Zero Power Corrector. |
PLASMAT: COS'È? Vediamo un po', che cosa vi fa venire in mente il nome Plasmat? Ho fatto questo giochetto con alcuni amici fotografi. Le risposte migliori sono state: un medicinale contro l'acidità di stomaco; una nuova marca di biscotti per l'infanzia, una crema per rassodare i muscoli, una pasta per modellare tipo plastilina. Nessuno ha dato la risposta giusta. Plasmat è
una marca di obiettivi convertibili. Ma che cosa significa "convertibile"? Facciamo un passo (anzi, qualcuno in più) indietro nel tempo, e andiamo a rispolverare un nome glorioso: Zeiss Protar. Il Protar aveva la possibilità di essere utilizzato in due modi: completo (gruppo ottico anteriore più gruppo posteriore) oppure smontato: se si utilizzava il solo gruppo ottico posteriore si otteneva una lunghezza focale più elevata, a fronte però di un ovvio aumento delle aberrazioni (che non venivano più compensate dal gruppo corrispondente). Per questo era necessario utilizzare il Protar dimezzato a diaframmi molto chiusi. Ma il vero punto di forza del Protar era quello di essere un "sistema" e non un singolo obiettivo: diversi elementi separati potevano essere combinati insieme (davanti e dietro l'otturatore) per formare una gamma piuttosto estesa di lunghezze focali. Per molti anni l'uso dei convertibili ha permesso ai fotografi ambulanti di risparmiare peso e spazio, potendo al contempo godere di una vasta gamma di focali. Purtroppo questi obiettivi erano affetti da una maggiore quantità di aberrazioni rispetto a quelli tradizionali. Ma all'epoca non si utilizzavano pellicole pancromatiche, né tantomeno pellicole a colori: una forte aberrazione cromatica laterale non disturbava più di tanto. I convertibili odierni devono invece tenere conto non solo della possibilità di venire utilizzati con pellicole a colori, ma anche e soprattutto di una qualità di immagine a cui i nostri nonni non erano abituati e che oggi il cliente richiede. Pertanto la progettazione di un obiettivo convertibile pone problemi ottici più complessi di quelli che devono essere affrontati nel progettare ottiche tradizionali. È il caso, ad esempio, dei moderni teleobiettivi Nikon per il grande formato, nei quali a un solo gruppo ottico anteriore possono essere applicati gruppi posteriori diversi per ottenere varie lunghezze focali. Non si tratta solo di un risparmio in termini economici (per passare da una focale all'altra non occorre acquistare un nuovo obiettivo completo di otturatore, ma è sufficiente sostituire un gruppo ottico), ma soprattutto di una maggiore comodità di esercizio unita a risultati qualitativamente costanti e uniformi. Wisner, la casa americana produttrice di superbe folding in legno, presenta oggi una reinterpretazione del concetto di obiettivo convertibile, offrendo al professionista (e al fotoamatore, purché americano) la possibilità di utilizzare una vasta gamma di focali combinando pochi elementi di elevata qualità ottica. I diversi elementi che compongono ogni serie sono venduti entro eleganti scatole in mogano rivestite di velluto. Ciascuno di essi riporta, incisa sul bordo, la lunghezza focale propria. Una comoda tabella applicata all'interno del coperchio permette di effettuare le diverse combinazioni alla ricerca della lunghezza focale voluta. |
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Il set destinato al formato 4x5" comprende 5 elementi, combinando i quali si possono ottenere focali che vanno dai 152 ai 450 mm, più un otturatore Copal #1. L'otturatore è stato modificato in modo che ciascun elemento possa essere utilizzato sia come elemento anteriore sia come elemento posteriore. Il set destinato al formato 5x7" (5 elementi) permette di creare focali che vanno dai 182 ai 500 mm (anche qui viene fornito un otturatore Copal #1); il set destinato al formato 8x10", infine, consta di 4 elementi (più un otturatore Copal #3) e permette combinazioni che vanno dai 227 ai 600 mm. È anche disponibile un "master set" composto da sei elementi, che consente la formazione di ben 17 differenti lunghezze focali e che risulta utile a chi utilizza formati diversi. I Plasmat sono prodotti dalla Schneider su specifiche Wisner, ed infine testati ed assemblati negli stabilimenti Wisner di Marion, Massachusetts. Una volta combinati due gruppi, l'insieme che ne risulta assicura un potere risolvente di 60 linee per millimetro al centro dell'immagine (f/22). L'elemento singolo garantisce una risolvenza compresa fra le 45 e le 50 l/mm al centro con aperture relative comprese fra f/32 e f/45. Un risultato più che sufficiente per il grande formato. Quando si utilizza un elemento singolo, sistemato dietro l'otturatore, è opportuno applicare al posto del gruppo anteriore una lente di correzione, denominata Zero Power Corrector e specificamente studiata per la fotografia a colori (per la fotografia in bianco e nero è sufficiente un filtro giallo di buona densità). La sua funzione consiste nel correggere alcune aberrazioni residue presenti nel gruppo singolo (in special modo distorsione, coma e aberrazione cromatica laterale) che renderebbero meno nitide del dovuto le immagini a colori. L'idea è antica e risale al celebre dottor Paul Rudolph, l'ideatore di schemi quali il Planar e il Tessar di Carl Zeiss. L'elemento correttore abbatte drasticamente, fino ad eliminarla, l'aberrazione cromatica laterale ed incrementa la correzione anastigmatica. Per limitare il calo di qualità dovuto alla diffrazione, è opportuno utilizzare l'insieme elemento posteriore + correttore a f/22 con le focali più corte e a f/32 con le focali più lunghe. |
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La tabella riportata qui sotto illustra le lunghezze focali dei singoli elementi e quelle risultanti dalle loro combinazioni. Il set di riferimento è il più completo "master set". |
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Alla Wisner gran parte delle operazioni avviene ancora manualmente. Qui un operaio effettua la pieghettatura del soffietto prima del montaggio.
Sopra e sotto: due immagini scattate da Ron Wisner nella Valle della Morte utilizzando obiettivi Plasmat.
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Il set 4x5" viene venduto via Internet dalla Wisner (www.wisner.com) al prezzo di $3239,50; il set 5x7" costa $3637,70 e il set 8x10" $4107,40. Il master set è venduto a $4810,30. Il filtro giallo per i formati 4x5" e 5x7" costa $65 e quello per il formato 8x10" costa $85. Lo Zero Power Corrector viene venduto a $650. Ogni ordinazione deve essere accompagnata da un acconto pari al 50% della cifra totale. Non si tratta di somme irrisorie, ma si consideri che con una spesa che si aggira intorno ai dieci milioni di lire ci si porta a casa un sistema costituito da ben 17 differenti lunghezze focali (più lo Zero Power Corrector). I tempi di attesa per la consegna sono piuttosto lunghi (qualche mese). Su richiesta vengono inviate ulteriori specifiche tecniche e test MTF. Il vantaggio essenziale di un simile sistema sta soprattutto nella sua versatilità, unita a una notevole comodità logistica. Chi lavora in esterni non può non apprezzare la leggerezza e il relativamente ridotto ingombro della raffinata cassettina in mogano, contenente un corredo che - se costituito da obiettivi tradizionali, ciascuno montato sul suo otturatore - risulterebbe intrasportabile. Come scrive Jean-David Beymer in un suo articolo sull'argomento, "Sicuramente non avrei potuto portarmi in giro 8 Apo-Symmar fino ai 450 mm, anche se uno zio ricco me li avesse regalati." Lo svantaggio è costituito dalla lentezza e dalla macchinosità delle operazioni necessarie a fotografare. Ogni obiettivo va praticamente assemblato al momento dell'uso, il che allunga ulteriormente i già non rapidi tempi della fotografia in grande formato. Un secondo limite è costituito dalla mancanza di focali corte, che relega l'uso dei Plasmat a campi ben delimitati quali il paesaggio, la ripresa in studio e il ritratto, ma rende impossibili le riprese di architettura. Infine, come si vede dalla tabella, le aperture relative massime sono sempre piuttosto ridotte (ogni elemento, se usato singolarmente, ha un'apertura pari a f/13), e sicuramente più chiuse rispetto a quelle che caratterizzano gli obiettivi tradizionali. Questo rende scomodo l'uso dei Plasmat sul campo, e cioè proprio in quelle situazioni di ripresa per le quali essi sono stati pensati. Senza un efficace panno nero e una forte illuminazione ambientale la visione sul vetro smerigliato diventa problematica. Senza contare che quando si applicano i movimenti dei corpi la luminosità si riduce ulteriormente. I diversi articoli (reperibili tanto in rete quanto sulle riviste cartacee) che trattano dei Plasmat parlano di una resa eccellente fino a bordo campo, di immagini ariose e di un forte senso della tridimensionalità. Ho avuto occasione di osservare fotografie scattate con i Plasmat e stampate su riviste, e devo dire che l'impressione generale è stata nel complesso positiva, pur considerando l'appiattimento dovuto alla riproduzione tipografica e al non eccessivo formato dell'immagine. In conclusione - e in assenza di prove sul campo - mi sembra di poter dire che le serie Plasmat della Wisner possono venire apprezzate, in Europa, soprattutto dagli estimatori della fotografia "fine art", o dai professionisti che amano circondarsi di oggetti belli e raffinati, magari dal sapore "tradizionale" e sicuramente capaci di attirare l'attenzione dei clienti snob. Si tratta di oggetti adatti a coloro che amano fotografare in grande formato non tanto perché interessati ai risultati (che in ogni caso sono di buon livello) quanto perché affascinati dal procedimento fotografico in quanto tale. Quelli che apprezzano la lentezza delle operazioni, i tempi lunghi, i gesti misurati, la fotografia come approccio meditativo al soggetto. Non v'è dubbio che l'ulteriore prolungamento dei tempi necessari a realizzare una fotografia, imposto dalla necessità di dover materialmente montare l'obiettivo, abbia per loro il sapore di un gesto antico e mistico, di un rito dalla potente forza evocatrice, un po' come accendersi la pipa con la pietra focaia. Ci metti tre ore, ma vuoi mettere come ti gusti la pipata? |
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Il semplice schema simmetrico dell'Hypergon costituito da due menischi convergenti opposti.
Un vecchio Hypergon prodotto dalla Goerz. La foto in alto mostra il piccolo "ventilatore" in posizione, mentre nella la foto in basso il meccanismo è stato rimosso per consentire la seconda esposizione. Nella cannuccia metallica (che nella foto in alto è a sinistra) veniva inserito il tubicino in gomma entro cui il fotografo pompava aria per mettere in rotazione il ventilatore.
Un'immagine di Bill Brandt scattata nel 1945 ad Hampstead, Londra. |
HYPERGON: LA PALLINA DI LUCE Lo schema Hypergon venne disegnato (sembra) in casa Zeiss agli inizi del Novecento come soluzione al problema della fotografia ultragrandangolare in grande formato. Alcuni affermano che il primo a progettarlo sia stato Emil von Hoegh della Goerz. L'ipotesi che l'Hypergon fosse stato progettato principalmente per la fotografia aerea viene oggi smentita da molti storici della fotografia. Fu prodotto sotto varie marche, tra cui Goerz, Canham e - in tempi recenti - Wisner. L'obiettivo somiglia a una sfera o una bolla. La costruzione ottica, di tipo simmetrico, è costituita da due menischi molto incurvati. L'apertura relativa massima deve essere usata solo per la visione e si aggira intorno a f/20. Per compensare l'aberrazione sferica e l'aberrazione cromatica, molto evidenti data la forte curvatura degli elementi, è necessario chiudere il diaframma a valori minimi. In alcuni vecchi modelli sono presenti solo due diaframmi (f/48 e f/96). In compenso l'obiettivo gode di una eccezionale planeità di campo, di una distorsione praticamente nulla e di un astigmatismo insignificante. Il diaframma non è ad iride ma è costituito da fori fissi praticati in lamine intercambiabili da inserire nella montatura dell'ottica. Wisner mette a disposizione anche un diaframma a disco rotante tipo Waterhouse. L'obiettivo copre un angolo molto ampio, che a seconda dei modelli può raggiungere i 140 gradi. Per compensare la fisiologica ma spaventosa caduta di luce ai bordi dovuta al disegno ottico e bilanciare l'esposizione fu adottato agli inizi un curioso dispositivo meccanico, simile a un piccolo ventilatore. Durante l'esposizione il fotografo soffiava in un tubicino (con la bocca o con una pompetta) e metteva in rotazione il meccanismo, che oscurava la parte centrale e incrementava la quantità di luce che vi passava attraverso a mano a mano che dal centro ci si spostava verso i bordi, grazie al movimento rotatorio delle piccole pale. Una seconda esposizione veniva effettuata rimuovendo lateralmente il piccolo ventilatore, in modo da esporre anche la parte centrale (v. figura). In questo modo l'esposizione veniva compensata. L'americana Canham ripropose l'Hypergon sostituendo al ventilatore un filtro centrale digradante e lo stesso fa la Wisner. I modelli più vecchi non hanno l'otturatore: la bassa sensibilità delle pellicole e il diaframma chiuso necessario a compensare le aberrazioni imponevano tempi sufficientemente lunghi da consentire al fotografo di rimuovere manualmente il tappo dell'obiettivo, contare i secondi (milleuno, milledue
) e rimettere il tappo in posizione. A quei livelli le tolleranze sono enormi e un piccolo scarto di esposizione può comunque essere compensato dalla stampa a mano. Fu prodotto in diverse lunghezze focali, per adattarsi ai differenti formati di ripresa fino all'8x10" (20x25 cm). L'Hypergon veniva utilizzato anche dai fotografi della polizia per riprendere nella sua interezza la scena del crimine. Il fotografo Bill Brandt lo adopera per "monumentalizzare" le sue donne, grazie all'esaltazione della prospettiva tipica degli ultragrandangolari. |
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In Europa non è facilissimo trovare un vecchio Hypergon Goerz sul mercato dell'usato. Negli USA, invece, esistono addirittura siti web che li vendono per corrispondenza. Dopo l'assorbimento della Goerz europea da parte della Carl Zeiss nel 1926, la filiale Goerz americana continuò ad esistere come azienda indipendente e a produrre i suoi obiettivi. Modelli come il Dagor e lo stesso Hypergon furono prodotti fino in tempi recenti e sono di conseguenza abbastanza diffusi. La Wisner ha riproposto l'Hypergon realizzandolo in moderno vetro ottico. La lunghezza focale è pari a 84 mm. Il diaframma al quale si realizza il compromesso ideale fra correzione delle aberrazioni e diffrazione è f/45. I due elementi del sistema ottico devono essere lavorati e testati uno alla volta, il che impone costi di produzione elevati. L'obiettivo non viene corretto dall'aberrazione cromatica lineare, che diventa in ogni caso trascurabile grazie al diaframma a cui si lavora. Il grado di distorsione è inferiore al 5%. L'Hypergon viene fornito con un diaframma Waterhouse a disco rotante. Questa scelta è dettata dal fatto che i fori fissi possono essere realizzati con estrema precisione. Un diaframma a iride non garantirebbe la stessa precisione ai diaframmi più chiusi. La scala dei diaframmi è f/14 (solo per la visione e la messa a fuoco), f/22, f/32, f/45. L'otturatore è dotato delle sole pose B e T (milleuno, milledue
). L'obiettivo deve essere usato con un filtro digradante centrale, per compensare la differenza di luminosità fra centro e bordi dell'immagine. L'Hypergon può essere acquistato per corrispondenza direttamente dalla Wisner (sales@wisner.com) per $2495.00. A questi vanno aggiunti $382.00 per il filtro centrale. Acquistando negli Stati Uniti si è tuttavia soggetti alle spese doganali e a spese di spedizione piuttosto elevate. Come per i Plasmat è richiesto un versamento pari al 50% dell'importo totale all'atto dell'ordinazione. I tempi di attesa sono lunghi quanto per i Plasmat, se non di più. Dal distributore europeo della Wisner (John D.Photography, p.o.box 376, 3700 AJ Zeist, Olanda. Telefono e fax: 0031(0)343 513927; e-mail: jd@johndesq.com; URL: http://www.johndesq.com) si possono acquistare sia l'Hypergon che i Plasmat, con il vantaggio di essere nella CEE e di non dover sottostare alle spese doganali. Michele Vacchiano © 10/2000 |