TI FACCIO UN PANNO NERO! |
... Li invitava a posare per una foto di coppia. Aveva una macchina che ricordo ancora, di legno, gigantesca per i miei occhi di bambino. I due si mettevano in posa e poi lui scompariva sotto un panno nero... |
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Lavorava a Torino, ai giardini reali, là dove c'è il monumento al carabiniere. Il monumento è una roba enorme, ricorda un po' l'altare della patria che c'è a Roma, ma solo per la bruttezza. Ovviamente è molto più piccolo. L'unico vantaggio è che tutt'intorno ha una larga spianata di marmo grigio e allora noi ragazzini ci correvamo su con i pattini a rotelle (e solo quando cadevi capivi quant'è doloroso battere il deretano sul marmo). Ci passeggiavano anche i fidanzatini e allora lui li invitava a posare per una foto di coppia. Aveva una macchina che ricordo ancora, di legno, gigantesca per i miei occhi di bambino. I due si mettevano in posa e poi lui scompariva sotto un panno nero. O meglio, che un tempo forse era stato nero ma che ormai appariva grigio e stinto, maculato qua e là dalle scoloriture lasciate dalla cacca dei piccioni. Armeggiava un po', diceva "pì 'ndarera, pì a snistra, pì a drita, a va bin parèj!", usciva da sotto il suo rifugio, inseriva la lastra e scattava la foto, non senza avere intimato ai due malcapitati (in italiano, perché capissero bene) di mantenere la posizione fino a nuovo ordine. Nel frattempo i sorrisi si spegnevano, gli occhi si chiudevano, le fronti si aggrottavano per il sole. Non so quante di quelle foto avessero i requisiti richiesti da una ragionevole "customer satisfaction". Era forse l'ultimo vero fotografo ambulante di Torino. Non ho mai saputo il suo nome. Ma quella storia del panno nero mi incuriosiva e mi eccitava. Che cosa diavolo c'era di così interessante là sotto da rimanerci per interi minuti ad armeggiare? Lo seppi molti anni dopo, quando per la prima volta mi fu data la possibilità di guardare dentro un vetro smerigliato. Il panorama non era granché (le curve esagerate e i rotolini di ciccia di una modella troppo vecchia e troppo grassa), ma l'emozione fu egualmente profonda. Dovevano passare ancora parecchi anni prima che io mi dedicassi anima e corpo al grande formato. Quando lo feci, iniziai con una Graflex Super Graphic acquistata (usata) da un amico che per hobby compra e vende materiale fotografico d'epoca. Al sabato mattina va al Balon (il mercato delle pulci di Porta Palazzo) e piazza il suo banchetto. Dite quello che volete: a Porta Palazzo ci saranno i drogati, gli squatter e i marocchini che ogni tanto si accoltellano, ma io ci sono nato e mi ci trovo come a casa. Comunque la mia Super Graphic era bellissima e ce l'avrei ancora se non avessi avuto bisogno di un apparecchio un po' più versatile quanto a movimenti. Tra le tante cose aveva un paraluce pieghevole che veniva fuori a scatto e che proteggeva il vetro smerigliato. E' quello che gli americani chiamano focusing hood. Ce lo hanno anche le folding della Toyo, eredi dirette delle Graflex. Teoricamente sostituisce il panno nero. Ho detto "teoricamente" perché quando ci batte il sole è un disastro lo stesso. Inoltre è scomodo se si vuole osservare da vicino il vetro smerigliato, magari con una lente o anche solo a occhio nudo quando si è miopi come me. L'unico vantaggio sta nel fatto che quando è chiuso, ripiegato su se stesso, protegge il vetro dagli urti. Ma perché ci vuole il buio per osservare un vetro smerigliato? Essenzialmente perché gli obiettivi per il grande formato hanno una luminosità ridotta, cioè un'apertura relativa massima che se fosse paragonata a quella delle ottiche reflex apparirebbe gravemente insufficiente. La norma è f/5,6; f/4,5 è una costosa eccezione, mentre f/8 o f/9 sono valori frequenti (si pensi ad esempio agli Apo-Ronar della Rodenstock e agli Schneider G-Claron). Se poi si vuole chiudere manualmente il diaframma per valutare a vista la profondità di campo, allora le cose si complicano: a f/32 (il diaframma di lavoro più usato nel grande formato) il vetro smerigliato appare molto buio, soprattutto quando il soggetto non è investito in pieno dalla luce solare. Quando acquistai la mia prima Sinar (sempre usata e sempre dallo stesso amico) scoprii l'esistenza di un accessorio davvero furbo: una scatola a sezione trapezoidale, con dentro uno specchio, che si applica al dorso della camera e permette la visione di un'immagine diritta, anche se con i lati invertiti. Si chiama "visore reflex binoculare" (binocular refex hood). Lo specchio si muove per consentire di variare l'illuminazione del vetro smerigliato e l'osservazione si fa con entrambi gli occhi. Come se non bastasse, alla finestrella di visione si può applicare una mascherina in plastica che offre un ottimo riparo dai raggi di luce laterali, aderendo perfettamente al viso anche se si portano gli occhiali. Ha persino un incavo adatto ad ospitare le protuberanze facciali dei fotografi più "dotati". Insomma, non è il posto più morbido dove mettere il naso, ma è comunque una gran bella comodità. Peccato che l'accessorio abbia dimensioni paragonabili a quelle dell'intero apparecchio e che costi quanto una reflex di livello medio! Comunque Sinar non è la sola a produrre meraviglie del genere: un accessorio analogo (più economico) è presente anche sul catalogo Toyo. Ovviamente tra i due sistemi non c'è compatibilità. Per chi vuole spendere meno ci sono anche i visori monoculari. Li ho provati, ma sinceramente non riesco a valutare con altrettanta comodità la profondità di campo e la nitidezza dell'insieme. Tutti questi sistemi - comodi e moderni, non dico di no - hanno però uno svantaggio insormontabile, che è quello di essere - oltre che costosi - maledettamente ingombranti. Chi fotografa sul campo non può ragionevolmente portarsi appresso una scatola di latta nera grande quanto una Zenza Bronica equipaggiata con obiettivo normale e magazzino 220! Per cui il buon vecchio panno nero rimane la soluzione ideale. Bene, adesso provate a farvi un giretto sul web e guardate quanto costano i panni neri (dark clothes) venduti per corrispondenza da ditte come Wisner e Calumet; oppure, più semplicemente, andate dal vostro rivenditore abituale e ordinatene uno. Il braccialetto d'argento massiccio che avete regalato a vostra moglie per San Valentino vi è senz'altro costato di meno! Ma che cos'hanno di così speciale? Niente, assolutamente niente che non possiate fare voi stessi con una spesa significativamente inferiore. L'unica cosa che potrebbe essere di difficile realizzazione è l'inserimento del filo di piombo agli orli o agli angoli, con lo scopo di mantenere il panno teso anche quando c'è il vento. Ma a parte il fatto che qualunque mamma dotata di macchina per cucire è in grado di risolvere il problema, ho personalmente constatato che il filo di piombo non è indispensabile, ed anzi rappresenta un peso inutile quando si trasporta l'attrezzatura nello zaino. |
Innanzitutto ci vuole un quadrilatero di stoffa nera. Il velluto con cui sono fatti molti panni neri è costoso e caldo. Inoltre nei suoi peli si annida la polvere, meglio evitare. Il cotone va bene se è spesso; se è sottile lascia filtrare la luce. Io mi sono fatto un panno nero di cachemere. Non è che me la voglio tirare (o spararmi le pose, come si dice a Napoli), ma si trattava di uno scampolo, un fondo di magazzino, e 48.000 lire per un quadrato di cachemere nero di un metro e mezzo per un metro e mezzo ammetterete che non sono molte. Poi l'ho dato alla mamma perché lo bordasse di raso nero, e adesso ho un panno che non lascia filtrare la luce neanche sotto il faro della Vittoria. Oltretutto una coperta di cachemere può tornare molto utile in montagna. Anche quando non fa freddo. Soprattutto se si è in due
Ma non divaghiamo. I panni neri in commercio sono neri all'interno e bianchi all'esterno, sia per riflettere i raggi del sole ed evitare che il fotografo faccia la sauna, sia per ragioni di visibilità. Per le stesse ragioni (evitare di finire sotto un Tir quando si fotografa dai bordi della strada) Wisner vende un panno nero con l'esterno rosso vivo. Valutate voi quanta importanza dare a queste variabili. Nei posti dove lavoro io il pericolo del surriscaldamento non sussiste e la strada carrozzabile più vicina si trova di solito mille metri più in basso. Il mio quadrato di cachemere tutto nero funziona benissimo. L'importante è poter lavorare comodamente senza essere costretti a risistemare in continuazione il panno perché la luce entra anche dal basso. Questo accade con i panni troppo piccoli. Secondo la mia esperienza, 120 centimetri di lato sono il minimo indispensabile; meglio 150. Il quadrilatero di stoffa, se viene semplicemente posato a capannuccia sulla macchina, tende a scivolare in terra. Per ovviare a questo inconveniente sarà opportuno applicare su uno dei lati delle striscioline di velcro, in modo da poter circondare il dorso dell'apparecchio chiudendo il panno subito al di sotto. In alternativa, sono sufficienti dei normali bottoni a pressione. Un'altra soluzione consiste nel ripiegare un lato su se stesso, in modo da formare una specie di oblò, cucendo poi un elastico all'interno dell'apertura così ottenuta. In questo modo si ottiene una specie di tubo che si può "calzare" intorno al dorso dell'apparecchio. Ho un piccolo panno in cotone fatto così. Un'altra soluzione è quella di incollare al dorso della folding delle striscioline di velcro, (facendo lo stesso su un lato del panno). In questo modo il panno nero aderirà soltanto all'esterno del dorso (in pratica, alla cornice in legno o in metallo che circonda il vetro smerigliato), consentendo di inserire lo chassis senza togliere il panno, che potrà essere sempre mantenuto in posizione. Un vantaggio collaterale di questa pratica consiste in una maggiore protezione del vetro smerigliato, quando la macchina viene riposta nello zaino. A questo proposito, io raccomando sempre di proteggere il vetro smerigliato. Se non si dispone di un paraluce pieghevole o degli appositi "tappi" forniti da alcune case, si può ricorrere a un apposito accessorio (una semplice lastra di plastica piegata a "U") che si inserisce come uno chassis e protegge il vetro da entrambe le parti. Viene prodotta dalla Calumet ed è importata in Italia da Manfrotto. Costa una cifra che può apparire priva di senso se riferita all'oggetto in se stesso, ma sostituire un vetro irrimediabilmente rigato (o - peggio - una lente di Fresnel) costa di più. E se il panno nero è rimasto a casa? Niente paura: con un po' di inventiva si può ovviare all'inconveniente. Il collo del maglione può essere "calzato" intorno al dorso della macchina, infilando poi la testa nel maglione stesso; lo stesso si può fare con la giacca a vento, allacciandone il primo bottone al di sotto del dorso. In casi disperati ho fatto lo stesso con una T-shirt, e se proprio siamo alla frutta, anche un cappello può servire alla bisogna. Certo, la messa a fuoco e il totale controllo dell'immagine rischieranno di rivelarsi molto più approssimativi: il buio (quasi) totale è sempre la soluzione migliore. Michele Vacchiano, © 4/2001 |