IL FORUM SUL GRANDE FORMATO: OTTOBRE 2001 |
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Ho deciso di comperare un grandangolo per un banco ottico 4x5. Non intendo spendere milioni per un XL Schneider e quindi devo scegliere tra un 75 mm con 187 mm di cerchio immagine e un 90 mm con 221 mm. Dato che li userò soprattutto per foto di interni di case non sempre spaziose preferisco il 75 mm, ma ho paura che i 187 mm di cerchio immagine non mi consentano i movimenti che avrei usando il 90 mm. Aggiungo che uso anche un 65 mm su medio formato (6x9) senza possibilità di controllo della prospettiva. Dato che il 90 mm su un 4x5 corrisponde al 65 mm sul 6x9, mi conviene puntare sulla lente 90mm che mi dà lo stesso angolo visivo ma anche libertà di movimenti, o è meglio il 75 mm? Quanta libertà avrò con solo 187 mm di cerchio immagine? Purtroppo ho una clientela del tipo "più si vede meglio è..." e se non riesco a convincerli che spesso è vero il contrario... ci siamo capiti, vero? Qual è l'opinione dell'esperto? Flavio d'Inca Tutto dipende dalle esigenze del fotografo (e dei clienti). Per fotografia di interni il 90 mm ha un angolo di campo un po' strettino. In una stanza (ma anche nei saloni di un museo) ci si trova spesso letteralmente con le spalle al muro. Per contro con il 75 mm i movimenti sono limitati: non più di 30 mm in verticale, non più di 26 mm in orizzontale. Tuttavia va detto che l'ampio angolo di campo (105 gradi contro i 100 gradi del 90 mm f/8) rende meno indispensabili i movimenti dei corpi, soprattutto in un interno. Con la macchina in bolla si garantisce l'ortogonalità delle linee senza bisogno di decentrare eccessivamente. In un ambiente alto tre metri, l'obiettivo piazzato a 150 cm di altezza si viene a trovare proprio nel centro geometrico dell'inquadratura. Una scelta attenta del punto di ripresa riuscirà anche a minimizzare la necessità di basculaggi laterali. E' un po' quel che succede nel piccolo formato: i fabbricanti si ostinano a proporre 35 mm e 28 mm decentrabili, che di fatto non servono al fotografo di architettura, che semmai avrebbe bisogno di un 18 mm decentrabile! Per cui a volte è meglio usare il 18 mm in bolla piuttosto che un obiettivo dotato di movimenti ma non in grado di abbracciare l'angolo di campo richiesto. Le attrezzature che lei richiede possono essere reperibili presso un fornitore di attrezzature professionali. Consulti ad esempio il sito www.smaf.it per vedere quale magazzino della catena SMAF è più vicino a casa sua. Per la fotografia di paesaggio nel formato 8x10 consiglierei un normale da 300 mm o un obiettivo di focale inferiore se si vuole dedicare all'architettura. Faccia attenzione al cerchio di copertura: non sono moltissimi gli obiettivi che consentono una gamma di movimenti accettabile nel formato 8x10. Per gli stabilizzatori, le consiglio di consultare il personale tecnico della sede SMAF a lei più vicina. All'indirizzo www.smaf.it controlli qual è il magazzino SMAF più vicino alla sua città. I magazzini SMAF offrono sempre un buon reparto usato e dispongono di personale qualificato per fornire le dovute informazioni. Che cosa dovrei controllare per assicurarmi delle condizioni dell'apparecchiatura? Essenzialmente la tenuta del soffietto alla luce e la solidità dei blocchi dei movimenti. Controlli anche se i movimenti offerti dall'apparecchio riescono a soddisfare le sue esigenze: ad esempio certe folding che non sono dotate di movimenti sul dorso mal si conciliano con le necessità di un fotografo di architettura. Per le mie necessità (foto di architettura) che caratteristiche dovrebbe avere la macchina? E gli obiettivi? Quanti tipi di otturatori esistono? In che cosa differiscono? Come faccio a verificare la compatibilità delle varie componenti? Si legga il mio piccolo corso in 4 lezioni pubblicato su Nadir e intitolato "Arrivano i giganti: il grande formato spiegato a tutti". Mi sembra una buona offerta. Ovviamente dovrei vedere il materiale e verificarne le condizioni. Quale potrebbe essere la valutazione massima per le seguenti ottiche? Spero si renderà conto che è impossibile fare una valutazione via posta elettronica, senza vedere gli oggetti di cui si parla. Il problema non è tanto capire se l'obiettivo è "nuovo" nel senso di mai usato, ma se è "nuovo" nel senso di ragionevolmente recente (almeno quel tanto che basta per garantire un buon trattamento antiriflessi multistrato). Quale mi consiglierebbe per iniziare, ammesso che possano essere adatti alle mie esigenze? Per la fotografia di architettura in formato 4x5"/10x12cm il 120 è già troppo lungo. Per iniziare potrebbe andar bene un Super-Angulon 90mm f/8, reperibile sul mercato dell'usato a prezzi che variano dal milione al milione e mezzo. Meglio però un 75 mm. Ne ho parlato su Nadir: https://www.nadir.it/ob-fot_grande/dorsi_readyload/dorsi-readyload.htm 2) Pola 545 oppure il dorso dedicato della Kodak? Vantaggi e svantaggi? Io continuo ad usare il 545 per fare meno fatica... Caio dice che non va bene, mentre Sempronio dice che va benissimo... Anche secondo me va bene... Ho controllato il meccanismo pressapellicole e mi sembra che il principio sia lo stesso. Alcuni americani lamentano infiltrazioni di luce. Io ne ho avute ma era colpa di confezioni Readyload difettose, non del dorso. 3) Devo inoltre confessare che sono un Cambista: Cambo Legend, con Schneider 210, 65, Nikon 150 e Cambo Wide con Schneider 65 Perché questa confessione? C'è qualcosa di perverso ad avere una Cambo? Personalmente trovo la Legend un ottimo apparecchio per le foto di architettura. Di solito tento di fare foto d'architettura... Appunto. Quando un raggio incidente colpisce una lente, questa lo devia, cioè lo rifrange, secondo un angolo che è funzione di diversi parametri quali lo spessore della lente e il vetro ottico di cui è composta. Nel passaggio dal vetro all'aria il raggio viene nuovamente deviato (cioè rifratto) in senso opposto, secondo un angolo uguale a quello di incidenza, da cui consegue che il raggio rifratto che esce dalla lente è parallelo al raggio incidente. Se noi prolunghiamo le semirette così ottenute, abbiamo che i prolungamenti del raggio incidente e del raggio rifratto incontrano l'asse ottico in due punti, che chiamiamo punti nodali (o nodi). Il prolungamento del raggio incidente incontra l'asse ottico nel punto nodale (o nodo) posteriore; il prolungamento del raggio rifratto incontra l'asse ottico nel punto nodale anteriore. Ovviamente quello che vale per la singola lente vale anche per un sistema composto da più lenti, come l'obiettivo fotografico. A che cosa serve conoscere la posizione dei punti nodali? Ad esempio, il calcolo della distanza obiettivo-soggetto che si effettua in macrofotografia per determinare il valore del rapporto di riproduzione va effettuato tenendo conto del punto nodale anteriore. Al contrario, il calcolo della lunghezza focale (distanza fra obiettivo e piano focale) va determinata partendo dal punto nodale posteriore. La Mamiya Press era una macchina robusta e affidabile, fatta per l'uso giornalistico, perciò semplice ed essenziale ma con tutto ciò che serve. Se le condizioni di conservazione sono buone, vale la pena provare. Sul formato 13x18 si considerano obiettivi normali sia il 210 che il 240 mm, ma se il suo genere è il ritratto le conviene rivolgersi a un obiettivo di almeno 300 mm. E' necessario fare ricorso al disegno ottico tradizionale, perché gli schemi tele hanno un cerchio di copertura insufficiente per il formato. Un colpo di fortuna sarebbe riuscire a trovare, sul mercato dell'usato, un Fujinon W 300 mm f/5,6. Si tratta di un obiettivo non più in produzione ma comunque dotato già di trattamento antiriflessi multistrato e di un cerchio di copertura che eccede tranquillamente il formato 20x25! E' montato su otturatore Copal #3, come del resto quasi tutti gli obiettivi a schema tradizionale superiori ai 240 mm. Un'altra scelta interessante potrebbe essere il Rodenstock Apo-Ronar 300 mm f/9 (montato su Copal #1), oppure l'Apo-Ronar 360 mm f/9 (Copal #3), soprattutto se si prevede di effettuare lavori a distanza ravvicinata (gli Apo-Ronar sono ottimizzati per rapporti di riproduzione intorno a 1:1 ma - purché opportunamente diaframmati - funzionano bene anche a distanze medio-lunghe). L'unico svantaggio di questi obiettivi è rappresentato dall'apertura relativa massima non eccezionale che potrebbe dare qualche problema sul vetro smerigliato in condizioni di scarsa luminosità ambientale. L'esigenza del lettore è quella della massima incisione, per cui la scelta potrebbe cadere su Rodenstock. Se non si avverte la necessità di un'apertura relativa massima troppo elevata consiglierei l'Apo-Ronar 360 mm f/9, il quale tra l'altro è ottimizzato per riprese ravvicinate (ideale quindi per lo still-life, la pubblicità, la "tabletop photography"), pur funzionando in modo superbo anche alle lunghe distanze, a patto di chiudere convenientemente il diaframma. La costruzione ottica del Ronar è tale da garantire un'incisione e una nitidezza impressionanti a qualunque rapporto di riproduzione, grazie all'elevato microcontrasto. Le indicazioni del lettore sono un po' vaghe per decidere. Lui parla di Graflex, ma a quale modello si riferisce? Il saperlo non è una questione accademica, dal momento che i diversi modelli differiscono in quanto a prestazioni. La Super Graphic, ad esempio, è caratterizzata da una gamma di movimenti superiore ai modelli precedenti. Il lettore dice poi che la macchina è corredata da due obiettivi. Ma di che marca e di quale focale? Se si tratta dei classici Graflex Optar, realizzati per Graflex dalla Wollensack, devo dire che si tratta di ottiche alquanto datate, prive del trattamento antiriflessi multistrato che caratterizza gli obiettivi di più recente costruzione. Ciò non toglie che possano rivelarsi valide: personalmente ho realizzato, pubblicato e venduto molte fotografie scattate con il Graflex Optar 135 mm f/4,7. L'unico accorgimento consiste in una buona illuminazione, evitando - se possibile - le riprese controluce. Con una illuminazione adeguata e "classica" (luce principale, luce secondaria e luce d'accento) gli obiettivi Graflex Optar sono perfettamente in grado di restituire fedelmente i colori di un quadro, o di rendere giustizia alla texture superficiale di un oggetto d'arte. |