IL FORUM SUL GRANDE FORMATO: MAGGIO 2001 |
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Perché dovrei acquistare una macchina di grande formato, ingombrante ed antiquata, quando esistono apparecchi come la Cambo Wide che consentono di fotografare sul 4x5 pollici con maggiore comodità? Ermete Parolieri
La Cambo Wide è una fotocamera che consente di montare dorsi per il formato 4x5" nonché dorsi per pellicola in rullo. Non ha il soffietto e gli obiettivi in dotazione (Schneider e Rodenstock) sono dotati di elicoide di messa a fuoco. La gamma delle focali disponibili va dai 47 ai 90 mm. La piastra portaottica è dotata di un meccanismo (regolato da manopole) che le permette di scivolare in ogni direzione rispetto al piano pellicola, garantendo sia il decentramento orizzontale sia il decentramento verticale. Teoricamente la Cambo Wide permette riprese a mano libera grazie ad una maniglia generosamente dimensionata in cui è alloggiato il pulsante dello scatto flessibile. La differenza tra la Cambo Wide e una folding di grande formato sta nell'assenza del soffietto, assenza che da un lato garantisce il perfetto parallelismo tra piano focale e piano dell'ottica, ma dall'altro impedisce qualunque movimento di basculaggio (e quindi di controllo della profondità di campo). Inoltre, per ragioni squisitamente meccaniche attinenti alla montatura elicoidale degli obiettivi, non è possibile montare focali superiori ai 90 mm. Il nome "Wide", del resto, indica chiaramente i campi di applicazione di un simile apparecchio, concepito essenzialmente per la fotografia di architettura. Può ovviamente essere usato anche per le riprese di paesaggio, con i già citati limiti costituiti da un lato dall'assenza di basculaggi, dall'altro dalla scelta delle focali, limitata al campo grandangolare. Perché lei non parla mai della fotografia con foro stenopeico? Ho visto su internet che esistono siti specializzati e che molte case mettono in commercio macchine e kit di montaggio. Mi sembra che il vantaggio di avere sempre tutto a fuoco non sia da trascurare! Irene Biavacci La fotografia con foro stenopeico è un hobby coltivato soprattutto negli Stati Uniti, dove il grande formato è diffuso anche fra i dilettanti. Molti fabbricanti mettono in commercio piastre anteriori forate, adattabili alle più diffuse fotocamere a banco ottico e folding, oppure vere e proprie macchine fotografiche appositamente progettate per la "pinhole photography". Queste "camere obscure", molto simili a quelle usate dai pittori del Rinascimento, non sono dotate di soffietto, dato che il foro stenopeico non necessita di messa a fuoco. I diametri dei fori offerti possono variare: il diametro del foro è paragonabile alla lunghezza focale di un obiettivo: i fori di diametro maggiore si comportano, da un punto di vista prospettico, come obiettivi grandangolari, mentre i fori più piccoli equivalgono a obiettivi di focale proporzionalmente maggiore. Ovviamente, quanto più il foro è piccolo tanto maggiore è la nitidezza. Per dare un'idea, un foro di 0,45 mm di diametro equivale a una focale di 150 mm (normale nel formato 4x5") ed è paragonabile a un diaframma f/335. Richiede circa 60 secondi di esposizione con una pellicola da 100/21° ISO in piena luce solare, ovviamente senza tenere conto della compensazione richiesta dal difetto di reciprocità, che varia da emulsione a emulsione. I fori delle macchine attuali sono ricavati in piastre di ottone lavorate al laser, il che garantisce l'assenza di sbavature unita alla perfetta circolarità del foro: una precisione ben diversa da quella offerta dai fori autocostruiti levigando con una limetta una lastrina di alluminio segnata dalla punta di un chiodo! In ogni caso, nonostante i perfezionamenti tecnici dovuti all'affinamento delle tecnologie costruttive, la "pinhole photography" non è niente di più di un divertente hobby, una curiosità che i fotoamatori americani possono soddisfare con una spesa non molto superiore ai cento dollari. La qualità delle immagini ottenute, infatti, non è tale da soddisfare l'occhio esigente del professionista. Come è possibile che esistano addirittura siti internet e riviste dedicati alla cosiddetta lomografia? Ho visto delle fotografie orribili e sbagliate fatte con quella macchinetta russa che sembra faccia andare in visibilio tutti quanti. Che parliamo a fare di qualità di immagine? Noi professionisti che ci danniamo l'anima a fornire al cliente una foto perfetta scattata in grande formato, dobbiamo fare fagotto? Robertino Cocchi La fotografia è una forma di comunicazione. Fatte le debite differenze (che sono sostanziali), possiamo parlare di codice fotografico così come parliamo di codice linguistico. Anche il linguaggio è una forma di comunicazione, la più diffusa, e in quanto tale è soggetto a una continua usura, a una continua evoluzione. Oggi noi non parliamo più come Dante Alighieri, tant'è vero che le pagine della Divina Commedia hanno tre righe di testo e ventisette di spiegazione. Ma anche ai nostri tempi il linguaggio si diversifica a seconda di chi lo usa e a seconda delle circostanze. Il giovane truzzo di periferia parla un italiano che al professore di liceo appare quasi incomprensibile: eppure entrambi parlano "italiano"; il linguaggio degli avvocati non è quello degli informatici e quello degli zoologi non somiglia alla lingua usata dai giornalisti sportivi (che per quanto mi riguarda mi suona del tutto aliena). Quando dal linguaggio settoriale si passa al linguaggio poetico, le differenze si fanno ancora più marcate. Inutile rilevare le differenze tra poeti contemporanei quali ad esempio un Quasimodo e un Montale, un Saba e un Ungaretti; e se vogliamo uscire dall'ambito nazionale, che dire di Kerouac, Bukowsky e altri che hanno fatto - del mezzo di comunicazione in loro possesso - un uso così originale e creativo? Ognuno ha il suo stile, unico ed irripetibile. E questo vale sia per chi scrive che per chi fotografa. Quello che determina il successo di uno stile piuttosto che di un altro è essenzialmente il gradimento del pubblico, a sua volta strettamente connesso con il gradimento da parte del mercato. I patiti della lomografia fanno circolare le loro produzioni entro un ambito ristretto, un circuito alternativo che per adesso resta fuori dai normali circuiti artistici e commerciali. Può anche darsi che un giorno questo modo di comunicare con le immagini si imponga come una nuova moda, ma la cosa non mi preoccupa più di tanto: il mercato avrà sempre bisogno di fotografie ben fatte e di elevata qualità. Il problema vero è che si sta assistendo, a mio parere, a uno strano fenomeno "a forbice": da un lato il grande pubblico è sempre meno attento alla qualità di immagine, sacrificata in nome della comodità operativa e della economicità di utilizzo, così si vendono sempre meno reflex e sempre più compatte digitali; dall'altro si sta riscoprendo (più lentamente in Italia che altrove) il valore di un'immagine ben fatta, ben composta, nitida ma anche suggestiva, che sappia imporsi come fortemente evocativa grazie all'uso sapiente del mezzo tecnico. Questa dicotomia sempre più marcata porta ad incanalare la produzione fotografica lungo due strade inconciliabili: da un lato il mercato delle immagini di qualità, sempre più esigente e raffinato; dall'altro il mercato delle immagini di rapido consumo, che si accontenta di bassa qualità a favore di una maggiore economicità. Rientrano in questa fascia il proliferare dei minilab, l'incremento delle vendite dell'APS e delle compatte digitali, la perdita di interesse - da parte dei dilettanti - verso i fondamentali della fotografia. L'importante è poter riprendere il figlioletto sulla spiaggia o zio Peppino al paese, tutto il resto è chiacchiera, e non stiamo certo a spendere soldi in un corso di fotografia o in un libro specializzato. Benissimo, non perdiamo certo il sonno per questo. Del resto ognuno è libero di esprimersi come meglio crede, no? Mica nessuno pretende che si diventi tutti poeti: c'è anche chi usa la scrittura per compilare la lista della spesa o per scrivere parolacce sui muri. I patiti della lomografia hanno il loro linguaggio. Perfetto, chi più felice di loro se gli va bene così? L'educazione all'immagine è un'avventura difficile, ma penso che sia compito dei professionisti (cioè dei comunicatori) far capire ai propri clienti l'importanza di una fotografia fatta bene. La quale - purtroppo - ha un costo. Se poi il cliente non è interessato al ritratto artistico ma vuole solo una fototessera, allora diamogliela, che male c'è? A che mi servirebbe una piastra rientrante? Se il soffietto ha un allungamento minimo, vuol dire che meno di quello non può fare, giusto? Una piastra rientrante oltretutto rischia di fare andare a sbattere l'elemento posteriore contro il vetro smerigliato, quindi secondo me ha un sacco di svantaggi e nessun vantaggio. Emanuele Ficetti, Roma Ehm... calma un attimo. Vediamo di riordinare le idee. I problemi nell'uso di obiettivi di corta focale nelle macchine professionali sono essenzialmente due. 1. L'ingombro meccanico del soffietto, che quando è chiuso ha evidentemente un certo spessore, a cui va aggiunto lo spessore del dorso (che nelle folding può essere anche notevole, dovendo quest'ultimo accogliere soffietto e piastra anteriore come in una scatola). Questo fatto trascina con sé l'impossibilità di montare obiettivi inferiori a una certa focale. Se chiudo tutto il soffietto e constato che tra il vetro smerigliato e il piano del diaframma (coincidente all'incirca con il centro della piastra portaottica) ci sono sei centimetri e mezzo, è evidente che non posso montare obiettivi di focale inferiore ai 65 mm, altrimenti non potrò mettere a fuoco all'infinito (ma solo da vicino), perché il tiraggio meccanico risulterebbe superiore alla lunghezza focale; 2. La possibilità di effettuare movimenti. Molte folding non hanno il soffietto intercambiabile. Questo significa che non è possibile montare il soffietto floscio (detto anche soffietto grandangolare, bag bellows) al posto del soffietto pieghettato standard (tapered bellows). Il soffietto pieghettato è per sua natura piuttosto rigido. Se viene molto accorciato rende impossibili movimenti quali ad esempio il decentramento verticale. Per ovviare a queste limitazioni si usano le piastre rientranti. Se ad esempio io monto un 65 mm su una piastra che rientra all'interno del soffietto di un centimetro, ottengo un tiraggio meccanico di 75 mm (mentre la distanza tra il punto nodale posteriore del sistema ottico e il piano focale rimane invariata), che probabilmente è sufficiente a consentirmi una maggiore disponibilità di movimenti. Inoltre la piastra rientrante mi permette di scendere al di sotto del limite minimo di allungamento del soffietto. Essa si rivela utile anche quando si adoperano i soffietti grandangolari, che lavorano meglio quando c'è un po' di spazio tra le due standarte. Cosa succede se monto il duplicatore Horseman su un obiettivo di focale superiore ai 150 mm? Teoricamente potrebbe essere più vantaggioso duplicare un 210, no? C. Cortone Il Teleconverter della Horseman si utilizza previa modifica del sistema di serraggio del gruppo posteriore dell'ottica. In pratica si deve procedere in questo modo: 1. Si rimuove il gruppo posteriore dell'obiettivo, lasciandolo montato sulla piastra; 2. Si svita l'anello di serraggio originale applicato alla parte posteriore dell'otturatore (quello che blocca l'otturatore alla piastra portaottica); 3. Si applica al posto dell'anello di serraggio standard l'anello di serraggio a doppia filettatura fornito in dotazione con il duplicatore; 4. Si riavvita il gruppo posteriore dell'ottica. A questo punto il gruppo posteriore viene come circondato dal nuovo ingombrante anello di serraggio Horseman, che non dovrà più essere smontato. Su quest'ultimo verrà avvitato il duplicatore. In pratica il gruppo posteriore dell'obiettivo verrà inglobato interamente dentro la montatura meccanica del duplicatore. L'anello di seraggio a doppia filettatura ha un diametro che si adatta soltanto agli otturatori Copal #0. Inoltre il barilotto che costituisce la montatura esterna del Teleconverter ha un diametro limitato, in grado di accogliere solo i gruppi posteriori di obiettivi piuttosto piccoli, montati su otturatore Copal #0. Queste limitazioni puramente meccaniche impediscono di fatto l'utilizzo del duplicatore Horseman con obiettivi diversi dal 150 mm: le focali superiori sono montate su otturatori Copal #1 o Copal #3; gli obiettivi grandangolari tipo Super-Angulon o Grandagon, pur essendo montati sugli otturatori giusti, hanno un gruppo posteriore troppo largo per entrare nella montatura del Teleconverter (a parte il fatto che non avrebbe senso duplicare un grandangolo!). Al massimo il Teleconverter può essere usato per duplicare alcune focali da 135 mm, costruttivamente analoghe agli obiettivi standard da 150 mm. La casa costruttrice, tuttavia, non fornisce indicazioni sulla resa che il Teleconverter potrebbe fornire con focali diverse da quella di 150 mm. In ultimo, c'è da rilevare come la capacità di ingrandimento cambi a seconda dell'obiettivo su cui l'accessorio è montato, non solo perché la lunghezza focale reale dei singoli obiettivi non è mai esattamente pari a 150 mm, ma anche perché la distanza tra la lente posteriore dell'obiettivo e la prima lente del duplicatore (distanza che varia a seconda delle caratteristiche costruttive dei singoli obiettivi) influisce in modo non certo simbolico sulle capacità di deviazione dei raggi luminosi all'interno del sistema. Devo acquistare una folding da usare in esterno con ottiche dal 47 al 240/300 mm, dovendo necessariamente decentrare. Mi interessa il formato 6x7/6x9, eventualmente anche con dorso di riduzione tipo Cambo etc. su macchina 4x5. Avendo escluso sia Silvestri che Ebony (che a quanto pare non sarà importata in Italia) ed anche Tachihara 4x5 (perché non accetta il 47); vorrei riuscire a districarmi tra Horseman (che temo però monti ottiche a partire dal 65) e Linhof Technika, da usarsi senza l'ausilio del telemetro. A questo punto, rivolgendomi al mercato dell'usato non so su cosa orientarmi. In particolare alcune Linhof hanno uno sportello per l'uso delle ottiche corte, ma anche qui non riesco ad avere notizie certe sui vari modelli. Sarei grato se si potesse quindi rispondere alla domanda "quali macchine (RIGOROSAMENTE) folding possono montare, mantenendo il decentramento, il 47 mm, sia nella versione XL, che nelle più obsolete destinate solo al 6x9?" Grazie infinite!!! Andrea Repetto La Linhof Technika non è fatta per la fotografia grandangolare e monta con estrema difficoltà ottiche di corta focale. Le folding in metallo in genere hanno notevoli problemi in questo senso. Tra le folding in legno, l'unica ad avere un allungamento minimo di 45 mm è la Horseman Woodman, che però non ha il soffietto intercambiabile e quindi potrebbe avere qualche problema di mobilità delle standarte a soffietto (quasi) tutto chiuso, come richiesto da un 47 mm. Per maggiori delucidazioni è bene rivolgersi all'importatore italiano: ASPHOT SRL, Via Gianfranco Zuretti 61 - 20125 Milano (tel. 02-6693941, fax.02-6692767). La Zone VI è importata da MANFROTTO, Via Livinallongo 31 - 20139 Milano (tel. 02-5660991, fax 02-5393954). Ha il soffietto intercambiabile che consente l'uso del 47 mm. La Wista DX III ha il soffietto intercambiabile e credo che possa montare il 47 mm con il soffietto grandangolare. Per maggiori informazioni, l'importatore italiano è DIFFUSIONE ELETTRONICA srl (tel. 011-4517111, fax: 011-7381133). Ho visto l'ultima 4x5 Cambo Explorer (aggiornamento della Cadet). Ci sto facendo un pensierino per foto d'interni, architettura e paesaggi. Ho un dubbio: la struttura, soprattutto il dorso, è abbastanza rigida da evitare movimenti di fuoco durante l'inserimento pellicola e/o polaroid? Una prima prova edita dal Professional Journal of Photography (UK) ne parla bene ma se avessi altre opinioni e informazioni.... Grazie. Flavio D'Incá Non ho informazioni specifiche sulla Explorer ma conosco abbastanza bene la "vecchia" Cadet. Francamente non mi preoccuperei più di tanto: qualunque macchina a banco ottico, comprese le "entry level", è costruita in modo da "reggere" alla perfezione qualunque sollecitazione. I blocchi dei movimenti sono tali da garantire l'assenza di spostamenti. Al massimo, come avviene del resto su molti apparecchi le cui standarte sono fissate in un solo punto (comprese le Sinar della serie F), può verificarsi una vibrazione del dorso durante l'inserimento dello chassis. Vibrazione che si smorza rapidamente e che in ogni caso non comporta spostamenti di fuoco. |