IL FORUM SUL GRANDE FORMATO: FEB/MAR 2001 | |
Sembra che gli obiettivi GF Rodenstock abbiano una sottomarca: "Caltar", rappresentata da "Calumet" UK e USA. É proprio cosí? Stessa qualitá ma prezzi inferiori? Grazie da Flavio D'Incá Conosco anch'io gli obiettivi Caltar, ma non so se siano prodotti dalla Rodenstock. Se lo sono (e non ho motivo di dubitarne), si tratta comunque di una sottomarca che - come molte sottomarche - potrebbe anche voler dire "seconda scelta". Come potrebbe invece voler dire di no. Nel grande formato succede tutto e il contrario di tutto, e del resto le differenze (se si parla di obiettivi moderni) si misurano davvero con il bilancino del farmacista. Del resto Rodenstock produce anche gli obiettivi destinati alle fotocamere Sinar (dotate di otturatore proprio) e commercializzati con il marchio Sinaron. Che decisamente NON SONO una seconda scelta. Tempo fa avevo avuto notizia che Manfrotto avrebbe importato in Italia gli obiettivi Caltar. L'annuncio (apparso sul sito internet di Manfrotto) prometteva prezzi concorrenziali a fronte di una qualità più che certa. Il marchio Caltar è antico e "glorioso", e molti vecchi Caltar si trovano ancora sul mercato dell'usato (ovviamente i Caltar moderni sono tutt'altra cosa). Per un po' cercai di star dietro alla cosa, ma poi alla Manfrotto mi dissero che - contrariamente alle previsioni - i prezzi non sarebbero stati poi così concorrenziali, per cui i Caltar non avrebbero avuto quella diffusione che loro speravano. Non essendo importati in Italia, i Caltar devono essere acquistati all'estero. Se "estero" vuol dire Stati Uniti, non sono sicuro che l'operazione si traduca in un effettivo risparmio. Ci pensi bene.... Egregi Signori, vi scrivo per chiedervi gentilmente dove posso trovare una tabella con gli indici di compensazione degli stop legati al tiraggio del banco ottico. Grazie, Alessandro Forniti. Su vari siti internet, ad esempio questo, o anche sul mio sito personale seguendo il link "Formule utili" (frame di sinistra nella pagina principale). Egregio dottor Vacchiano, posso ragionevolmente pensare a un dorso digitale per il grande formato per dedicarmi alla fotografia di paesaggio oppure sto delirando? Grazie e cordiali saluti. Piero Camusso Allo stato attuale non è ancora possibile fotografare in grande formato con dorso digitale al di fuori dello studio. Il problema fondamentale è costituito dall'ingombro delle apparecchiature, dalla presenza obbligata del computer, dai cavi di collegamento. Chi lavora in location o - peggio - in esterni non può nemmeno pensare di portarsi appresso tutto ciò che serve per la ripresa digitale ad alta risoluzione. Il secondo problema (quasi più limitante del primo) è dovuto alla lentezza dell'acquisizione. La natura morta dev'essere davvero morta: fare un ritratto sarebbe già un rischio notevole. Per la stessa ragione l'illuminazione dev'essere costituita da fonti di luce continua. Chi lavora in esterni, chi fotografa soggetti non del tutto inanimati (ma anche un semplice albero le cui foglie siano accarezzate dalla brezza) o chi usa il flash deve forzatamente acquisire l'immagine su supporto chimico per poi effettuare la scansione elettronica del negativo o della diapositiva. Il negativo per stampe a colori offre in questo caso una più estesa gamma tonale e un contrasto più bilanciato. Non sarà poi difficile, una volta sviluppato e scandito il negativo, trasformarlo in positivo grazie a un normale programma di fotoritocco. Lo stesso programma di fotoritocco permetterà sia di eliminare dalla scansione le inevitabili tracce di polvere, sia di migliorare, se necessario, le caratteristiche compositive dell'immagine. Ho sentito parlare di "impatto emotivo" dell'apparecchio fotografico. In altre parole sembra che la macchina usata dal fotografo possa influenzare il soggetto, ovviamente quando questo è una persona. E' vero o si tratta di una bufala? Augusta Franceschelli Ho personalmente constatato la veridicità delle teorie sull'impatto emotivo dell'attrezzatura. Molte persone, soprattutto se anziane e appartenenti a culture non del tutto industrializzate, mostrano nei confronti del mezzo fotografico una certa apprensione. Non mi riferisco alle popolazioni che giudicano la fotografia contraria alla morale o alla religione, ma anche semplicemente a certi nostri montanari, che si ritraggono di fronte alle reflex superelettroniche, generatrici di inquietanti ronzii, per rilassarsi invece alla presenza di una vecchia biottica, che ricorda loro la macchina usata dal fotografo del loro paese natale (l'esempio non è scelto a caso, ma deriva da una mia personale esperienza). La reflex ha obiettivi enormi, un aspetto aggressivo: il soggetto si sente aggredito. Le macchine a telemetro hanno invece un aspetto più innocuo: tutto sommato sono meglio conosciute, soprattutto dagli anziani. Le reflex di medio formato dotate di visore a pozzetto e le biottiche sono ugualmente gradite: la posizione "ventrale" non nasconde il volto del fotografo e così non sembra che questi stia prendendo la mira con un'arma extraterrestre. Gli apparecchi di grande formato, poi, sono percepiti come "antidiluviani". Il fotografo viene guardato come un simpatico animale in via di estinzione e tutto ciò che fa (compreso lo scomparire sotto il panno nero) viene gratificato con un atteggiamento di rispetto misto a compassione. Ma c'è davvero differenza tra le pellicole di grande formato e quelle di formato inferiore? E - già che ci siamo - c'è davvero differenza fra le normali e le "professional"? Io fotografo spesso in formato 6x9 su pellicola in rullo (costa meno del 10x12), ma anche sul 35 mm in formato panoramico. A volte non guardo tanto per il sottile e acquisto pellicole non "professional". Faccio una stupidaggine? Teseo Bartoli Le questioni che il lettore mi pone sono due e meritano due risposte distinte. Procediamo con ordine. Tra una pellicola 135 e una pellicola 120 non ci sono differenze strutturali. La seconda permette fotogrammi più grandi, tutto qui. La pellicola piana, al contrario, presenta caratteristiche sue proprie che la rendono unica. Innanzitutto il supporto è più spesso; in secondo luogo è più spesso anche lo strato di emulsione. Vantaggi: una maggiore estensione tonale (cioè una scala dei grigi più ricca), una gamma cromatica più ampia, una maggiore possibilità di controllo dei contrasti. Per capire invece la differenza fra professionali e non-professionali occorre fare una breve premessa. Essendo di natura prevalentemente organica le emulsioni fotografiche hanno una vita: nascono, invecchiano, muoiono. Hanno un periodo di maturazione durante il quale non possono essere utilizzate, seguito da una "età adulta" caratterizzata dalla migliore resa cromatica e tonale. Il loro utilizzo assicura risultati ottimali entro una certa data (data di scadenza), dopo la quale le loro prestazioni conoscono un rapido e inarrestabile degrado. Le condizioni perfette vengono raggiunte dalla pellicola circa sei mesi prima della data di scadenza. Dopo, come accade ai quarantenni, inizia il declino. Le pellicole destinate al mercato amatoriale possono restare qualche mese sugli scaffali del rivenditore prima di venire impressionate; lo stesso fotografo, poi, le userà in un arco di tempo piuttosto ampio, a volte lasciandole in macchina da Natale all'estate successiva. Per non parlare delle condizioni di utilizzo: caldo, freddo, umidità Per questo le pellicole destinate ai dilettanti vengono messe in commercio un po' prima della loro maturazione ottimale. Al contrario, le emulsioni "pro" lasciano i depositi della casa produttrice solo quando hanno ormai raggiunto la loro forma perfetta, e cioè circa sei mesi prima della scadenza: questo per garantire le migliori prestazioni in caso di utilizzo immediato, quale quello a cui normalmente le sottopone il professionista. Se la pellicola non dovesse essere utilizzata immediatamente occorrerà conservarla al freddo, meglio in congelatore a -18°C, estraendola poi una mezz'ora prima dell'uso. E' necessario "ricondizionare" la pellicola a temperatura ambiente per evitare la formazione di condensa. Importante: non si acquistino pellicole "professional" se il rivenditore non le conserva in frigorifero. Una volta esposta, la pellicola professionale dovrà essere sviluppata al più presto. Se questo non fosse possibile occorrerà conservarla nuovamente al freddo. Il calore, i raggi X degli aeroporti, l'umidità danneggiano la pellicola esposta ancor più di quella vergine: questo obbliga a prestare particolare attenzione ai metodi e alle tecniche di conservazione (borse-frigo, confezioni impermeabili ai raggi X). Ripeto: questo vale soprattutto per le pellicole esposte: quelle vergini sono meno delicate e normalmente non vengono danneggiate dai controlli (anche se ripetuti) a cui è sottoposto il bagaglio a mano. Ho usato la parola "normalmente" riferendomi alle pellicole più comunemente usate, quelle cioè la cui sensibilità non supera i 400/27° ISO. Le emulsioni caratterizzate da una sensibilità più elevata possono subire un'alterazione proporzionale tanto alla loro sensibilità quanto al numero dei passaggi. Un problema non da poco è costituito dagli standard qualitativi dei laboratori. È meglio far sviluppare subito la pellicola a Islamabad oppure a Milano due settimane dopo? Se non si è sicuri della qualità del laboratorio è meglio aspettare, conservando il materiale esposto in luogo fresco (preferibilmente freddo) e asciutto. Buongiorno, sto pensando di comprare un dorso per pellicole istantanee da usare con una Arca Swiss 4x5 e ho un dubbio: i modelli Polaroid 545 Pro e 545i sono adattabili a tutti i dorsi 4x5? Stessa domanda per modelli Kodak e Fuji. Le pellicole di una marca possono essere utilizzate nei dorsi di un'altra? Se si, quali combinazioni sono disponibili? Grazie per la risposta (Flavio D'Incá) I modelli Polaroid 545 e 545i sono inseribili come un normale chassis in tutti i dorsi 4x5". Tra i dorsi prodotti da Kodak e Fuji per i loro sistemi Readyload e Quickload invece non c'è compatibilità: le Fuji Quickload possono essere usate solo nei dorsi Fuji o nei dorsi Polaroid 545 e 545i; le Kodak Readyload possono essere usate solo nei dorsi Kodak o nei dorsi Polaroid. Personalmente inserisco le pellicole a caricamento rapido (sia Kodak che Fuji) in un dorso Polaroid 545 e mi trovo benissimo (avevo il dorso Kodak ma l'ho venduto perché poco pratico e spesso causa di inceppamenti che mi costringevano a buttare via la pellicola). Per dovere di cronaca la informo che Kodak ha recentemente annunciato di voler passare dalle confezioni doppie (due lastre in una sola busta) alle confezioni singole (single sheet), come fa la Fuji. Questo per evitare i numerosi problemi, lamentati da più di un fotografo, derivanti dalla presenza di due pellicole in una stessa confezione (défaillance del sistema dovuta a frequenti difetti di fabbricazione, distrazione da parte del fotografo, per cui accade di impressionare due volte lo stesso lato, eccetera). Sul mercato americano le single sheet saranno disponibili verso luglio 2001; sul mercato italiano arriveranno un po' più tardi, e in ogni caso la Kodak Italia provvederà prima ad esaurire le scorte di Readyload double sheet. Anche il dorso Kodak Readyload verrà migliorato: le single sheet potranno comunque essere usate anche con il "vecchio" dorso. Ho appena cominciato l'avventura del Grande Formato (con una Meridien, una press camera con qualche possibilità di movimenti). Dovrei affiancare all'obiettivo in dotazione ( Wollensak 127mm f.4,5, che non è male, ma ha una bassa copertura) almeno un grandangolo, e sto pensando ad un 90mm tipo Schneider Super Angulon, anche se non dell'ultimissima generazione e qualcosa di superiore al 127mm. Tenuto conto che l'allungamento del soffietto è di 350mm, è possibile usare ottiche di tipo convertibile es. Symmar 210 5,6 convertibile a 370/f.12? I Wollensack in dotazione alle press camera tipo Meridien o Speed Graphic erano in effetti caratterizzati da un cerchio di copertura piuttosto ristretto. Era logico, dal momento che la prima funzione delle press camera non era la fotografia di paesaggio o di architettura, ma l'uso sul campo per il reportage: circostanza nella quale a tutto si pensa fuorché ai movimenti dei corpi! La scelta del grandangolo è corretta: un Super-Angulon f/8, già sottoposto a trattamento antiriflessi multistrato, si trova sul mercato dell'usato a circa un milione di lire. Non consiglierei focali inferiori, dato che la particolare conformazione della press camera potrebbe creare problemi quando il soffietto è troppo accorciato (io ad esempio non potevo montare il Grandagon 75 mm sulla Graflex Super Graphic). Il Symmar 210 può essere montato senza problemi su un soffietto che raggiunge i 30 cm; tuttavia non lo si potrà usare privato del gruppo anteriore per raggiungere la focale di 370 mm: non si potrebbe fotografare neppure all'infinito, dal momento che sarebbero necessari almeno 37 cm di tiraggio. A questa considerazione, banalmente meccanica, ne vorrei aggiungere una di tipo strettamente ottico: personalmente non consiglio l'uso dei vecchi convertibili Symmar. A parte il fatto che non sono dotati di trattamento antiriflessi multistrato (il che li rende "pericolosi" quando si vuole fotografare a colori), la rimozione del gruppo ottico anteriore causa l'insorgere di aberrazioni impossibili da tenere a bada. È intuibile, dal momento che lo schema simmetrico è stato ideato proprio per tenere sotto controllo le aberrazioni complessive del sistema, accoppiando due gruppi ottici dotati di aberrazioni dello stesso tipo, ma di segno opposto. Eliminando uno dei due gruppi, si priva l'altro di correzione. L'uso dei gruppi ottici separati era stato ideato come soluzione d'emergenza, quando realizzare una fotografia, costi quello che costi, era così importante da far passare in secondo piano la qualità di immagine. L'uso a cui i convertibili di quel tipo possono essere adibiti è al massimo il ritratto in studio, qualora si voglia ottenere un effetto alla Margaret Cameron. Uno Schneider Apo-Symmar 210 mm f/5,6 di nuova generazione si trova sul mercato dell'usato a non più di due milioni di lire. |