GF FORUM - MARZO 2000 |
Di solito si dice: folding in esterni, banco ottico in studio. Ma l'appassionato del grande formato che non ha la possibilità economica di procurarsi due macchine, come può fare per soddisfare entrambe le esigenze? (Alessandro Vitetto) Alcuni fotografi preferiscono (non solo per motivi economici) utilizzare un solo apparecchio per tutte le occasioni. Chi possiede un banco ottico ragionevolmente maneggevole (come potrebbe essere una Sinar F1 o F2) può utilizzarlo anche all'aperto senza troppe limitazioni; al contrario, chi possiede una folding può adoperarla come macchina da studio, pur con i limiti derivanti da una gamma di movimenti piuttosto ridotta. È chiaro che se l'esigenza è quella di percorrere lunghe distanze a piedi il problema non si pone: l'idea di portarmi la Sinar nello zaino non mi sfiora neppure; ma quando si fotografa in prossimità della propria auto, l'opportunità di utilizzare il banco ottico al posto della folding va tenuta in considerazione. Le macchine a banco ottico offrono vantaggi che vanno al di là della più ampia gamma di movimenti. Le due standarte, ad esempio, si muovono allo stesso modo. Questo vuol dire che le procedure necessarie ad effettuare decentramenti e basculaggi si imparano in fretta e si memorizzano facilmente, fino a diventare istintive. In molte folding il basculaggio del dorso si ottiene in modo indiretto, inclinando verso il basso il frontalino su cui scorre la piastra anteriore e riposizionando la testa del cavalletto. Questa operazione (bed dropping) è molto più macchinosa e scomoda del semplice basculaggio effettuato su una standarta mantenendo la rotaia in bolla. Questo di fatto scoraggia il fotografo dal ricorrere ai movimenti di macchina, limitandone di fatto la libertà creativa e vanificando il ricorso al grande formato. Le macchine a banco ottico sono dotate di livella a bolla, accessorio utilissimo soprattutto all'aperto e in terreni non pianeggianti; inoltre i movimenti sono di solito più precisi, i blocchi più stabili. L'inconveniente può invece essere costituito dalla necessità di assemblaggio: mentre una folding è sempre pronta per l'uso (basta aprire il frontalino ed estrarre la piastra anteriore con l'obiettivo già montato), la macchina a banco ottico deve di solito essere montata. La soluzione è trovare (o autocostruirsi, che è anche più divertente) un contenitore imbottito capace di accogliere la macchina già montata sulla sua rotaia, con tanto di obiettivo e vetro smerigliato già posizionati nelle loro sedi. Navigando su internet alla ricerca di obiettivi usati, mi sono imbattuto in uno Schneider Tele-Xenar 240 mm "in barrel". Posso fidarmi ad acquistare l'obiettivo? E che cosa significa "in barrel"? (Luca Perro) Inizio dalla seconda domanda, perché la prima richiede una risposta più articolata. "In barrel" significa semplicemente che l'obiettivo è venduto senza l'otturatore, per questo costa poco. Il Tele-Xenar 240 mm veniva montato su otturatori Press-Compur che richiedevano una piastra forata secondo il diametro del Copal 1. Comunque (e qui rispondo alla prima domanda) se fossi in lei mi guarderei bene dall'acquistare l'obiettivo, per una serie di ottime ragioni.
Ho una Horseman FA 4x5". Qual è la massima focale che posso montarvi? (F.C.) Uno dei problemi del grande formato riguarda proprio l'uso delle lunghe focali. Folding come la Horseman FA hanno un soffietto piuttosto corto, tanto da rendere problematico l'uso di obiettivi superiori ai 240 mm. A questo si aggiunga il fatto che la maggior parte delle folding non può montare otturatori Copal 3, il che riduce drasticamente le possibilità di utilizzo delle lunghe focali. La soluzione del problema consiste nel ricorso ai teleobiettivi, il cui schema ottico consente un tiraggio inferiore alla lunghezza focale nominale. Il fatto che la maggior parte dei teleobiettivi (eccettuate le focali più estreme) utilizzi otturatori Copal 1 costituisce un ulteriore vantaggio. È impossibile qui indicare con precisione la focale massima utilizzabile sulla sua Horseman: tutto dipende dal fuoco posteriore di ogni singolo obiettivo, un parametro molto variabile a seconda delle marche e dei modelli. Lo svantaggio dei teleobiettivi è rappresentato dal ridotto cerchio di copertura, di solito appena sufficiente a coprire il formato per cui sono stati realizzati: Lo Schneider Tele-Arton 250 mm o il Nikkor 270 mm, ad esempio, coprono il formato 4x5" senza consentire alcun movimento. Per ovviare a questo inconveniente è opportuno rivolgersi a teleobiettivi progettati per il formato maggiore. Il Fujinon 400 mm f/8, con il suo cerchio di 220 mm, copre il formato 5x7" (e pertanto consente una buona gamma di movimenti nel formato inferiore) con un fuoco posteriore di soli 253 mm. Domanda: il mio corredo per il GF è: Linhof Technika, Xenar 5.6 150 14115447, Super Angulon 5.6/90 10882246, Sironar-n 5.6/210 10332860; pellicole 4x5" bn: fp4, hp5, Tmax, agfapan100; sviluppo hc110 , rodinal, D76; ingranditore IFF Ampliator, Rodagon e Componon 150; carta baritata
ma i risultati sono abbastanza deludenti: mancanza di contrasto, definizione
non so più cosa fare, i vari libri li ho letti, sento che manca un metodo che passo dopo passo possa farmi scoprire dove si sbaglia e come migliorare; dove posso trovarlo? Di una cosa sola sono sicuro: NON MOLLO (Stefano Medici) Fa bene a non mollare: l'attrezzatura buona c'e' e deve solo continuare ad affinare il tutto magari cominciando ad usare una sola gamma di prodotti (per esempio, Ilford). Impossibile dare qualsiasi consiglio senza vedere negativi e stampe "dal vivo": lavorando a "Regola d'Arte" si devono avere per forza stampe brillanti (tranne che con la Tmax, grigia e piatta di suo). L'unico testo davvero valido per il BN e' IL NEGATIVO di Ansel Adams Edizioni Zanichelli. Dimenticavo: lo sviluppo avviene in tank jobo rotatoria a che velocità conviene farla ruotare? Mai utilizzati simili diabolici aggeggi: uso ancora una normalissima tank "a mano". Nella scatola della tank Jobo non c'era un manuale di istruzioni? Spett. Nadir, vorrei sapere perché vengono da voi giudicati non troppo bene i teleobiettivi per grande formato. In esterni, per foto non troppo ravvicinate (rapporti 1:5 1:10), ma che comunque necessitano di allungare il soffietto, un bel tele risolve molti problemi. Voi vi riferite essenzialmente alla correzione delle aberrazioni geometriche (la distorsione essenzialmente) oppure ritenete che anche nella resa cromatica o dello sfocato il disegno tessar sia inferiore? A questo riguardo il giudizio sui Congo (teleobiettivi!, non serie commerciali), deriva da test effettuati o dalla "vox populi fotografiae"? (Sergio Monai) È vero, un bel tele risolve molti problemi. la mia riserva nei confronti dei teleobiettivi in genere riguarda essenzialmente il cerchio di copertura, che è di solito piuttosto ridotto (o per lo meno più ridotto di quello che caratterizzerebbe un obiettivo di analoga focale ma di disegno tradizionale) e non consente un'ampia possibilità di movimenti. Carissimi, vi risulta che la Gossen abbia fatto un exp. da banco ottico per la Sinar? Il Gossen Sinarsix è un esposimetro che legge la luce direttamente sul piano focale. Non è uno strumento che si usa intuitivamente, ma una volta che si è imparato ad utilizzarlo permette misurazioni precise ed offre prestazioni alquanto sofisticate. Si inserisce come un normale chassis. La sonda serve ad esplorare progressivamente le diverse aree dell'inquadratura, fornendo una risposta precisa e permettendo l'ottimale applicazione del sistema zonale. La differenza tra un esposimetro sul piano focale e un esposimetro spot esterno è intuitiva: misurando la luce che arriva EFFETTIVAMENTE alla pellicola, il Gossen Sinarsix tiene conto anche delle cadute di luce dovute a un eventuale prolungamento del tiraggio per fotografia ravvicinata o alla presenza di filtri, e libera il fotografo dall'obbligo di effettuare i necessari calcoli. In ogni caso, anche utilizzando un esposimetro di questo tipo è sempre bene confrontare le indicazioni fornite dallo strumento con i dati derivanti dall'esperienza. Poiché il Sinarsix si inserisce come un normale chassis, può essere tranquillamente usato con qualsiasi banco ottico o folding. Non ne saprei dare una valutazione precisa, dato che nel tempo si sono susseguiti diversi modelli. Finalmente qualcuno ha il coraggio di parlare di grande formato! Sono passati due anni da quando ho acquistato la mia prima folding usata (una Linhof Super Technika IV), poi cambiata con una TechniKardan (sempre 4x5'), e da allora mi si è aperto un mondo nuovo. Non mi considero un bravo fotografo, ma il grande formato mi ha fatto riscoprire la fotografia. Per me la cosa più bella di questo tipo di apparecchi è il modo in cui ti inducono ad affrontare uno scatto. È necessario essere convinti di quello che si fotografa, il soggetto, lo si deve sentire dentro innanzitutto; è quasi un esercizio spirituale, molto distante dallo scattare a raffica che può venire naturale con il 35mm. Anche se adesso, con la mia F70, ogni scatto è più meditato rispetto a prima. Mi viene in mente il titolo dell'ultimo book di W. Neill, 'Landscape of the Spirit', che riflette quello che voglio dire. Certo all'inizio non è facile e a volte una foto che si preannuncia spettacolare (come composizione), delude un po' le aspettative. Ma anche le immagini meno riuscite hanno un loro fascino; grana praticamente assente, grande nitidezza e tutto il resto fanno di ogni foto comunque un gran esercizio e non solo di tecnica. Purtroppo è disarmante la mancanza di informazione o di riviste specializzate (almeno in Italia) in merito e se non fosse stato per i libri di Adams, ci avrei messo ancora più tempo. Mi ha fatto molto piacere l'articolo di Vacchiano perché promuove un modo 'nuovo' di fotografare che dovrebbe essere considerato maggiormente. Continuate così. (Marco Bottazzi) Domanda: Folding o Banco ottico? Domanda lapidaria, direi. La risposta è un po' più complessa: dipende dalle condizioni in cui si vuole operare. In studio il banco ottico offre la massima versatilità; in esterni la folding è l'unica soluzione ragionevolmente praticabile (soprattutto se ci si muove a piedi): una comodità che si paga con una versatilità più o meno ridotta a seconda dei modelli. Sono uno sfortunato possessore di un esposimetro Horseman in condizioni "come nuovo", "funzionante"con due batterie oramai introvabili: Mallory PX26 da 1,3 V e Mallory PX 640 da 5,2 V. HELP me !!! come fare per renderlo di nuovo funzionante?Non mi rassegno ad usarlo come fermacarte o come grazioso soprammobile. (Achille Arienzo) Il problema è serio. L'unica soluzione è andare da un buon riparatore e cercare di adattare all'esposimetro un sistema di alimentazione diverso, purché di pari voltaggio. Di apparecchiature funzionanti con batterie assicurate alla carrozzeria con il nastro adesivo ne ho viste tante: penso che un riparatore esperto possa realizzare un qualcosa di esteticamente accettabile. Perché lei scrive che il movimento delle standarte può alterare la prospettiva e addirittura modificare la forma degli oggetti? Da un punto di vista ottico non riesco a spiegarmi come questo sia possibile. (Bruno Operti) Proviamo a considerare il movimento più semplice: il decentramento verso l'alto della standarta anteriore per prevenire il fenomeno delle verticali convergenti. La convergenza delle linee parallele è un fenomeno prospettico, e il fatto che si possa intervenire su di esso dimostra che i movimenti delle standarte sono di fatto in grado di alterare la prospettiva. ma si può fare di più, agendo addirittura sulle relazioni dimensionali degli oggetti e sulla loro posizione all'interno dell'inquadratura. Ovviamente non possiamo alterare la posizione di due oggetti parzialmente sovrapposti, ma possiamo alterare le relazioni dimensionali di due oggetti separati (ad esempio, ai due lati dell'inquadratura). Mi spiego meglio. Abbiamo un oggetto vicino a sinistra (ad esempio un albero) e un oggetto lontano a destra (una roccia). Vogliamo modificare le relazioni dimensionali dei due oggetti, cioè far apparire la roccia più grande e più vicina a noi di quanto non appaia l'albero. Questo, ovviamente, senza riposizionare la camera (perché in mezzo c'è un torrente e non possiamo spostarci). La soluzione è davvero semplice: basta basculare il dorso in modo che il piano pellicola si allontani dall'oggetto che si vuole ingrandire e - in un secondo tempo - basculare anche la piastra anteriore per ristabilire la messa a fuoco secondo la regola di Scheimpflug. Modificando le posizioni relative del piano-pellicola e del piano-soggetto si modificano conseguentemente le distanze apparenti fra i soggetti fuori asse, l'obiettivo e il piano-pellicola. Sarò breve: una folding in legno non si rovina? (Silvio Roncati) Sicuramente sì, se lei la lascia cadere fra le rocce, la inzacchera di melma di palude e poi la lascia tre giorni a seccare al sole nella Valle della Morte. In alternativa, può tentare di rimuovere le tracce di fango mettendola in lavastoviglie (ciclo lungo a 67 gradi). Scherzi a parte, non vedo perché una folding in legno si debba rovinare se trattata con la giusta attenzione e sottoposta a una ragionevole manutenzione. Il legno di cui sono fatte le folding è sempre ben stagionato, allo scopo di evitare starature dovute alle dilatazioni termiche e all'umidità. Le vernici sono resistenti e antigraffio. Insomma, una folding in legno vive quanto un mobile o una pipa. Se proprio vogliamo curare l'estetica oltre alla funzionalità, trasportiamo la folding in un sacchetto di panno morbido (soprattutto se dovrà viaggiare nello zaino insieme ad altri oggetti) e lucidiamola una volta all'anno utilizzando un prodotto nutriente per il legno. Esattamente come facciamo per il tavolo in ciliegio lasciatoci in eredità da zia Ersilia. Domanda secca: che si intende per scamotaggio? (Marcello Volpi) È l'italianizzazione del termine francese "escamotage", che non significa soltanto "scappatoia", "gioco di prestigio con sparizione di oggetti", ma indica anche lo scivolamento (in particolare del carrello dell'aereo dopo il decollo). Nel grande formato indica un meccanismo a slitta che si applica al dorso dell'apparecchio al posto del dorso standard. Il meccanismo è costituito da un piccolo vetro smerigliato affiancato da un alloggiamento per caricatore per pellicola in rullo. Dopo aver effettuato inquadratura e messa a fuoco sul vetro smerigliato, si fa scivolare la slitta lateralmente (o dall'alto in basso): il vetro smerigliato si sposta e il caricatore con la pellicola in rullo si posiziona davanti alla finestrella di esposizione rendendo possibile la foto. Questo sistema è molto più comodo di quello tradizionale, che prevede di effettuare inquadratura e messa a fuoco sul vetro smerigliato di grande formato (tenendo conto - quando ci sono - dei riferimenti per i formati inferiori serigrafati sul vetro stesso), rimuovere il dorso di grande formato e applicare al suo posto il dorso per pellicola in rullo, con il rischio di spostare l'inquadratura a causa di una manovra non proprio delicata (il rischio è reale, soprattutto con le folding più leggere). Sono interessato da anni a una folding 4X5".Sono pero' spaventato dai prezzi e dalla difficolta' di reperire questo materiale sul mercato romano. Qual è la fotocamera folding meno costosa (e relativo primo obiettivo)? A Roma in che negozio posso trovare questo materiale? Io da anni utilizzo il 35 MM (dia, BW sviluppato e stampato da me) ma vorrei fare il grande salto di qualita' attirato anche dal tipo di approccio che si ha con l'immagine con il grande formato , utilizzato dal grande Ansel Adams mio fotografo preferito. (Giampiero Desiante) Purtroppo non sono informato sulla situazione del mercato a Roma e non so indicare rivenditori di fotocamere di grande formato. Spero che qualcuno dei nostri lettori intervenga a fornirci indicazioni utili. Il consiglio che posso dare a chi inizia è quello di rivolgersi all'usato. In quest'ottica, domandarsi quale sia la macchina meno costosa non ha molto senso: la meno costosa è quella che in quel momento si trova, che soddisfa le nostre esigenze e che ha un prezzo adeguato al nostro budget. Sul mercato dell'usato sono abbastanza diffuse tanto le Linhof Technika (anche se risalenti agli anni Sessanta sono ottime macchine) quanto le Toyo 45, anch'esse praticamente indistruttibili e dotate di una buona gamma di movimenti. Si trovano anche molti obiettivi usati. Come primo obiettivo consiglio una focale "normale", dai 150 ai 210 mm. Se ci si vuole dedicare da subito alla fotografia di architettura, allora va meglio un grandangolo intorno ai 75-90 mm. Per quanto riguarda i prezzi, diciamo che una Toyo 45 si può avere spendendo meno di un milione e mezzo, mentre un obiettivo Rodenstock Sironar (vecchia serie) 150 mm non dovrebbe costare più di 850.000 lire. A questo va aggiunta la spesa del cavalletto (se già non lo si possiede), dello scatto flessibile (circa 15.000 lire) e degli chassis, che sono piuttosto cari, ma che si trovano usati fra le 30 e le 35 mila lire. Che influenza ha lo schema ottico sulla resa di un obiettivo? Perché mi devo preoccupare del numero delle lenti e dei gruppi? (Federico Rollini) Innanzitutto va detto che il problema non sta soltanto nel numero dei gruppi e delle lenti, ma anche e soprattutto nel disegno ottico, cioè nel modo con il quale gruppi e lenti sono disposti. I diversi disegni ottici (o schemi ottici) rispondono a esigenze precise: innanzitutto alla correzione delle aberrazioni, in secondo luogo alla possibilità di fotografare a diverse distanze di ripresa, poi alla necessità di utilizzare l'obiettivo con un tiraggio diverso da quello richiesto dalla focale. Gli schemi principalmente utilizzati nel grande formato sono essenzialmente tre. Obiettivi simmetrici. Il primo obiettivo simmetrico in grado di fornire un'accettabile qualità di immagine fu il Rapid Rectilinear, ideato da Dallmeyer e Steinheil nella seconda metà del XIX secolo. L'idea era semplice ma geniale: per correggere le aberrazioni di un gruppo di lenti era sufficiente disporre, dietro al piano del diaframma e alla stessa distanza del primo, un secondo gruppo rivolto nel senso opposto. I due gruppi, identici ma speculari, avevano un potere di dispersione uguale ma di segno contrario, e lo stesso avveniva per le principali aberrazioni ottiche, che in questo modo si elidevano a vicenda. Lo schema simmetrico aveva il vantaggio di consentire la ripresa di soggetti posti a qualunque distanza di ripresa, anche quando la lente frontale si trovava più vicina al soggetto di quanto la lente posteriore fosse vicina al piano focale, come avviene quando si supera il rapporto di 1:1. Lo schema simmetrico fu adottato anche per gli obiettivi grandangolari: i primi modelli presentavano una forte curvatura delle lenti e non potevano essere usati se non a diaframmi molto chiusi pena l'insorgere di un'aberrazione sferica spaventosa, come ancor oggi avviene con ottiche quali l'Hypergon, recentemente rivisitato e riproposto dalla Wisner. Lo schema simmetrico ebbe molto successo e diede origine a disegni ottici ancor oggi utilizzati, quali il Planar di Carl Zeiss, i Symmar della Schneider e i Sironar della Rodenstock. È usato inoltre per tutti gli obiettivi destinati alle riprese macro con rapporto di riproduzione intorno a 1:1. Il tripletto di Cooke. Realizzato da Taylor per la Cooke and Sons, questo schema riduce il numero di lenti pur mantenendo elevata la correzione delle aberrazioni. Taylor partì dal classico doppietto acromatico (una lente positiva e una lente negativa incollate insieme), "spezzando" in due l'elemento negativo e posizionandone le due metà ai lati opposti del piano del diaframma. Il tripletto di Cooke annovera nobilissimi discendenti, quali i Tessar e i Sonnar di Carl Zeiss, gli Elmarit della Leitz e gli Xenar della Schneider. Lo schema Tessar, in particolare, realizza una migliore correzione aggiungendo allo schema primitivo una quarta lente (Tessar deriva dalla parola greca che significa "quattro"). Nel grande formato lo schema Tessar (o anche soltanto lo schema originario a tre lenti, come avviene negli obiettivi "Commercial" della Congo) viene utilizzato per obiettivi di uso generale, non particolarmente corretti per le brevi distanze di ripresa e solitamente appartenenti alla serie economica. Il teleobiettivo. Un obiettivo da 300 mm, normale per il formato 8x10", richiede 30 cm di soffietto per fotografare all'infinito. Un obiettivo di focale appena doppia richiede ben 60 cm di tiraggio, che diventano 120 quando si deve fotografare al rapporto di 1:1 (che in questo formato equivale più o meno a un ritratto ravvicinato). Fu per questo motivo che Dallmeyer ideò lo schema a teleobiettivo, che richiede un tiraggio inferiore alla lunghezza focale nominale. La difficile correzione delle aberrazioni imposta da un simile schema rende necessaria l'introduzione di molti elementi, il che - come vedremo - può costituire uno svantaggio. A che cosa serve sapere il numero di gruppi e lenti in un obiettivo? In realtà serve a poco, se non si riesce a vedere lo schema ottico. Tuttavia un'indicazione la dà, soprattutto per quanto riguarda la nitidezza. Quando la luce colpisce la superficie della lente, viene in parte rifratta e in parte riflessa. Lo stesso accade nel passaggio dal vetro all'aria. Queste riflessioni interne hanno due conseguenze: la prima è che la quantità di luce che giunge alla pellicola è inferiore alla quantità di luce che colpisce la lente frontale; la seconda è che l'insieme delle riflessioni interne può provocare effetto foschia (flare), riflessi fantasma e in generale perdite anche notevoli di nitidezza. Il trattamento antiriflessi multistrato serve appunto a migliorare la trasmissione della luce all'interno del sistema ottico, minimizzando le riflessioni indesiderate. Abbiamo detto minimizzando, non eliminando. È chiaro che quanto maggiore è il numero di lenti, tanto più elevato sarà il rischio di riflessioni parassite. Perciò, se l'obiettivo presenta un numero di lenti contenuto, significa che il progettista ha saputo tenere sotto controllo le principali aberrazioni senza dover appesantire troppo il disegno ottico. Si pensi ai Telyt della Leitz, che costano svariati milioni anche se sono costituiti da due sole lenti: il classico doppietto acromatico già conosciuto dagli astronomi del Settecento! Talvolta vengono aggiunte lenti in più per consentire una maggiore apertura relativa (le lenti servono in pratica a correggere le aberrazioni indotte dal diaframma più aperto). In un caso come questo occorre chiedersi se quel diaframma in più serve davvero, e se per averlo si è disposti a rischiare una perdita di qualità derivante dalle maggiori acrobazie che la luce è costretta a compiere all'interno del sistema ottico. Ci sono due tipi di basculaggio in avanti e all'indietro: nel primo la piastra ruota intorno al suo centro, nel secondo tutta la piastra si inclina. Perché? E quali sono i vantaggi dell'uno o dell'altro sistema? (Piero Farinelli) In alcuni modelli di fotocamera a banco ottico e in un numero estremamente ridotto di fotocamere folding il basculaggio sull'asse orizzontale (tilt) può essere effettuato in due modi:
Questi due tipi di basculaggio hanno effetti identici sull'immagine. Il vantaggio del "center tilt" sta nel fatto che esso implica un minore spostamento del fuoco e - di conseguenza - una minore necessità di rifocheggiare dopo aver effettuato il basculaggio. Per contro alcune macchine (quelle in cui le standarte sono montate su supporti a U) possono presentare dei problemi di caricamento dello chassis nelle inquadrature orizzontali quando la standarta è basculata sull'asse centrale. In questo caso occorre riposizionare la standarta ogni volta, il che risulta scomodo mentre si lavora, così come diventa scomodo passare da un formato all'altro. Apparecchi come la Sinar F, montati su supporti a U, non hanno il basculaggio sull'asse centrale ma solo il basculaggio alla base. Per ovviare ai maggiori problemi di correzione della messa a fuoco che questo comporta, Sinar ha adottato un sistema rapido di messa a fuoco su due punti per determinare il grado di basculaggio e determinare con esattezza la profondità di campo utile. Da poco navigo in Internet e ho trovato l'interessantissima "Nadir Magazine". Ho sempre covato il desiderio di fare fotografia con il GF e leggere "Il GF spiegato da Michele Vacchiano" è stato per me un grande piacere. Occorreva questa spinta per farmi decidere! Sorgono però molti interrogativi, primo fra tutti: quale apparecchio? Poichè sarà preferibile stampare a contatto (come suggerisce il signor Vacchiano) anche per evitare la grande spesa di un ingranditore adeguato, occorrerà indirizzare la scelta su una fotocamera 5x7", se non addirittura una 8x10". Cosa ne dite? Sono reperibili folding di tali formati? (Ugo Conti) Le folding 5x7" e 8x10" esistono e funzionano esattamente come le folding 4x5". La differenza è essenzialmente rappresentata dal peso e dall'ingombro maggiori. La scelta degli obiettivi è più limitata: mentre una 4x5" può montare tutti gli obiettivi di grande formato, compresi quelli originariamente concepiti per i formati superiori (per godere di un più ampio cerchio di copertura), le fotocamere 5x7" e 8x10" accettano solo obiettivi il cui cerchio di copertura abbia un diametro superiore, rispettivamente, a 222 e a 320 mm, che sono le diagonali dei due formati. L'uso sul campo è piuttosto disagevole, non soltanto perché il maggiore peso e le maggiori dimensioni della macchina richiedono un cavalletto diverso da quelli utilizzabili con le folding 4x5", ma anche perché la maggiore focale dell'obiettivo standard impone un proporzionale alliungamento del soffietto: con un'ottica da 300 mm, normale per il formato 8x10", occorrono trenta centimetri di tiraggio solo per fotografare all'infinito.
Wisner produce folding in legno 5x7" e 8x10". La 5x7 Technical Field ha le seguenti caratteristiche:
La Technical Field 8x10" ha le seguenti caratteristiche:
Le Toyo sono distribuite in Italia da Studio Import, Via San Rocco 6, 10135 Milano (telefono: 02-58307524, fax: 02-58305237); Sul mercato dell'usato si trovano talvolta folding quali le Deardorff, uscite di produzione nel 1996 ma caratterizzate (oltre che da un'estetica di prim'ordine) da una grande accuratezza costruttiva e da soluzioni tecniche interessanti. Se il lettore abita nel centro-nord, può rivolgersi a una delle sedi SMAF di Milano, Torino, Genova, Firenze, Brescia e Modena. Può anche indirizzare le sue richieste via e-mail (del tipo: avete una folding 8x10 usata?): gli indirizzi sono costituiti dai nomi delle città seguiti da @smaf.it (esempio: torino@smaf.it). Esistono obiettivi macro per il grande formato o possono essere usati gli obiettivi normali? (Elisa Taberna) Qualunque obiettivo può essere usato per effettuare riprese ravvicinate: l'unico vincolo è rappresentato dalla capacità di estensione del soffietto. Utilizzando un obiettivo di corta focale si raggiungono rapporti di riproduzione molto elevati, il cui solo limite è costituito dall'azzerarsi della distanza di ripresa (quando la lente frontale va praticamente a toccare il soggetto). Gli obiettivi per uso generale, tuttavia, non sono sufficientemente corretti alle brevi distanze, anche se - in linea teorica - quelli a schema simmetrico dovrebbero fornire prestazioni ragionevolmente costanti a qualunque distanza. Esistono obiettivi ottimizzati per rapporti di riproduzione prossimi a 1:1, come i G-Claron e i Macro-Symmar della Schneider o gli Apo Makro Sironar della Rodenstock. Gli Apo Makro Sironar hanno i due elementi (anteriore e posteriore) intercambiabili. Nella configurazione normale essi sono ottimizzati per rapporti di riproduzione che vanno da 1:3 a 1:1. Per rapporti di riproduzione superiori a 1:1 (fino a 3:1) è consigliabile invertire i due elementi. Esattamente come avviene nel piccolo formato quando si consiglia di capovolgere l'obiettivo quando si raggiunge e si supera il rapporto di 1:1. Per quanto riguarda l'opportunità di procurarsi uno di questi obiettivi, ciò che ho sempre detto per il piccolo formato vale anche per il grande: se le riprese da vicino rappresentano un'eccezione e vengono inserite in un reportage di più vasto respiro, si possono tranquillamente usare le ottiche progettate per l'uso generale (avendo cura di preferire gli schemi simmatrici ai derivati del tripletto di Cooke o ai teleobiettivi); chi invece si dedica in prevalenza allo still-life o al close-up dovrà considerare seriamente la necessità di procurarsi un obiettivo mcro, fermo restando il fatto che lo potrà tranquillamente adoperare (con qualche limitazione) anche a distanze medio-lunghe. Sarebbe utile conoscere i titoli di testi approfonditi e rigorosi (anche se in lingua inglese) sulla tecnica d'uso degli apparecchi di grande formato. Ho provato qualche mese fa ad ordinarne uno di cui non ricordo il titolo da Feltrinelli, utilizzando la loro banca dati (si trattava di un testo edito da una casa editrice anglosassone), ma il libro era esaurito e non veniva più ristampato. (Antonio Scorletti) Segnaliamo qui alcuni testi recenti, tutti acquistabili in rete presso Amazon.
Perché non si trovano in giro test MTF e prove del potere risolvente degli obiettivi di grande formato? Gli stessi fabbricanti non allegano ai loro obiettivi i foglietti con i risultati dei test, come fa ad esempio la Contax con i suoi obiettivi Zeiss. Eppure per un professionista sarebbe importante conoscere certi parametri. (Andrea Jurilli) I test MTF degli obiettivi per il grande formato non sono diffusi. Soltanto la Schneider, pubblica i risultati dei test (non solo MTF) a cui sottopone le sue ottiche, pur con la limitazione dovuta al fatto che le curve sono calcolate, non misurate. In realtà, anche se può sembrare paradossale, nel grande formato questi test servirebbero a poco. Il fatto che un fabbricante miri all'ottenimento della massima qualità possibile, compatibilmente con il disegno ottico e con l'estensione del cerchio di copertura, è addirittura scontato e non può costituire oggetto di discussione. Per cui, una volta assodato che stiamo adoperando il migliore degli strumenti possibili, perché perdere tempo confrontando poche linee per millimetro in più o in meno? Si pensi soltanto che il potere risolvente di un obiettivo per il grande formato - pur se piuttosto basso rispetto a quello di un obiettivo progettato per i formati inferiori - è sempre e comunque superiore non solo alle capacità di riproduzione della maggior parte delle emulsioni in commercio e della stessa carta da stampa, ma anche al potere risolvente dello stesso occhio umano. Quando un obiettivo risolve 48 coppie di linee per millimetro al centro del campo, significa che ha un potere risolvente otto volte superiore a quello (teorico) dell'occhio umano. In altre parole, il negativo dovrebbe essere ingrandito otto volte per arrivare - sulla stampa finale - a questo limite. Si pensi che un fotogramma 24x36, ingrandito otto volte, crea un'immagine più o meno corrispondente al formato 20x30 cm, mentre un negativo 4x5" manterrebbe lo stesso limite di risolvenza se ingrandito fino al formato (approssimato) 70x100. Nelle stampe di formato inferiore l'obiettivo risolve particolari che l'occhio umano non è in grado di riconoscere e neppure di vedere! Ovviamente questo è un discorso di massima, ma è giusto per dare l'idea di quanto poco importanti siano quei test ai quali l'utilizzatore di apparecchi 35 mm attribuisce una così elevata priorità. Molto più utili sono invece altre curve, quali ad esempio quelle relative alla distorsione. Nello scegliere i propri strumenti di lavoro il professionista sa che ognuno di essi risponde a esigenze ben precise. E se nella fotografia di paesaggio mi posso permettere un certo grado di distorsione, certo che nessuno se ne accorgerà, nella fotografia di architettura e ancor più nella riproduzione di documenti questo diventa un parametro discriminante, tanto che - in quest'ultimo campo - l'importanza del cerchio di copertura diventa nulla se questo viene pagato in termini di aumento della distorsione. Analogamente importante è il potere di trasmissione spettrale. Ad esempio, gli obiettivi Schneider hanno un comportamento interessante per il fotografo di paesaggio, dato che il loro potere di trasmissione risulta piuttosto basso nella banda dell'azzurro. Questo significa che l'azzurro del cielo ben raramente apparirà slavato e scialbo. Personalmente utilizzo questa caratteristica, enfatizzandola mediante un forte decentramento dell'ottica, fin quasi a raggiungere il limite del cerchio di copertura. La parziale vignettatura meccanica che ne deriva, unitamente alla bassa trasmissione spettrale nella banda dell'azzurro, mi aiuta ad ottenere cieli saturi e pieni quali quelli che otterrei facendo ricorso a un filtro polarizzatore. Quali sono i migliori obiettivi per il grande formato? (Simone Schembari) Se ci si riferisce alla marca, direi che non esistono differenze sostanziali. Schneider, Rodenstock, Nikon e Fuji (questi ultimi non importati in Italia ma reperibili sul mercato dell'usato) sono nomi di altissimo rango. Non conosco i Caltar, venduti negli USA dalla Calumet, e nutro una prudente diffidenza nei confronti dei Congo (venduti per corrispondenza su Internet), ma soltanto perché lo schema ottico della serie "Commercial" (un semplice tripletto di Coke) mi sembra troppo essenziale per tenere a bada tutte le aberrazioni. Dalle ottiche anteriori agli anni Sessanta cerco di tenermi lontano, dato che attribuisco una notevole importanza al trattamento antiriflessi, a quell'epoca limitato ad un solo strato. Se vogliamo, si può disquisire a lungo sulle differenze tra "scuola tedesca", che privilegia il microcontrasto e la resa del colore, e "scuola giapponese", che attribuisce maggiore importanza alla risolvenza, spesso a scapito della brillantezza cromatica; ma si tratta di disquisizioni pour parler, e alla fine di preferenze del tutto personali. Se invece il lettore si riferisce alla focale, dirò che anche in questo caso tutto dipende dalle esigenze di ripresa e anche - forse in primo luogo - dal proprio "stile narrativo". Il fotografo di architettura privilegerà le focali più corte, che nel formato 4x5 pollici possono aggirarsi intorno ai 75-90 mm (ma anche meno); mentre chi si dedica allo still-life o al ritratto preferirà focali più lunghe. Nel formato 4x5 pollici molti usano come obiettivo normale - anziché il classico 150 mm - l'ottica da 210 mm, che in realtà è considerata normale per il formato immediatamente superiore (5x7"). Io sono fra questi, ma soltanto perché nella fotografia di paesaggio preferisco un'inquadratura più selezionata, dato che l'attenzione per il particolare (più che non per la vasta e grandiosa veduta d'insieme) fa parte del mio modo di raccontare. Lo stesso motivo che mi spinge ad usare l'85 mm in luogo del 50 quando fotografo in piccolo formato. Ho visto alla Smaf di Torino una fotocamera Deardorff 8x10 pollici. Qualcuno mi sa dire qualcosa su queste macchine? A me sembrava un reperto antidiluviano. (Ugo Fillittero) Ho visto anch'io questa macchina alla Smaf. Definite da alcuni "the most beautiful handmade view cameras in the world", le Deardorff sono state prodotte negli Stati Uniti, e più precisamente a Chicago, Illinois, fino al 1988. Nel 1992 fu fondata la nuova L.F. Deardorff & Sons (Tennessee), che cessò la produzione nel 1996. Nonostante l'aspetto molto "tradizionale", si tratta di ottimi apparecchi, ideali per la fotografia in esterni e dotati di accorgimenti tecnici che ne rendono interessante l'uso. Il legno era trattato con una particolare laccatura che lo rendeva resistente all'umidità. Il soffietto, in pelle pregiata, ha un'estensione eccezionale che consente il montaggio di lunghe focali e - nel close-up - il raggiungimento di rapporti di riproduzione molto elevati. Ho acquistato un obiettivo Schneider Angulon da 90 mm usato. Vorrei sapere se c'è un mezzo per conoscerne l'età. (Agostino Forlin) Il numero di serie delle ottiche Schneider permette di risalire all'anno di fabbricazione. Una chiara ed esauriente tabella è pubblicata alla pagina http://www.schneideroptics.com/large/serial.htm. Che differenza c'è fra i diversi tipi di otturatore Copal, Compur e Prontor? (Milena Asciutti) Tra Copal e Compur non esistono differenze di rilievo, se non per il fatto che i primi sono "made in Japan" e i secondi "made in Germany". Devo confessare che non ho mai visto un otturatore Prontor, anche se so che esistono. Per quanto ne so, i Prontor Professional sono dotati di autoscatto, contrariamente ai Copal e ai Compur. Per fortuna le misure sono standardizzate: Copal 1, Compur 1 e Prontor Professional 1-S richiedono lo stesso foro nella piastra (41,8 mm di diametro). A che cosa serve esattamente la lente di Frensel? E qual è la sua posizione corretta? Influisce sulla qualità della fotografia? (Guido Mantovano) La lente di Fresnel (non di Frensel) ha la funzione di distribuire uniformemente la luce su tutto il campo inquadrato. Senza di essa, ciò che vedremmo sul vetro smerigliato sarebbe una zona centrale ben illuminata circondata da un'area più scura. In certe situazioni non riusciremmo a distinguere con la dovuta chiarezza i particolari a bordo campo. La lente di Fresnel ha effetto soltanto sulla visione e non sulla qualità della fotografia: essendo a stretto contatto con il vetro smerigliato essa viene di fatto rimossa al momento dello scatto. La sua posizione corretta è fonte di discussioni. Normalmente viene posizionata tra l'obiettivo e il vetro smerigliato (quindi all'interno della camera), con il lato rugoso rivolto verso il vetro. Altri preferiscono posizionarla tra il vetro smerigliato e l'osservatore. Per i presupposti teorici di una simile scelta, si veda l'articolo di Ron Wisner alla pagina http://www.wisner.com/viewing.htm. È importante tenere conto della diffrazione negli obiettivi per il grande formato? Io credo che si possa chiudere un obiettivo fino a f/90 con tranquillità, altrimenti il costruttore non avrebbe permesso al diaframma di chiudersi così tanto. O no? La diffrazione è il fenomeno in base al quale il raggio luminoso, anziché viaggiare in linea retta, viene deviato di un certo angolo quando lungo il suo cammino sfiora un ostacolo, quale può essere costituito dalle lamelle del diaframma. Tutta la luce che sfiora le lamelle del diaframma viene diffratta, ma quando il diaframma è aperto la percentuale di raggi diffratti è minima rispetto ai raggi che attraversano il foro viaggiando in linea retta. Quando il diametro del foro si riduce, la percentuale di raggi deviati diventa significativa rispetto alla quantità di raggi che viaggiano in linea retta, e questo si traduce in una perdita di nitidezza tanto più accentuata quanto più cresce questa percentuale. L'uso di un obiettivo fotografico (e le ottiche per il grande formato non fanno eccezione) è pertanto subordinato al mantenimento di un giusto compromesso fra due opposte esigenze: da un lato la chiusura del diaframma aiuta ad eliminare le aberrazioni residue, non sufficientemente corrette in fase di progettazione; dall'altro la riduzione del diametro del foro aumenta la perdita di nitidezza dovuta alla diffrazione. La soluzione è utilizzare il diaframma appena sufficiente ad eliminare le aberrazioni in modo accettabile ma non ancora così chiuso da rendere significativo il calo di qualità dovuto alla diffrazione. Di solito (e insisto sul "di solito") i diaframmi intermedi della scala sono quelli che garantiscono la migliore resa. In un obiettivo di piccolo formato, la cui scala dei diaframmi va da f/1,4 a f/16, i diaframmi migliori andranno da f/4 a f/5,6; in un'ottica per il grande formato, la cui scala va da f/5,6 a f/64, i diaframmi più sicuri saranno quelli che si aggirano intorno a f/22. Il vero problema è quello della profondità di campo (un 210mm chiuso a f/22 non ne ha poi così tanta), che per fortuna si può risolvere (più che non agendo sull'apertura relativa) applicando la regola di Scheimpflug. Perché lei scrive che gli obiettivi non vanno usati a tutta apertura? La sigla Apo non sta ad indicare che sono corretti anche ai diaframmi più aperti? La sigla Apo (che sta per "apocromatico") significa che l'obiettivo è corretto dall'aberrazione cromatica lineare su tre colori dello spettro, anziché su due come avviene normalmente. Ma questo non significa necessariamente che esso possa essere impunemente usato a tutta apertura. L'essere apocromatico non lo salva dall'aberrazione sferica né dall'astigmatismo o dalla curvatura di campo. Diciamo che l'obiettivo apocromatico può essere usato a diaframmi un po' più aperti di quanto ci fideremmo ad usare un obiettivo non-Apo. Questo vale soprattutto per le ottiche di grande formato: che siano apocromatiche o no, l'apertura relativa massima serve solo per la visione e non va usata per fotografare. Resta da spiegare perché i progettisti non correggano tutte le aberrazioni già a piena apertura. In teoria questo sarebbe possibile, ma una volta corrette l'aberrazione cromatica, l'aberrazione sferica, la coma e la curvatura di campo, e cioè le aberrazioni semplici del terzo ordine, insorgerebbero le aberrazioni del quinto e addirittura del settimo ordine, con esiti nefasti sulla qualità di immagine. Per questo è prudente lasciare che l'obiettivo soffra, a tutta apertura, di un minimo di aberrazione residua che il fotografo può correggere, il più delle volte, chiudendo un poco il diaframma. Dirò di più: la correzione dell'astigmatismo va di pari passo con la correzione della curvatura di campo: non è possibile correggere completamente la curvatura di campo senza introdurre volutamente un certo grado di astigmatismo, secondo una superficie astigmatica che rimanga, in ogni caso, entro il campo di profondità focale garantito da una leggera chiusura del diaframma. |