Prova sul campo
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Le Gandolfi Variant sono disponibili in tre modelli, ognuno dei quali può essere trasformato negli altri mediante un semplice intervento, qualora si richieda un più sofisticato controllo dell'immagine. La Variant III sostituisce il dorso standard con un "revolving back"; inoltre è capace di decentramento posteriore sia orizzontale che verticale. I modelli II e III hanno anche un maggiore grado di basculaggio del dorso rispetto alla Variant I, nonché un soffietto standard più lungo: 485 mm anziché 313. Il soffietto, intercambiabile, è il vero punto di forza delle Gandolfi Variant II e III: 485 mm permettono di montare lunghe focali e di raggiungere rapporti di riproduzione elevati, paragonabili a quelli resi possibili da un banco ottico da studio. Il minore allungamento della Variant I è però compensato da un'estensione minima più favorevole ai fotografi di architettura: 57 mm invece degli 80 mm dei modelli maggiori. La Variant I è il modello base per i fotografi di paesaggio e di architettura, che a fronte di un peso più contenuto si accontentino di prestazioni più "tranquille". La piastra portaottica standard (96,5x98,5 mm) può essere sostituita con piastre di 120x120 mm, il che consente di montare otturatori Copal 3. Non importate in Italia, le Gandolfi sono vendute per corrispondenza via Internet da B&H Photovideo (http://www.bhphotovideo.com) e da John D. de Vries (http://www.johndesq.com). Per informazioni e cataloghi: Gandolfi Limited, 24 Focus 303, South Way, Andover, Hampshire Sp10 5ny, England. |
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PROVA SUL CAMPO
Ho avuto occasione di provare la Gandolfi Variant II durante una breve escursione in Val d'Ayas, da Saint-Jacques al Pian di Verra: un'ora di comoda strada sterrata da percorrere a piedi, per raggiungere un vasto pianoro che si apre al cospetto dei giganti di ghiaccio del Monte Rosa. Un itinerario che si fa normalmente in mattinata, giusto per stimolare l'appetito. Niente di impegnativo, dunque, ma sufficiente per provare sul campo una nuova attrezzatura. Durante la prova non mi sembrava di utilizzare una folding, ma un vero e proprio banco ottico. In tutti i sensi, nel bene e nel male. Nel bene, perché la gamma dei movimenti è davvero superba, tanto da eccedere l'angolo di copertura di alcuni degli obiettivi normalmente in uso. La robustezza dell'insieme è palpabile: nulla vibra, nulla si muove; una volta bloccate, le standarte restano in posizione. Sembra che la macchina stia lì ad aspettare, fedele e ubbidiente, e che neppure lontanamente pensi di comportarsi come certe folding in legno dagli occhi a mandorla, sfiziosette e altezzose nella loro veste di lucido ciliegio, belle, per carità, ma dispettose, ché se appena fissi un basculaggio e ti volti un attimo loro hanno già deciso che quell'angolo lì non gli va a genio e se lo cambiano da sole
Nel male, perché la Gandolfi - robusta quanto un banco ottico - pesa anche quanto un banco ottico! Tre chili e mezzo il modello II, quattro chili il modello III (per via del dorso girevole). Il che richiede, ovviamente, un cavalletto adeguato, fino a raggiungere una massa complessiva decisamente intrasportabile, almeno da parte di un quasi-cinquantenne come me, in perfetta forma, è vero, ma non certo votato al sacrificio! Devo ammetterlo, non ho fatto fatica lungo la strada del Pian di Verra, ma non oso immaginare che cosa avverrebbe se dovessi trascinare una macchina simile ai tremiladuecento metri del Col Lauson, o lungo la cresta del Castore! Così ho restituito la splendida Gandolfi con un po' di rammarico, certo che non avrò mai l'occasione di usarla, almeno fino a quando mi occuperò di fotografia in montagna; ho rimesso nello zaino la piccola, leggera e sicuramente meno versatile Wista DX e mi sono soffermato a invidiare il buon vecchio Vittorio Sella, che fotografava il Karakorum con lastre al collodio 20x25, ma che disponeva anche dei portatori necessari a garantire il successo di una così ardua impresa. Michele Vacchiano © 7/2000 |