L'ITALIANA D'ACCIAIO Prova sul campo della Fatif DS |
I cultori del banco ottico che frequentano Internet conoscono soprattutto le grandi marche straniere: Arca Swiss, Cambo, Linhof e Sinar per restare in Europa; Horseman e Toyo dal Giappone. Ma esiste una ditta italiana (milanese, per la precisione) che produce da decenni apparecchi a banco ottico robusti e versatili, tali da reggere tranquillamente il confronto con le marche e i modelli più blasonati e celebrati. Eppure il nome Fatif non sembra essere conosciuto da tutti, specialmente all'estero. Abbiamo voluto rendere giustizia a questa macchina tutta italiana dedicandole una delle nostre prove sul campo. |
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Fin dalla sua nascita nell'ormai lontano 1944 (sessant'anni splendidamente portati!) la milanese Fatif si è imposta sul mercato come unica azienda italiana produttrice di apparecchiature fotografiche professionali, espressamente progettate per il lavoro in studio. La serie DS Il 1969 vede la nascita di un apparecchio a banco ottico decisamente diverso dal solito, progettato in collaborazione con il designer Joe Colombo e con l'ingegner Quintino Piana: la Fatif DS1. Una segnalazione al Premio "Compasso d'oro" e l'esposizione al Museum of Modern Art di New York premiano non solo la linea ma anche l'efficienza e la versatilità di questa originale creazione. Nel 1986 Fatif raddoppia presentando sul mercato la DS2, ulteriormente migliorata e dotata di un più efficiente sistema di regolazione dei movimenti. Oggi la DS2 è l'unico modello in produzione. Ma che cos'hanno le Fatif per destare tanta ammirazione? Osserviamole da vicino. Salta subito agli occhi la linea originale: la tradizionale sezione quadrata viene abbandonata in favore di un profilo più smussato e gradevole. La struttura solida e la semplicità costruttiva colpiscono piacevolmente. Guide generose e manopole ben dimensionate infondono un'immediata sensazione di robustezza. Tutto si impugna bene, i movimenti sono intuitivi, i blocchi saldi e sicuri. Due semplici tubolari a U (uno anteriore e uno posteriore) costituiscono la struttura portante dei corpi e consentono tutti i movimenti: una semplicità e un'essenzialità quasi esoteriche, a cui corrisponde una versatilità di alto livello. I movimenti di basculaggio sono limitati solo dal soffietto. Su entrambe le standarte è presente il doppio basculaggio: sia alla base che sull'asse. Questo consente non soltanto di scegliere il sistema più comodo per limitare al minimo gli interventi di rifocheggiatura, ma anche di superare i limiti fisici e costruttivi dell'apparecchio: ad esempio è possibile - come dichiara la Casa costruttrice - "sfruttare l'allungamento del soffietto oltre il limite del banco ottico, oppure avvicinare i corpi anteriore e posteriore fino al contatto, senza spostare il morsetto centrale di fissaggio". Il decentramento laterale raggiunge i 30 mm sulla singola standarta, il che significa che decentrando un corpo a destra e l'altro a sinistra si ottiene una traslazione reciproca di 60 mm. Il decentramento verticale di ogni singolo corpo è di 105 mm. Questi valori, già notevoli, possono essere ulteriormente incrementati dalle illimitate possibilità di basculaggio (360° sia in verticale che in orizzontale, tanto alla base quanto sull'asse) che rendono agevole e intuitivo il ricorso al decentramento indiretto. Inoltre è possibile prolungare i due bracci della U per incrementare le possibilità di decentramento diretto. Sembra che i progettisti abbiano pensato alle esigenze - spesso "estreme" - del fotografo creativo più che non a quelle - tutto sommato costanti e in certa misura prevedibili - del fotografo di architettura o di still-life. Il soffietto standard è spesso e robusto. Quello della DS1 è realizzato in pelle nera non lisciata né foderata internamente, tanto che sembra di toccare un bell'oggetto in cuoio di quelli che si facevano una volta, con l'interno grezzo e "peloso". Vedendolo (e toccandolo) mio figlio Giorgio ha detto: "Qui hanno preso una mucca, l'hanno svuotata ed ecco il soffietto". Il soffietto della DS2 è sempre in pelle, ma più sottile e raffinata: un oggetto senza dubbio più "moderno" ma meno suggestivo e - ahimè - anche meno morbido. Quando è molto accorciato (ad esempio per l'uso con le ottiche grandangolari) il soffietto standard risulta alquanto rigido e poco mobile, rendendo indispensabile la sua sostituzione con un soffietto grandangolare. Il banco standard è lungo 450 mm. Ovviamente il sistema è modulare e consente ulteriori prolunghe, utili specialmente quando al dorso 4x5" si sostituiscano dorsi di formato maggiore (5x7" e 8x10"), utilizzando di conseguenza focali più elevate. Nella DS1 il decentramento verticale si effettua agendo su levette a molla che consentono di sbloccare il corpo facendolo scorrere a mano libera lungo le guide tubolari. Nella DS2 il movimento è a cremagliera. Negli anni Sessanta le manopole venivano realizzate in bakelite o in materiali similari: un tipo di plastica che con l'andare del tempo si deteriora perdendo elasticità. E' probabile che - a seguito di un leggero urto o anche con un uso intenso - una manopolina si spezzi, come è accaduto a chi scrive. Occorrerà quindi rivolgersi alla Casa costruttrice per la sostituzione. Il problema riguarda la DS1. Nella DS2 mi sembra siano stati utilizzati materiali più moderni. Il vetro smerigliato è generoso: un vero 10x12 centimetri (quello della Sinar è in realtà un 9x12). In uno dei modelli in mio possesso (la DS1) esiste una lente di Fresnel che tuttavia in prova ho rimosso per verificare l'effettiva luminosità del vetro. Nella DS1 le due standarte sono equipaggiate ciascuna con una slitta portaccessori. Tra gli accessori utilizzabili c'è un bel paraluce a compendium che scorre lungo un'astina a T la quale, a sua volta, si infila nella slitta. In questo modo il compendium può essere usato tanto come paraluce per l'obiettivo quanto (se montato sul corpo posteriore) come paraluce per il vetro smerigliato, evitando (o per lo meno limitando) l'uso del panno nero. Poiché l'astina è rigida, il paraluce non può essere decentrato o basculato per seguire i movimenti dei corpi (come invece avviene nel sistema Sinar, grazie all'adozione dell'astina snodabile). Questo impone di controllare attentamente l'eventuale presenza di vignettature in caso di forti decentramenti o basculaggi. Nella DS 2 (che adotta un differente sistema di blocco delle piastre) la slitta portaccessori manca e il paraluce a compendium è basculabile e decentrabile per assecondare i movimenti dei corpi. La prova sul campo... Le Fatif DS sono nate per la fotografia in studio. La loro sede naturale è un robusto stativo da sala di posa, anche perché il loro peso e la loro struttura massiccia non rendono facile considerarle degli strumenti portatili. Ma chi mi legge sa già che io sono un bastian contrario e che amo sottoporre le apparecchiature alle condizioni d'uso più estreme. Perciò ho utilizzato sul campo una DS1. Va subito detto che il peso dell'apparecchio (senza considerare le ottiche e gli châssis) è notevole. Sono più di cinque chili di buon acciaio e plastica. In compenso le standarte si ripiegano completamente sulla rotaia di banco riducendo notevolmente l'ingombro dell'insieme. Ovviamente al peso dell'apparecchio va aggiunto quello dello stativo: il Berlebach in legno di frassino sul quale monto la piccola ShenHao (meno di sei chili fra cavalletto, macchina e obiettivo) non è adatto alla signora Fatif, non le va, non ci sta comoda. Devo perciò ricorrere a un monumentale Manfrotto Triman, non recente ma semplice da regolare e capace di sostenere qualunque peso senza batter ciglio. Tutto questo trascina con sé una conseguenza evidente: pensare di utilizzare la Fatif in montagna è improponibile. Di per sé la macchina potrebbe essere trasportata in uno zaino (ho portato ben di peggio!), ma la necessità di utilizzare un cavalletto pesante ne esclude di fatto l'uso "escursionistico". Tuttavia Fatif e cavalletto possono essere trasportati per qualche centinaio di metri, prendendo come base il bagagliaio della propria auto, se non si pretende di superare forti dislivelli in salita. Poi, ovviamente, tutto dipende dalla forza fisica e dallo spirito di sacrificio del singolo utilizzatore. Il baule originale (legno foderato esternamente in metallo e internamente in velluto rosso) è progettato per contenere la macchina già montata sulla rotaia di banco, con soffietto e standarte azzerate, più un certo numero di piastre portaottica. Nel vano possono trovare posto altri accessori, come il soffietto grandangolare. Il baule può essere agevolmente trasportato grazie a un carrello portavaligie, a patto che il percorso sia ragionevolmente pianeggiante. Una volta fissata la macchina al cavalletto, bisogna prendere confidenza con le manopole e le leve, in modo da poterle azionare "al tatto", con la testa sotto il panno nero. Dopo qualche difficoltà iniziale, la Fatif ed io abbiamo iniziato ad entrare in confidenza. Alla fine non è stato difficile verificare che i comandi sono là dove ci si aspetta di trovarli e che l'apparecchio gode di un buon livello di ergonomia. Il vetro smerigliato è grande e luminoso. Se il fotografo è in ombra e il soggetto è bene illuminato si può fare a meno del panno nero, sostituendolo (nella DS1) con il paraluce a compendium montato sul corpo posteriore. La flessibilità del soffietto è buona quando si utilizzano obiettivi dal 150 mm in su. Per i grandangolari, come già detto, è consigliabile l'utilizzo del soffietto floscio. La manovrabilità generale non è certo paragonabile a quella di una folding. Modificare l'inquadratura utilizzando i movimenti è un'operazione che richiede più tempo di quanto sarebbe necessario con una macchina da campo. Questo evidentemente non è un limite né un difetto, essendo le Fatif progettate per lavorare in studio. Per contro la precisione dei movimenti e la saldezza dei bloccaggi sono evidentemente superiori a quelle riscontrabili in un apparecchio portatile. ...e la prova in studio Ma è ovviamente in studio che la Fatif mostra tutte le sue potenzialutà. Ho utilizzato una DS2 a Milano, durante un workshop sull'uso delle luci nello studio fotografico. In condizioni di maggiore stabilità e comodità operativa diventa possibile apprezzare appieno la fluidità dei movimenti, la solidità dei blocchi, la luminosità del vetro smerigliato, la versatilità operativa dell'apparecchio. Il rischio è quello di superare ogni volta il cerchio di copertura dell'ottica, conquistati e affascinati dalle ampie possibilità di basculaggio, limitate solo dalla presenza del soffietto. Comode e ben dimensionate le manopole con movimento a cremagliera che regolano i movimenti di decentramento, sia in verticale che in orizzontale. La standarta scorre fluida e la precisione è garantita. Non molto ergonomiche le minuscole manopoline di blocco del decentramento orizzontale e del basculaggio alla base, non tanto per le piccole dimensioni quanto perché sono identiche nella forma e molto vicine tra loro. Per me è stato difficile imparare rapidamente la loro disposizione e la loro diversa funzione. Gli altri prodotti Fatif Oltre agli apparecchi a banco ottico, Fatif produce stativi e accessori per sale di posa. Negli anni Settanta l'azienda presentò un sistema di illuminazione nuovo e per l'epoca rivoluzionario: il bank aereo. Grazie a questa geniale realizzazione il fotografo può godere di una sala di posa completamente libera e regolare disposizione e accensione delle luci direttamente dal punto di ripresa, grazie a un telecomando a raggi infrarossi. In questo modo è possibile controllare direttamente sul vetro smerigliato (o sullo schermo del portatile qualora si usino dorsi digitali) l'effetto dell'illuminazione senza doversi fisicamente spostare. Ventilatori, stativi a colonna ed altri accessori completano la produzione Fatif nel settore fotografico. La Casa è attiva anche nel settore degli strumenti ottici e degli ausili per ipovedenti, nonché dei macchinari per la produzione di lenti oftalmiche. Michele Vacchiano © 11/2004 |