PERCHE' CONTINUO
A FOTOGRAFARE
IN GRANDE FORMATO
Le considerazioni (o forse le confessioni) di un fotografo che del grande formato ha fatto una filosofia di vita.
Nadir Magazine ©

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Perché continuo a fotografare in grande formato?

Perché un professionista "normale" dovrebbe oggi ostinarsi ad usare un mezzo così faticoso, dispendioso e poco remunerativo in termini economici?

E soprattutto, perché un professionista che è anche insegnante di fotografia dovrebbe continuare a propagandare l'uso di questo mezzo, remando controcorrente in un mondo dove il mercato impone come unica scelta obbligata per dilettanti e professionisti il digitale in piccolo formato?

Le reflex digitali (come anche certe "compatte" di qualità) sono versatili, efficienti e comode da usare. E' vero, il digitale richiede un grosso lavoro in postproduzione, ma i vantaggi in termini economici compensano il tempo impiegato. Inoltre va detto che ormai, nel piccolo formato soprattutto, il sorpasso è netto e visibile: una buona immagine digitale non ha nulla da invidiare (anzi!) a un negativo scattato su pellicola.

Spesso il cliente è interessato più al basso costo del servizio che alla qualità di immagine. Perciò se si vuole sopravvivere occorre contenere i costi, e il digitale rappresenta in questo la soluzione ideale. La concorrenza è vivace e spietata, soprattutto da parte di quei dilettanti "evoluti" che offrono servizi qualitativamente paragonabili a quelli di molti professionisti a prezzi quattro volte inferiori. In nero, ovviamente.

E allora, perché lavorare con un apparecchio a corpi mobili, perdere venti minuti per curare l'inquadratura, spendere non meno di sette Euro tra acquisto e trattamento di ogni singola pellicola piana a colori, senza contare la sempre più frequente necessità di effettuarne la scansione per trasformarla in un file digitale destinato alla stampa? Oppure, perché spendere l'equivalente di un'auto di piccola cilindrata per l'acquisto di un dorso digitale che sarà obsoleto nel giro di due anni, quando con un decimo del budget necessario si può avere una digireflex?

Si potrebbe rispondere che un apparecchio a corpi mobili offre innegabili vantaggi riguardanti, in special modo, il controllo della prospettiva e della nitidezza, grazie all'applicazione della regola di Scheimpflug. Ma oggi la prospettiva è facilmente controllabile e alterabile con una semplice funzione di Photoshop. Ancora non lo è la nitidezza (non mi risulta che un primo piano sfocato possa essere riportato digitalmente a fuoco), ma ho la sensazione che lo sarà presto. Quando ciò avverrà, se avverrà, anche l'ultimo vantaggio degli apparecchi a corpi mobili avrà perduto la sua ragion d'essere. Senza contare che applicando un normale obiettivo basculante a una reflex digitale il problema può essere - entro limiti ristretti ma sufficienti alla maggior parte delle applicazioni commerciali - risolto.

E allora, perché continuare a lavorare con una Linhof da sette chili, escluso l'obiettivo, sudando sotto un panno nero, portandosi appresso dieci châssis doppi, oppure - che è peggio - un dorso digitale completo di unità di controllo e PC portatile?

E' una domanda che mi pongo spesso e alla quale spesso stento a trovare risposta.

Ma questa mattina, mentre Claudia e il piccolo Federico erano andati a trovare la nonna, io ho montato sul Manfrotto Triman la Sinar F, l'ho equipaggiata con il Sinaron da 210 millimetri, ho applicato, con tutta calma, una prolunga di banco e mi sono messo a fotografare alcune piccole zucche ornamentali che mia suocera mi aveva regalato, ben conoscendo il mio amore per tutto ciò che serve a decorare la casa. Le ho fotografate in luce disponibile, quella che entrava dalla finestra della cucina. Ho premuto il pulsante del flessibile con l'obiettivo impostato sulla posa T, me ne sono andato in un'altra stanza per rispondere a un paio di mail e poi sono tornato a chiudere l'otturatore. Quanto tempo era passato? Non lo so, non me ne sono curato, memore ed emulo di uno dei miei maestri - di cui ho già parlato - che toglieva il tappo all'obiettivo della sua gigantesca 8x10, andava a farsi i fatti suoi e dopo un tempo per me assolutamente casuale ritornava sentenziando "parèj a l'é pro" (basta così) e rimetteva il tappo, ottenendo sempre fotografie perfettamente esposte.

Pubblicherò la foto? Forse, o forse no. Probabilmente la userò per illustrare uno dei miei articoli, o ancor più probabilmente la farò stampare e la destinerò a una delle mie mostre, sempre più rare ora che le amministrazioni locali sono sempre più strangolate da leggi finanziarie sempre più soffocanti. Tutto sommato non mi interessa la sua destinazione finale.

Ma allora, perché l'ho scattata?

Semplicemente per il mio piacere. Perché mi andava di farlo. Perché quel soggetto lì meritava il grande formato. Punto e basta.

Per quale perversa ragione offro agli sposi - oltre al servizio classico - una serie di immagini scattate col banco ottico, senza incrementare in modo spropositato il costo medio di un normale servizio matrimoniale? Chi me lo fa fare? Semplicemente il piacere di farlo, e l'amore per le cose fatte bene.

Intendiamoci, non lavoro sempre ed esclusivamente in grande formato: uso tutti i formati possibili dal 35 millimetri al 4x5 pollici, e ovviamente lavoro anche in digitale. Ma continuo a preferire, e quando mi è possibile ad usare, gli apparecchi a corpi mobili e la pellicola chimica.

Quando una rivista mi chiede delle immagini preferisco, potendo, fornire quelle scattate in grande formato, pur essendo perfettamente consapevole del maggior costo - e quindi del minore guadagno - che questo comporta, dato che il compenso è fisso. Lo faccio perché mi piace, mi diverte, mi stimola, mi insegna a far sempre meglio.

Sono convinto che la fotografia - la mia fotografia! - sia un'arte e che in quanto tale non debba e non possa essere costretta all'interno di logiche mercantili. I conti della serva non si addicono alla creatività.

Negli Stati Uniti c'è gente che per puro divertimento sguazza nelle paludi della Florida spingendo su una canoa apparecchi di 11x14 pollici. Questo è lo spirito del vero dilettante, cioè del vero artista, che io cerco di diffondere - insieme all'uso del grande formato - anche in Italia.

Controcorrente, certo, ma oggi essere controcorrente è anche una scelta ideologica o, come dice qualcuno che oggi siede lassù in alto, laggiù a Roma, una scelta di campo. Di fronte a un mercato sempre più tumultuoso, aggressivo e violento, che impone - più che proporre - certe scelte, che spesso prende in giro (ed uso un'espressione gentile) i consumatori spacciando vecchie soluzioni per rivoluzionarie invenzioni, mi piace proporre un modo di fotografare che dà il giusto valore al fotografo, alla sua creatività, alla sua sensibilità, restituendogli il completo controllo su tutte le fasi della ripresa.

Mi sono sempre vantato di esser nato alla fotografia come dilettante e non ne ho mai perso la mentalità. La fotografia - anche se fatta per mestiere - mi piace, mi gratifica e mi diverte. Come mi piacciono, mi gratificano e mi divertono le cose fatte bene. Vecchia mentalità sabauda? Forse, ma è nell'aria che ho respirato, nel latte che ho bevuto, negli ambienti - severi ma sereni - che ho frequentato fin dall'infanzia, ambienti dove il fare bene e onesto è considerato un bene primario, oltre che un dovere irrinunciabile.

Per questo forse non riuscirò mai ad arricchirmi, ma proprio per questo continuerò ad essere Michele Vacchiano.

Michele Vacchiano © 12/2004