La storia del Sonnar da 18cm f/2,8 inizia nel 1936, quando la Carl Zeiss Jena presenta questo futuristico obiettivo dalla straordinaria luminosità: si pensi che il fratello maggiore, uscito nel 1932, possedeva la luminosità di f/6,3, ovvero ben due diaframmi e mezzo di differenza, un altro pianeta.
Frutto della geniale progettazione ottica di Ludwig Bertele e composto da 5 lenti in tre gruppi, divenne ben presto noto come Olympia-Sonnar, in quanto presentato ufficialmente alla vetrina delle Olimpiadi di Berlino. Inizialmente offerto con innesto diretto per gli apparecchi a telemetro Contax, fu presto riconvertito all’uso con la cassetta reflex Flektoskop, a lati di visione invertiti. Il peso arrivava a 3 kg, cassetta reflex compresa; fu fabbricato, esclusivamente in finitura cromata, sino al 1945 in 1330 esemplari (Foto 1).Foto 1 e 2
Nel dopoguerra la CZJ lo ripropose, con l’identico schema ottico ma dotato ora di trattamento antiriflesso T, in un elegante finitura nera e con la preselezione del diaframma: alcune ottiche, poco più di 200 tra il 1951 e il 1954, furono accoppiate in fabbrica alla nuova e rara cassetta reflex Flektometer, con la visione corretta a lati dritti, mentre quelli prodotti senza alcuna cassetta furono poco più di 400 esemplari, tra il 1946 e il 1948, da affiancare eventualmente alle cassette reflex Flektoscop. Naturalmente l’innesto delle cassette reflex era sempre la baionetta Contax (Foto 2).
Questa seconda versione, ora denominata Sonnar 180mm e sempre dotata di finitura nera, fu anche completata d’innesto diretto per gli apparecchi fotografici reflex della DDR, inizialmente il classico passo a vite 42x1, per le Contax S e derivate, indi a baionetta per le Praktica, le Praktina e le Exakta. Ne furono costruiti diverse migliaia di pezzi tra il 1949 e il 1970, in quanto poi l’ottica entrò ad equipaggiare i corredi ottici delle Praktisix e Pentacon Six, entrambe macchine per il formato 6x6cm (Foto 3).
Foto 3 e 4
Il Sonnar originale della CZJ, nella sua evoluzione, ha avuto pertanto 3 principali versioni, rimaste immutate nello schema ottico di base, e migliorate solamente dal trattamento antiriflesso e dalla preselezione del diaframma. Da notare che tutte e tre le versioni possedevano una minima distanza di messa a fuoco a 1,5 metri.
Nel 1966 la Carl Zeiss di Oberkochen mette in commercio una nuova versione del 180/2,8 per il sistema Contarex, impropriamente rinominata Olympia-Sonnar: il nuovo schema ottico comprende 4 lenti spaziate in 4 gruppi e l’ottica pesa circa un chilogrammo. L’obiettivo possiede una speciale manopola per la messa a fuoco rapida, una distanza minima di messa a fuoco di 180cm, e possiede rispetto alla vecchia versione dei cugini della CZJ una resa nettamente superiore, con colori vividi e brillanti, tipici delle ottiche per Contarex. Quest’ottica non era ancora dotata del trattamento antiriflesso multiplo, il noto T*. Il paraluce, oggi molto raro, è separato. La produzione, come sempre elitaria per questo sistema, si ferma a 965 esemplari, fabbricati in un unico lotto produttivo (Foto 4).
Infine per il sistema Contax RTS la Carl Zeiss produce dal 1979 l’ultima evoluzione di questa lunghezza focale: l’obiettivo viene totalmente ridisegnato e ora è composto da 6 lenti in 5 gruppi ma pesante solo 815g (quasi 200g in meno rispetto all’ultima versione per Contarex, malgrado l’aumento del numero delle lenti). L’ottica naturalmente possiede il trattamento T*. Quest’obiettivo resta quello maggiormente fabbricato di tutta la famiglia: oltre 20.000 esemplari sino al 1994, una parte dei quali prodotti anche in Giappone, secondo gli accordi produttivi con la Yashica.
Lo Zeiss Sonnar 180/2.8 in versione Contax/Yashica su corpo Contax 139.
Proprio con questo obiettivo, accoppiato ad una Contax 139, piccola e compatta, ma con uno scatto talvolta troppo secco, mi muovo nello splendido scenario del monastero di Serghej Posad, a circa settanta chilometri a nord di Mosca, in quella parte della Russia ancora lontanissima dal frenetico urbanesimo della capitale, ma ricchissima di tipi umani particolari, che spesso sembrano miracolosamente usciti da un racconto di Gogol o di Tolstoj. Serghej Posad è il monastero più famoso di tutta la Russia, comprende due cattedrali e sette chiese, sempre rigurgitanti di fedeli, e in una di queste è sepolto il controverso zar Boris Gudunov, che regnò per un breve periodo nel XVI secolo.
Il rinnovato impulso della religione cristiana di rito greco ortodosso ha avuto negli ultimi vent’anni una crescita irresistibile nell’ex-Unione Sovietica, con spettacolari restauri di chiese e monasteri, cui i Russi si avvicinano numerosissimi e con una religiosità forse mai sopita. I Pope (preti ortodossi) ormai fanno parte a pieno titolo della vita pubblica russa e in questo stupendo monastero si mescolano preti, suore e fedeli, in un intrico inarrestabile di persone, cantici suggestivi e donne col capo coperto dal tradizionale fazzoletto.
I cortili dell’enorme monastero sono sempre affollati di persone: i pope sono perennemente indaffarati, i fedeli arrivano ad ondate e si notano anche numerosi gruppi di turisti, inconfondibili perché sempre con il naso all’insù!
Mi siedo sui gradini di una chiesa e memore dei vecchi insegnamenti della caccia fotografica, mi limito ad aspettare che qualche preda mi scivoli accanto. In effetti i soggetti si susseguono l’uno dietro l’altro: pope dalla lunga barba, mistici e ieratici, suore con vestiti medievali, fedeli quasi in stato di trance. Un’umanità che manca totalmente nelle grandi città e che il Sonnar da 180mm mi permette di cogliere da vicino, senza disturbare minimamente i soggetti. Scelgo la massima apertura, così da poter sempre scattare con il tempo di otturazione più veloce possibile. La resa del Sonnar è particolare: non è certo un mostro di risolvenza a tutta apertura, come l’Apo Telyt Leitz o l’omologo Nikkor, anzi definirei la resa a f/2,8 abbastanza morbida (si vede la mancanza di vetri speciali nel progetto), anche se i particolari architettonici a f/5,6 sono perfetti. Tuttavia il soggetto appare riprodotto in modo tridimensionale, con la classica resa Zeiss del colore, neutro ma brillante, in modo piacevole, che riesce a non fare rimpiangere una certa mancanza di incisione. Lo stacco dei piani è superbo, agevolato dal diaframma aperto e dalla ridotta distanza di messa a fuoco. Un particolare importante è dato dall’estrema maneggevolezza del complesso, grazie alla compattezza della Contax 139, la messa a fuoco a soli 1,4 metri, il comodo paraluce telescopico incorporato e l’ampia ghiera gommata di messa a fuoco. L’ottica da me utilizzata riporta l’incisione ‘West Germany’.
Uscendo mi imbatto in un anziano contadino dalla barba folta e bianchissima: sembra il prototipo di tutti gli Ivan dei racconti di grandi scrittori russi. Metto a fuoco con accuratezza il viso e chiudo il diaframma a f/4, scendendo al tempo di 1/125 di secondo.
Il Sonnar non mi delude e mi regala il ritratto intenso di una Russia senza tempo.
Pierpaolo Ghisetti © 09/2011
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